XIII. ESSERE O NON ESSERE.

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Tu sei Arthur McArthur.-
Arthur aspettava che da un momento all'altro gli venisse detto che era tutto uno
scherzo, ma il professore continuò serio a raccontare.
-Dopo l'incidente non hai ricordato nulla della tua vita precedente al fatto e ti sei
creato una nuova vita, dei nuovi e vaghi ricordi e li hai sostituiti ai precedenti. Fino
a quando qualcosa non ha fatto pressione sulla tua testa facendoteli ricordare.-
-Lo spirito insoddisfatto e ossessionato di Paul!?-, aggiunse convinta
Georgeanne.
Ma si sentì contraddire immediatamente con un secco -No!-
Il professor Shiver prese un grosso respiro prima di ricominciare il difficile
discorso.
-Paul non è mai morto.
E' rinchiuso in una clinica particolare gestita da un mio collega e amico intimo
con il quale ho già avuto modo di discutere del caso.
Mi è stato riferito che Paul non fa che ripetere da sette mesi il nome "Art".
Ammetto che possa suonare assurda la cosa, ma questo è proprio uno dei più
affascinanti casi di trasmissione del pensiero in cui mi sono imbattuto in tutti i miei
anni di studi.-
E mentre continuava il racconto della sua ricerca mostrava la strada da seguire
per giungere alla clinica.
-Discutendone anche con altri medici siamo giunti alla conclusione che la cosa
migliore da fare in questo caso e di far incontrare i fratelli per far terminare i continui
contatti mentali ed esaminare entrambi per definire quale metodologia utilizzare per
escludere le capacità di Paul.-
Ad un certo punto fece il cenno di fermarsi.
La clinica non era altro che un vecchio edificio, forse un mulino o una piccola
fabbrica che, con delle modifiche architettoniche, aveva assunto un aspetto
vagamente ospedaliero.
Era pomeriggio inoltrato e nel giardino che circondava la struttura c'erano
ancora dei pazienti che si attardavano a rientrare, nonostante gli avvertimenti degli
altoparlanti.
L'automobile frenò improvvisamente, riuscendo ad evitare per un pelo una di
quelle persone vestite di bianco.
Era un ragazzo, con i capelli e la barba incolta, aveva le mani fasciate strette e si
era accostato per guardare Arthur attraverso il vetro spaventando però
Georgeanne che era alla guida.
Altri correvano terrorizzati, qualcuno si gettava in terra e restava immobile. C'era
una tristezza nell'aria che gelava il sudore sulla pelle.
Il professore disse di non farci caso, erano solo dei pazienti particolari che
stavano seguendo una terapia elaborata di recente.
Nessuno dei due ragazzi aggiunse altro o fece domande, tacquero e fissarono lo
sguardo nel vuoto immaginario che era dinanzi i loro occhi.
Arthur si estraniò a tal punto che assistette passivo alla visita nella clinica. Le
immagini gli passarono nelle pupille veloci come in una pellicola accelerata.
Un momento si trovava nell'atrio e l'attimo dopo aveva attraversato decine di
corridoi.
Le scale non le sentiva come al solito, era come se ci stesse volando sopra.
Guardò nelle stanze aperte e vide degli esseri dalle forme strane, li chiamò così
perché non avevano più molto di umano. E mai si sentì così colpevole di essere
nato normale e di non averne fatto tesoro come in quell'istante.
Si fermò a fissare una vetrata.
-Nulla!-
All'interno della stanza si vedevano solo delle bianche pareti imbottite.
Georgeanne e il professore erano dietro di lui, a pochi metri lo tenevano
d'occhio come si fa con un bambino che ha appena imparato a camminare.
La ragazza vide che sulla porta, appena sotto al vetro, c'era scritto -McArthur-,
e sotto, molto più piccolo, -Prof. S. Shiver-.
Arthur era preso dall'atmosfera di mistero e non fece assolutamente caso a quei
particolari.
Per Georgeanne c'era qualcosa che non andava, dei tasselli erano stati
volontariamente scambiati creando una sottile confusione difficile da eliminare.
-Dov'è Paul?-, chiese Arthur senza mai staccare lo sguardo dalla vetrata della
porta.
Il professore con un cenno della mano gli indicò che quello che stava cercando
era proprio davanti a lui, nascosto sotto la vetrata, dietro la porta.
-Devo entrare?-, domandò il ragazzo senza rivolgersi a nessuno in particolare.
Il professore, consapevole di essere visto nel riflesso del vetro, mosse il capo
annuendo.
Georgeanne sentiva un forte mal di testa che non le permetteva di concentrarsi
per distinguere cosa poteva generare quel suo senso di disagio momentaneo.
Tuttavia riuscì a consigliarlo bene.
-Non andare Arthur!-
Ma nonostante ciò Arthur non si tirò indietro di fronte al suo destino.
Giunto a quel punto era l'unico passo da compiere, anche se difficile, per
riottenere la pace mentale.
Carezzò il viso di Georgeanne sfiorandole una guancia e le baciò l'altra mentre
una tiepida lacrima della ragazza approdava sulla pelle ruvida di Arthur.
La porta si spalancò senza che nessuno la toccasse.
Arthur era dentro la stanza.
Dietro di lui le grida di Georgeanne venivano soffocate da mani indiscrete.
-Esci subito... E' un es... uh!-
La porta era già chiusa quando scese il silenzio ed il vuoto nella sala.
Arthur fece un giro su se stesso senza vedere nulla intorno a se.
Poi si accorse che colava lento e regolare dal soffitto del liquido rosso.
Quando fu colpito da una goccia alla testa guardò in alto, aprendo la bocca ed
inarcando le sopracciglia involontariamente.

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