quello che ci resta

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Passò una settimana in quel paradiso fatto di grigi palazzi e di cemento armato, ma per la coppia era il posto più bello del mondo.
Avevano deciso di aprire un piccolo locale in piazza Duomo, dove Ermal potesse cucinare e Fabrizio servire drink.
I genitori del romano non ebbero problemi a finanziare l'acquisto e fissarono l'apertura per la settimana successiva.
Il locale era spazioso e molto luminoso. Era situato al piano terra di un edificio risalente agli anni '50.
Pensarono insieme a quel progetto, dividendo la sala in due parti, una per gli aperitivi e l'altra per il pranzo e la cena, con un grande bancone nel centro, in modo che tutti potessero vedere i due mentre lavoravano.
Il tutto era di colore nero, non perché fosse la loro tonalità preferita, ma poiché era l'unico che in qualche modo piacesse ad entrambi, aggiungendo qualche tocco di giallo e arancione sulle pareti.
L'unico oggetto che sovrastava il bancone era il grande lampadario che si ergeva come se fosse un monumento. Interamente di cristallo, era stato un regalo della madre di Fabrizio, in teoria doveva essere per la casa, ma siccome era leggermente troppo chic per il loro appartamento, decisero di destinarlo al locale.
"Ermal..."chiese una sera Fabrizio dopo che avevano fatto l'amore, nel momento in cui l'adrenalina non è più in circolo, ma è ancora troppo presto per dormire.
"Dimmi Fabri"
"Ma come lo chiamiamo il locale?"
"Hai qualche idea?"
"Boh non saprei..."
"Che ne dici di "Libero"?"
"Pensi che sia una buona idea?"
"Perché non dovrebbe esserlo?"
"Mi sembra troppo personale..."
"Ma smettila. È perfetto."
"Ti amo ricciolì"
"Ti amo anche io pescatore."
"Eh basta con questa storia! Anche Lì mi chiama così adesso."
"Perché è vero."
"Dormi prima che ti sfondi di nuovo quel bel culetto."
"E chi ti dice che non voglia?"
"Sei sicuro?"disse Fabrizio con uno sguardo malizioso.
"Fatti sotto caro."
Fabrizio risalì sopra Ermal, prendendogli le gambe sulle spalle e riprese a spingersi in lui, dapprima dolcemente, poi con maggior vigore, provocando nell'altro una serie di gemiti che divennero urla di puro piacere quando giunsero entrambi al culmine contemporaneamente.
Fabrizio si addormentò ancora dentro Ermal, che si beò di quel contatto sino al loro risveglio, la mattina successiva, quando il romano uscì dal barese provocandogli non poche proteste.
"Che hai ricciolì?"
"Ti volevo ancora."
"Eh ma sei insaziabile..."
"Mi dai dipendenza."
Si alzarono controvoglia e fecero colazione, ma Ermal sentiva qualcosa in sé che non riusciva a farlo stare calmo, come se fosse un brutto presentimento.
Infatti non tardò ad avverarsi quando il telefono squillò e vide sullo schermo il numero della madre.
"Mamma ciao, come mai a quest'ora?"
"Ermal...ti prego vieni giù...-disse a fatica tra un singhiozzo e l'altro- Rinald ha avuto un incidente ed è in pericolo di vita...con lui c'era anche Mary..."
"Mamma arrivo subito calmati."
Si voltò verso l'altro, che lo fissava spaventato.
"Ermal siediti sei sbiancato, che è successo?"
"Rinald e Mary hanno avuto un incidente..."
"Cosa come stanno?"
"Mio fratello è in pericolo di vita. Mary non so, mia madre non ha detto nulla."
In quel momento fu il cellulare di Fabrizio a suonare. Anche per lui, dall'altro capo del telefono c'era la madre.
"Ma' dimmi"
"Mary..."
"Si lo so mi ha avvertito la mamma di Ermal. Ma come sta lei?"
"Si rimetterà..."
"Ermal parte ora, io vi raggiungo stasera, tempo di avvisare quelli del locale."
"Va bene tesoro."
Chiuse la comunicazione e guardò Ermal.
"Dammi cinque minuti e sei in stazione."
Ermal partì alle dieci e giunse e Roma dopo pranzo. Andò diretto all'ospedale, dove incontrò la madre che lo abbracciò.
"Mamma cosa è successo?"
"Rinald e Mary erano in autostrada, stavano tornando dal mare, quando una macchina ha sbandato e gli è piombata addosso facendoli uscire dalla strada."
"Oddio..."
"Rinald è in coma, Mary ha una frattura alla gamba destra ed è sedata per via dello shock...ma si rimetterà."
"Anche Rinald vedrai... starà bene."
I dottori si fecero vedere solamente alla sera e le notizie che portarono non furono delle più incoraggianti.
"Con chi possiamo parlare?"
"Con me"disse Ermal.
"È maggiorenne?"
"Si."
"La madre?"
"È andata un attimo fuori, dite pure a me."in realtà era una mezza bugia, l'aveva costretta ad andare a casa pee riposarsi un poco.
"Allora suo fratello ha subito un forte impatto contro il volante e poi sul telaio della macchina....glielo dico nel modo più semplice possibile anche se non sarà facile da accettare...è in coma e c'è una possibilità che non si svegli più."
"Non è possibile... io...non..."
Ermal vide solo il bianco intorno a sé.
Si risvegliò in un letto di un'anonima stanza d'ospedale. Fisicamente e mentalmente stava bene, ma sul suo braccio destro sentiva un peso non indifferente, si girò e fu sollevato di vedere Fabrizio accanto a sé.
"Ehi amore..."gli disse Ermal.
"Sei sveglio... finalmente"rispose l'altro.
Ermal notò che c'era qualcosa di strano in lui, non sapeva esattamente cosa, ma non lo convinceva. Era strano, ecco tutto. Aveva una sciarpa che gli copriva il collo fin sul mento ed evitava di guardarlo negli occhi.
"Brì tutto ok?"
Fabrizio respirò e poi lo fissò in quei pozzi neri, che in quel momento trasudavano amore verso di lui, facendolo sentire uno schifo per quanto gli aveva fatto quel pomeriggio, e per questo sapeva che presto quegli angoli di cielo sarebbero arsi peggio dell'inferno.
Decise di non parlare, ma di agire. Prese un lembo della sciarpa e lo fece girare attorno al suo collo, rivelando quella pelle ambrata che Ermal tanto adorava...sulla quale spiccava un segno violaceo che l'altro non fece fatica ad indentificare.
"Fabrizio dimmi che cazzo hai fatto."disse Ermal con una calma apparentemente innocua, ma che lasciava intravedere l'imminente tempesta.
Fabrizio respirò nuovamente, a fondo, come se temesse di non avere sufficiente aria per completare quella confessione, scomoda, ma che doveva fare per il bene di entrambi. Anche se avrebbe significato perderlo.
Prima, però, tentò un'ultima carta. Intonò la loro canzone, nella speranza di addolcirgli la piccola amara.

