II. PICCOLA TREGUA

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Arthur raccontava i sogni a modo suo e forse era ancor più inquietante quel
modo di parlare e gesticolare che aveva nella sua espressione di smarrimento.
Le visioni oniriche, di cui era stato l'involontario protagonista, non sembravano
avere attinenza con la realtà, ma questa era una cosa difficile da stabilire.
Potevano essere attribuite allo stato febbrile che da giorni lo costringeva al
letto.
Il ragazzo delirava, -Aiutami... Mi sento male! Non mi lasciare solo!-
Intanto vicino al suo letto sedeva Georgeanne -Non ti preoccupare. Ci sono qua
io. Non ti lascerei solo per nulla al mondo.-
Per Arthur era tutta la sua famiglia, non sapeva chi fossero i suoi genitori. Era
stato abbandonato quando era molto piccolo, ma non se ne era mai fatto un motivo
di preoccupazione. Anzi lo aveva preso come una sfida da superare nel migliore dei
modi. Così, durante l'orfanotrofio, si era costruito una carattere ed una personalità
forte. Grazie anche all'aiuto morale offertogli dalla sua ragazza, conosciuta all'inizio
della scuola superiore.
Adesso era lei che lo aiutava nel momento del bisogno, poiché era la sua
famiglia, ed era per merito suo se la malattia stava pian piano svanendo. E con la
febbre si facevano da parte anche gli incubi che lo avevano seguito durante tutte
quelle notti terribili.
-Stai finalmente meglio. Il dottore ha detto che domani potrai fare una
passeggiata, ma sempre senza esagerare.-
Ma qualche tempo dopo avere debellato la febbre, sentì nuovamente quella
sensazione: come se qualcuno stesse sognando per lui.

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