30 | Amorfoda

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(Tutti con il numero dieci sulla schiena e poi sbagliamo i rigori)



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Erano cambiate parecchie cose dalla sera di Juve-Napoli.

Lo sapevano bene i tifosi bianconeri, che nel giro di pochi giorni avevano visto sfumare via il sogno del settimo scudo, e poi, dopo le vittorie della Vecchia Signora e le sconfitte partenopee, avevano visto quel sogno ritornare, forte e prepotente, sempre più vicino e vivo.

Lo sapeva bene Paulo Dybala, che da cinque mesi viveva su di un'altalena di emozioni, e nelle ultime settimane invece, era sulle montagne russe, senza la possibilità di poter scendere.

Lo sapeva bene anche Idie, perché, nonostante provasse a far finta che non fosse successo nulla, era innegabile che la sua vita fosse cambiata.

Adesso che in casa -e dentro- c'era il silenzio più assoluto, riusciva a sentire il battito del proprio cuore rallentare e accelerare a seconda dei pensieri che le sfioravano la mente.

Il suo letto non era mai stato così comodo prima d'ora. Anche se non riusciva a dormire, le piaceva restare sotto le lenzuola fresche con gli occhi serrati e una canzone qualsiasi in sottofondo.

Non l'aveva più chiamato o cercato, e nemmeno lui si era fatto sentire.
Non dopo quel messaggio.

I giornali ancora non si calmavano e parlavano di loro, suo padre evitava le domande scomode, Paulo Dybala sceglieva il silenzio stampa e lei, invece, aveva smesso un po' di vivere dopo quel giorno.


Paulo la faceva stare bene.
E sembrava banale stare bene quando ci sei abituata, ma per una persona come Idie, fatta di corazze di sarcasmo e provocazioni, il bene, quello vero, non era mai banale.

Sapeva anche farla sorridere, con i congiuntivi sbagliati che lei prontamente correggeva e l'accento così marcato. Riusciva a farla arrossire, (con allusioni sempre più esplicite) a farle abbassare il capo per non fargli notare le chiazze rosse sulla pelle candida (perché sapeva che l'avrebbe presa in giro).

Riusciva anche a volerle bene, nonostante il carattere troppo impulsivo che si ritrovava.

All'inizio aveva pensato che fosse solo un calciatore tatuato, forse anche sopravvalutato, un po' presuntuoso e con la faccia da eterno bambino, ma.

Era anche altro.

Era un ragazzo di ventiquattro anni che non riusciva a farsi il nodo alla cravatta, e rideva per le battute più stupide, che inviava il messaggio della buonanotte a sua madre anche se in Argentina era ancora pieno giorno.

Era più sensibile di quello che si sarebbe mai aspettata, più protettivo di quello che pensava e, assolutamente, l'anima più pura che aveva mai conosciuto.

Ed era anche l'unico ragazzo che era riuscito a farla innamorare senza neanche sforzarsi troppo.

Non poteva aspettarlo, o pensare che le cose si sarebbero sistemate, che un giorno -chissà quando o quanto lontano- sarebbero stati insieme come due ragazzi normali.

Poteva soffrire però, sentire la mancanza dei suoi baci e cercare di andare avanti.


(18 maggio, Torino)

«Sai- sospirò Carolina- pensavo che i capelli ti sarebbero stati una merda, invece stai bene»

Idie schiacciò la sigaretta sotto la suola delle sue scarpe e prese ad osservare l'amica che muoveva le gambe su e giù, seguendo l'andatura del dondolo dove erano sedute in modo scomposto.

𝕿𝖗𝖚𝖊 𝕮𝖔𝖑𝖔𝖗𝖘|| P.DDove le storie prendono vita. Scoprilo ora