Le mie paure
sono carezze mancate
incertezze
che tornano a un passo da me
evitando i rumori
sono mio padre e i suoi errori
un bersaglio sfiorato
le paure che sento
come distanze da un centro
sono l'amore che ho dentro
e che non so controllare
il primo giorno di scuola
di un piccolo uomo
che ha vergogna a parlare
le riflessioni sospese
un mattino alle sette
le paure
che sento qui dentro di me
sono parole mai dette
Tu,
tu non mi hai voluto credere
sono anni che ti aspetto
e ora non riesco a respirare più
ora basta devi scegliere
sono anni che ti aspetto
le mie paure
sono un bugiardo che giura
tutte le cose che ho perso
tenendo ugualmente
una stretta sicura
la prima volta che ho detto
ho bisogno di te
sono quel dubbio
che resta nascosto
anche quando ho capito
perché
perché
Tu,
tu non mi hai voluto credere
sono anni che ti aspetto
e ora non riesco
a respirare più
ora basta devi scegliere
sono anni che ti aspetto
Ci sono cose
che non riesco
più a dimenticare
sono le stesse
che non ho imparato
mai a capire
le convinzioni
non saranno sempre uguali
neanche quelle
che oggi sembrano normali
la differenza fra ogni uomo sta nell'intenzione
e ora so che posso scegliere
sono anni che ti aspetto
sono anni che ti aspetto
sono anni che ti aspetto
sono anni che ti aspetto
sono anni che ti aspetto

