XI. ULTIMO GIRO NEL MONDO DEI SOGNI

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Così sognò di essere in strada, o almeno gli sembrava dal rumore dei motori che


passavano lontani in fondo al vicolo.


Continuava ad avere gli occhi chiusi, perché solo così era tranquillo.


Ma uno di quei rumori prese la sua direzione, un motore potente, un'automobile


di grossa cilindrata.


Le sue ruote erano enormi, schiacciavano l'asfalto spaccando in due il velo di


acqua che lo ricopriva.


Improvvisamente gli schizzi lo colpirono in pieno volto, sobbalzò, mentre lo


spostamento d'aria travolse gli stracci che lo ricoprivano.


Allora aprì gli occhi e si rese conto di essere su di un marciapiede, di avere a


disposizione solo pochi miseri lembi di coperta per coprirsi.


Era notte fonda, il lampione più vicino era lontano, il tombino più lontano


puzzava come se ci fosse stato seduto sopra.


L'aria era fresca, poteva essere mattina presto e tra breve si sarebbe riscaldato


con i raggi del sole, ma potevano anche essere le ultime luci della sera, e allora non


avrebbe resistito al freddo della notte.


Non pensò a come era finito in quel posto e quale posto fosse. Reagì come una


cavia da laboratorio che appena in terra corre verso l'uscita.


Così cominciò a guardarsi intorno mentre raccoglieva a sé i fogli di un giornale


che volteggiavano spinti da un impercettibile vento.


Di fronte c'era un vicolo cieco che somigliava in modo spaventoso ad una


discarica a cielo aperto.


Ma anche intorno a lui lo scenario non era molto differente: montagne di


immondizie fetide lo rendevano quasi invisibile.


La pioggia ricominciò a cadere così come aveva smesso, senza ragione


apparente.


Un grido attirò la sua attenzione: un ragazzo correva disperato tentando di


sfuggire ad un paio di criminali di bassofondo.


Imboccò il vicolo cieco e per lui non ci furono speranze.


Venne malmenato e spogliato.


Mentre i due bravi si contendevano il bottino, il ragazzo tentò la fuga.
La sua speranza di salvare la pelle venne negata da un grosso coltello a


serramanico che gli spuntò davanti all'improvviso senza neppure dargli il tempo di


gridare un'ultima volta.


Il ragazzo cadde in ginocchio a pochi metri da Arthur, lo guardò fisso negli


occhi mentre con le mani tentava di trattenersi le budella nello squarcio


sull'addome.


Arthur ebbe la certezza che quegli occhi chiedevano aiuto e poco prima di


chiudersi gli implorarono di fare giustizia.


La pioggia cadeva più fitta e copiosa, come se fossero state le lacrime che il


ragazzo non aveva potuto versare.

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