XII. FINALMENTE A CASA.

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Arthur invece non ci pensò due volte, sentiva che avrebbe scoperto qualcosa
solamente andando nel New Jersey.
Così qualche ora più tardi erano ai confini della cittadina, una scritta
scarabocchiata dava un improbabile benvenuto -Welcome to Nexo -.
Appena lasciata la statale, prima di avvistare le prime abitazioni, si fermarono ad
un ritrovo per camionisti, il cui nome non prometteva niente di buono: Dimora
dell'Inferno di Nexo.
Acquistarono una cartina stradale e ripresero la via.
Nexo era una cittadina semplice, poche strade ma tanta vita.
Le villette si accalcavano lungo le vie, mentre un fornitissimo centro
commerciale era facilmente raggiungibile da qualsiasi direzione.
Vecchi e bambini si infastidivano gli uni con gli altri nel parco vicino alla piazza
grande.
I ragazzi erano quasi tutti a scuola, mentre la maggior parte dei loro genitori era
a lavoro nelle piccole cooperative agricole e qualcuno negli uffici della grande
metropoli.
La giornata era cominciata bene, il cielo era sereno e la temperatura non
eccessivamente calda.
Arthur e Georgeanne attraversavano la cittadina pensando che fosse un posto
da vacanze, niente a che vedere con la confusione del traffico e la frenesia
metropolitana che avevano lasciato alle loro spalle.
Passarono Paingrief Road, giunsero alla fine, quando d'un tratto pensarono di
riconoscere senz'ombra di dubbio l'abitazione di Paul.
Il numero civico, impresso a fuoco sul legno di un malridotto cancelletto di
legno, era non a caso il 77.
La casa a due piani sembrava abbandonata da diversi anni.
La vernice era cotta e crepata un po’ ovunque. Mancavano delle tegole dal
tetto.
I vetri delle finestre erano stati rotti e i sassi erano ancora conficcati nella retina
ferma insetti.
Il giardino era secco, come se fossero state bruciate le radici delle piante.
La cassetta della posta era arrugginita, come tutto quello che era in ferro, ma
mostrava ancora il nome degli ultimi inquilini del posto: "McArthurs".
Tra l'erbaccia alta si distingueva a malapena un cartello per l'affitto macchiato
con degli strani schizzi di vernice rossa. La stessa con cui era stato scritto sulla
parete frontale della villetta "NO IT", e dall'altra parte della porta d'ingresso
"ANNA D".
-Potrebbe essere stato qualche superstizioso che ha avuto a che fare con Paul o
con la sua famiglia.
Potresti non essere il primo a cui si aggrappa Paul per restare nel mondo dei
vivi.-
-Però è strano che abbiano usato la terza persona neutra, non ti pare?-
-E' vero sembra quasi un avvertimento... o meglio un ordine verso qualcuno che
non deve più rimettere piede nella casa.-
-Forse si tratta proprio di Paul.-
-E allora visto che io rivivo le sue esperienze, spero che lui si contorca nel
ricordare questo. Entriamo!-
La porta cigolò soffrendo per lo sforzo e la luce squarciò la polvere alzatasi per
dare il benvenuto.
Ogni cosa era coperta da lenzuola bianche.
-Guarda!-, disse Georgeanne scoprendo una foto sul caminetto.
-Guarda... Questo è Paul.-
Arthur si era seduto su di una poltrona e provando piacere nel saggiarne la
comodità non si era alzato.
La ragazza gli portò la fotografia e poi aprì le finestre.
Nell'immagine, ingiallita dal tempo, si mostrava, a mezzo busto, un bambino
dall'aria innocente e dal sorriso malinconico, coperto dalla sua firma: Paul
McArthur.
Georgeanne commentò -Così sembra uno dei tanti bambini innocenti che
sfortunatamente trascorrono una vita difficile senza volerlo.
Chissà cosa avrà fatto per inimicarsi la cittadina.
Forse posso comprendere come grossi dispiaceri e indelebili delusioni lo
abbiano reso uno spirito insoddisfatto dopo la morte.
Ma non capisco perché debba rendertene partecipe... Quale legame c'è tra voi
due?-
Arthur non seguiva le parole della ragazza, era già oltre, davanti ai suoi pensieri
più veloci.
Una serie di flash da fuori la strada entrarono nella camera, attraversandola
sempre nella stessa direzione, portandosi dietro atmosfere di altri tempi.
Forse era solo il riflesso del sole sui vetri di qualche auto, oppure era tornato a
fargli visita qualcuno a lui molto caro.
La sagoma di Georgeanne mutò d'aspetto nel passare attraverso una porta e si
ritrovò cambiata nel riflesso dello specchio che la mostrò come una donna
sovrappeso ed avanti negli anni.
-Art, questa sera non sei autorizzato a mettere piede fuori della porta. Ci siamo
intesi?-
Nella mente di Arthur correvano pensieri e ipotesi contrastanti:
Per quale motivo era stato chiamato col proprio nome?
Era forse una mossa astuta di Paul che voleva mascherare i riferimenti alla sua
persona?
Chi era e cosa voleva quella signora?
Poteva essere la madre del suo incubo?
Era forse l'epilogo di tanta angoscia?
Ma, sentendo scricchiolare la porta d'ingresso, si accorse che non era solo con
la donna.
-Ciao Ma!-
La porta di casa s'era chiusa dietro i passi del ragazzo, e qualcosa di molto triste
aveva colpito i pensieri di Arthur.
Si sentiva abbandonato, in balia dei ricordi di uno sconosciuto, angosciato
dalla tristezza di cui era pregnata ogni cosa che lo circondava.
-Non ricominciare la storia. Sai che lui è più responsabile di te e non mi
preoccupo se esce la sera per un po’.-
Arthur non aveva aperto bocca, ma gli era stato comunque risposto.
-Fin quando continuerai a mantenere quel tuo atteggiamento... Scordatelo!
Chiaro? E non montare scuse che poi non stanno in piedi.-
Eppure non avrebbe dovuto sentire nessun risentimento, ma era più forte di lui,
soffriva e non riusciva a comprenderne il motivo.
-Basta, vai immediatamente a mangiare.-
Allora si accostò al tavolo della cucina.
-E non ti alzare finché non hai finito.-
Seduto e rassegnato guardò nel piatto e scoprì con dispiacere che non c'era
niente di buono, solo budella riscaldate in un sugo rosso sangue.
-Mangia, cosa aspetti? Sbrigati, prima che si fredda?-
Dall'altra parte del tavolo un uomo lo guardava quasi con disprezzo, mangiava
come se fosse stata la prima volta dopo mesi e senza aspettare parlava con la bocca
piena.
-Non puoi andare avanti in questo modo... Trovati qualcosa da fare... Lavora o
ricomincia a studiare.-
Allora la donna si mise a strillare.
-Non può tornare a scuola dopo quello che ha fatto.-
-Che ho fatto?-, pensò Arthur.
-Meglio che si trova un lavoro prima che lo caccio da casa...-, gridò l'uomo con
le guance gonfie delle più varie frattaglie, mentre dai lati della bocca perdeva un
rivolo di sugo e alcool.
-...Tu e il tuo "bravo" figliolo...-
Il litigio ebbe inizio con insulti senza significato, per poi divenire una cosa più
seria.
Le loro voci imperanti si mescolarono al volume alto della televisione che in
quel momento trasmetteva il telegiornale con la cronaca nera dello stato.
-...Ennesimo omicidio del serial-killer battezzato dai media "The Head Cutter" o
più semplicemente "Ted Kutter".
La scorsa sera il folle assassino ha compiuto la sua terza strage.
Il massacro si è consumato a Nexo nel New Jersey.
Le vittime appartenevano tutte alla stessa famiglia.
Questa volta Ted ha carbonizzato completamente i corpi.
Per gli agenti federali si tratta dei primi segni di cedimento nella fragile psiche
dello squilibrato. "Presto sarà condannato a seguire le sue vittime sulla sedia
elettrica".
Ma c'è chi non la pensa come le autorità e si prepara a scrivere una biografia
sull'artefice della memorabile carneficina.-
La donna perse la ragione e rovesciò in terra qualsiasi cosa si trovasse sul
lavabo.
Arthur si fece indietro, trovandosi circondato di cocci, coltelli e forchette.
L'uomo tentò di colpire la donna con l'acqua della pentola che era sul fuoco da
pochi minuti.
Poi i due passarono alle mani.
Arthur non sapeva cosa fare, e pensava che, anche se avesse voluto, non
sarebbe servito il suo intervento: era ancora cosciente che tutto era accaduto in
altri tempi a Paul.
Intanto i fornelli accesi consumavano l'aria arida e maleodorante della cucina.
L'uomo affondò un paio di colpi a pugno chiuso sulla donna, come se il grosso
peso delle braccia lo costringesse ad una fatica inumana.
La donna perse l'equilibrio e franò rovinosamente a terra trascinandosi dietro il
cesto dei rifiuti e qualsiasi cosa ci fosse dentro.
La fiamma dei fornelli aumentò senza apparente ragione e fu inevitabile che una
scintilla andasse a cadere nella pentola vicina colma di olio per frittura.
Il legno dei mobili prese subito fuoco e la vampata improvvisa di calore
costrinse Arthur ad uscire dalla cucina.
L'uomo tentò la fuga, ma, inciampando sul corpo semi incosciente della donna,
cadde battendo la testa e chiudendo la porta.
Arthur non riuscì a spostare il corpo dell'uomo che era dietro la porta, gridò per
avere una risposta dalla donna, poi si ricordò che in cantina c'era un estintore e
corse a prenderlo.
Quando tornò pochi secondi dopo, la porta era bloccata dall'interno, le fiamme
ed il fumo erano intorno al legno, mentre all'interno della cucina si sentivano litigare
violentemente i due genitori.
Tentò di far uscire la schiuma dal contenitore, ma ogni tentativo fu vano, allora
provò ad usarlo come ariete, ma riuscì solo a schiacciare la lamiera del recipiente.
Preso dal panico pensò che l'unico modo di sfondare la porta era quello di
spaccarla con l'ascia da legna.
Tornato in cantina non riuscì a togliere la lama che era conficcata in un piccolo
tronco. Non perse tempo e la trascinò sino alla cucina.
Le grida erano terminate e si sentivano solo dei colpi di tosse.
-State indietro!-, gridò Arthur mentre alzava la scure su se stesso.
Un primo colpo non fece alcun danno alla porta.
Un secondo liberò la lama mentre centinaia di piccole schegge di legno
colpivano Arthur.
Un altro colpo si conficcò talmente in profondità che non riuscì a disincastrarla.
Allora si allontanò per cercare qualcosa con cui fare leva e solo in quel
momento si accorse che la porta della cucina era completamente spalancata.
Con immenso stupore scoprì che la scure era conficcata su per una spalla sin
giù al torace della donna di cui ebbe la certezza di essere figlio e gridò
spaventandosi di se stesso.
La donna, ormai in fin di vita, cadde sul pavimento.
Il viso era schiacciato sulle mattonelle colorate di un rosso umano.
Il suo affanno si mescolò al gorgoglio del sangue che saliva e scendeva nella
trachea.
Arthur si accorse di avere le mani ed il volto sporchi di sangue e tentò
disperatamente di pulirsi invano.
Pianse e si disperò come un bambino che ha fatto qualcosa che gli era stato
detto di non fare assolutamente.
L'uomo lo chiamò con fare imperativo da dietro le fiamme che separavano in due
la cucina.
-Chiudi il gas... Il gas... Che aspetti a chiudere il gas.-
Ma Arthur non aveva idea di dove si trovasse la valvola del gas, così strappò
l'ascia dal corpo della donna per distruggere i fornelli e qualsiasi altra cosa che
continuava ad alimentare le fiamme.
Ma le fiamme presero a correre per tutta la stanza senza trovare pace.
Arthur provò ad aprire i rubinetti dell'acqua e ci rimediò una scottatura, così
decise di farli saltare dalla parete con dei precisi colpi di scure.
Ormai non riusciva più a separarsi dall'arnese, aveva le mani ustionate e solo
con quello riusciva a muoversi tra le fiamme.
Colpì e poi colpì ancora, distruggendo, frantumando e maciullando qualsiasi
cosa stesse bruciando.
Poi un sibilo assordante e finalmente entrò in funzione il sistema antincendio
che attivò le piccole pompe idriche del soffitto.
Sembrava di essere all'aperto sotto la pioggia, una pioggia provvidenziale che
lentamente riusciva a domare le fiamme impazzite.
Arthur esausto barcollò indietro e si sedette a riposare sulla poltrona del
salone.
Le gocce di sangue gli scendevano sul viso nonostante l'acqua tentasse di
dissolverle.
Arthur pensava a quello che era appena accaduto, a come era potuto succedere
e al perché.
Si sforzava e si picchiava la testa nel tentativo di ricordare quegli attimi persi in
cui si erano consumati i suoi atti peggiori.
Guardava dinanzi alle sue mani, impastate di fuliggine e sangue, e non credeva
ai suoi occhi.
La scure era lì, conficcata sul pavimento, tra una mattonella e l'altra, imperante
come un guerriero barbaro sulle sue vittime al termine di una vittoriosa battaglia
all'ultimo sangue.
In terra, sistemati come un mosaico tra le macerie della cucina, tra la cenere e
l'acqua, c'erano i corpi dilaniati dei genitori.
Guardò con confusione e poi tornò a fissarsi le mani da cui colava del sangue
raffermo.
Per la strada si sentiva la sirena della polizia correre tra le vie di Nexo.
Una voce ripeté più volte -Che è successo?-
All'ennesima domanda il sangue sulle mani si sciolse sotto l'acqua degli
estintori.
Voltandosi verso la voce, Arthur riconobbe Georgeanne che gli veniva
incontro.
-Che è successo? Come ha fatto ad attivarsi il sistema antincendio?-, disse la
ragazza mentre tentava di ripararsi la testa con la borsa.
-Credo di aver assassinato due persone... Anzi ne sono certo!-
La ragazza che andava di fretta verso l'uscita si fermò sotto la pioggia artificiale
avendo perso improvvisamente la voglia di ripararsi.
Aveva colto nelle parole e nello sguardo del ragazzo qualcosa di freddamente
serio.
Arthur era confuso, ormai era sull'orlo del precipizio che porta alla follia e gli
eventi ve lo stavano trascinando sempre più velocemente.
Distingueva a malapena la differenza tra allucinazione e realtà, non sapeva più
qual'era la sua identità. Sapeva di essere Arthur, ma era anche certo di essere Paul,
oppure di esserlo stato e quindi di poterlo essere di nuovo.
Il giusto e l'errato, il buono e il cattivo, il bene e il male erano talmente vicini da
non poterli più distinguere nettamente.
Georgeanne chiamò Arthur più volte e la sua assenza di risposte le fece pensare
che stesse avendo un'altra allucinazione.
Così si gettò al suo collo piangendo disperata, lo afferrò alla testa e gli gridò in
faccia.
-Non hai ucciso nessuno.
Non sei stato tu. Non sei un assassino. Non sei Paul.
Arthur! Tu sei Arthur C. d'Oyl.
Lo sei sempre stato e continuerai ad esserlo.
Mi capisci?-
Poi lo abbracciò e lo accompagnò fuori da quella casa.
Salirono in macchina, lo assicurò al sedile con la cintura e si preparò ad andare il
più lontano possibile da quella cittadina.
Ma mentre girava la chiave di accensione restò atterrita nel notare attraverso lo
specchietto retrovisore che la scritta di vernice rossa che copriva la parete frontale
della casa si leggeva chiaramente.

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