"La pianti con questa sceneggiata e mi dici chi ti ha fatto quel succhiotto?"
"Ermal...

Quella mattina a Milano
Fabrizio era appena tornato dalla stazione, quando qualcuno bussò alla porta di casa.
La aprì e si trovò davanti Giada.
"Cosa vuoi adesso?"
"Accidenti ci siamo alzati con la luna storta oggi?"
"No, devo tornare a Roma, Mary ha avuto un incidente e..."
La frase venne spezzata dalla ragazza, che azzerò la distanza fra i due baciandolo.
Fabrizio si ritrasse immediatamente.
"Ma cosa cazzo stai facendo?"
"Rilassati, so che lo vuoi. Ermal non lo verrà mai a sapere... lasciati andare."
"Giada esci fuori da casa mia."
Lei per tutta risposta avanzò di nuovo e lo spinse contro il divano, ma Fabrizio perse l'equilibrio e cadde. Tentò di rialzarsi, ma Giada gli fu sopra e riprese a baciarlo con convinzione.
"Togliti da me immediatamente."
"Fabri ti amo...e a Libero serve un padre."
"Io non ti amo e posso fare da padre a Libero anche così."
"Siamo una famiglia."
"No Giada. Fare una famiglia con te è come parlare a un cinese di energia nucleare in italiano e pretendere che la capisca...è impossibile."
"E quando sarà grande il bambino?-gli rispose spostandosi sul collo- Cosa gli dirai? Che ha due padri?"
"Ma vaffanculo."
Lei gli morse il collo e gli lasciò un livido violaceo.
"Bene adesso puoi andare. Voglio vedere come lo spieghi al tuo amore questo."
Si alzò da lui, sorrise malefica ed uscì dalla casa.
Fabrizio si guardò allo specchio ed imprecò alla vista del succhiotto.
Prese una sciarpa e uscì da quell'appartamento, nella speranza di poterci rientrare con il proprio ragazzo.

Roma
"Fabrizio sei un coglione"disse Ermal piangendo.
"Ermal ti prego perdonami. Non abbiamo fatto niente. Anzi, io non ho fatto niente."
"L'hai lasciata fare..."
"Ma..."
"Quando questa storia sarà finita io me ne andrò da quella casa e non ti rivedrò più. Resterò qui a Roma."
"Ti prego, non lo fare..."
"ZITTO. HAI IDEA DI CHE CAZZO SIGNIFICHI QUEL COSO? MI FAI SHIFO. VATTENE DA QUI. ORA."
Fabrizio uscì da quella stanza con le lacrime agli occhi e pianse amaramente accasciato alla porta di quella camera che aveva posto la parola "fine" a loro.
Ermal non stava certo meglio. Voleva morire.
Lottava solo per il fratello in quel momento. Rinald doveva stare bene, vivere, al resto ci avrebbe pensato.
Il romano uscì da quell'ospedale senza voltarsi indietro, mentre il suo riccio soffocava le lacrime nel cuscino di quel letto anonimo. Entrambi avevano la consapevolezza che non si sarebbero più visti per il resto della loro vita.

Spazio autrice
Scusatemi se potete.
Non è la fine...
Dani.

Il ballo in mascheraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora