IX. ORME.

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Almeno così sembrava ad Arthur che in continuazione mescolava realtà e
fantasia con dei flash quasi impercettibili.
Eppure era convinto di conoscere il posto, di sentirlo cambiato come se fosse
stato lontano per parecchio tempo.
-Girato l'angolo c'è un'edicola... No, non c'è più devono averla spostata.
Dannazione! Non sono matto.-
Diceva cose senza senso che Georgeanne tentava di assecondare per
dimostrargli che era tutta un'invenzione della sua mente.
Arthur parlava di particolari troppo dettagliati per non essere veri, ma purtroppo
si dimostravano dei fantasmi.
Tutto pareva cambiare aspetto e forma poco dopo le parole del ragazzo.
E mentre giravano per le vie del quartiere Arthur non faceva altro che guardare
in alto, verso i palazzi, nella speranza di ricreare la prospettiva della cartolina che
aveva visto in sogno, in modo di poter riconoscere il palazzo di Paul.
Poi improvvisamente degli spari attirarono l'attenzione di Arthur mentre l'auto
era ferma ad un semaforo.
Un ragazzo con il volto coperto si precipitò fuori da un pub con un sacchetto
stretto tra le braccia, senza accorgersi che sulla sua traiettoria c'era l'automobile di
Georgeanne.
-Attenta!-, gridò Arthur abbassandosi tra i sedili.
Georgeanne non vide nulla, mentre per Arthur il delinquente urtò violentemente
sul cofano proprio mentre un suono incrociato di clacson innervositi provocava
una partenza a singhiozzo del mezzo.
-Ferma! Fermati-, poi appena si riprese dallo spavento -Accosta per favore.-
Nessuno aveva visto, per nessuno era accaduto nulla, mentre per Arthur era
successo qualcosa di inconcepibile.
-Vorrei entrare in quel pub... c'è qualcosa... Non so spiegare.-
La ragazza lo guardò con un espressione a metà tra il nervoso e il rassegnato,
sbuffò leggermente e poi si accostò appena possibile al marciapiede.
-Cos'è questo?-
Appena sceso Arthur fece notare a Georgeanne la macchia che secondo lui
aveva lasciato quel tizio ferendosi per aver urtato il cofano dell'auto. Ma la ragazza
pulendola asserì di averla fatta lei con dello sciroppo almeno una settimana prima e
di non aver avuto il tempo di levarla.
-Mi scusi, lei è molto che è qui?-, chiese Arthur al barman.
-Direi appena una vita... Sprecata, per giunta.-
L'uomo dietro il bancone nonostante fosse abbastanza avanti negli anni era di
corporatura robusta e, a dir poco, enorme. Anche il locale sembrava essere un
vecchio rifugio per nostalgici degli anni settanta.
-Beve qualcosa o vuole solo intervistarmi... è un giornalista? Della radio? Della
TV?-
Arthur non percepì nell'anziano signore quella nota di sarcasmo che gli avrebbe
dovuto suggerire di lasciar perdere.
-Vorrei sapere se vendete delle cartoline della zona, o se c'è qualcuno da queste
parti che lo fa?-
Il barman scoppiò a ridere gorgogliando un minuscolo bicchiere di whisky.
-Ragazzo stai scherzando!
Non ho bisogno di un cabarettista per il locale.-
Georgeanne aveva afferrato che tipo di carattere possedeva l'uomo dietro il
bancone e cominciò a tirare Arthur verso l'uscita, per una manica del giacchetto,
senza dare troppo nell'occhio.
-Lascia perdere. Sei bravo ma oggi non è la tua giornata fortunata.
Non ho nient'altro da dirti.
Se non devi bere allora puoi anche andare... Lontano.-
Ed era l'unica cosa che gli restava da fare, visto che non sarebbe riuscito a
conversare con un tipo come quello. Ma un ulteriore flash lo convinse ad insistere.
-Un biliardo! Dov'è il biliardo... è stato spostato forse?-
Arthur aveva avuto la visione di un allegra comitiva che si stava sfidando ad un
tavolo da biliardo ed era certo che tra loro ci fosse stato proprio colui che stavano
cercando.
-Non ho mai posseduto un biliardo... Ma se stai provando a farmi irritare direi
che ci sei riuscito benissimo.-
-Due birre... Una scura ed una chiara, di qualsiasi marca e prezzo-, disse
Georgeanne mentre trascinava Arthur verso la toilette.
Il barman, che ormai si era già tolto il grembiule che gli tratteneva il lardo della
pancia, tornò sui suoi passi per servire le bevande.
-Ma stai cercando di farti male? Non ti basta la confusione psicologica che hai?
Vuoi anche qualche osso rotto?-, gli bisbigliò la ragazza, -Aspettami qui. Vado un
attimo in bagno. Vedi di trattenerti, altrimenti qualcuno te le suonerà volentieri
prima che io riesca a fermarlo.-
Il ragazzo annuì con la testa senza proferire parola, convincendosi che la
ragazza aveva effettivamente ragione.
E mentre attendeva come un bravo bambino fuori della porta, vide appuntata su
di una bacheca una foto, un'inequivocabile testimonianza.
-Un gruppo di gente intorno ad un tavolo da biliardo...-
La tolse dalla cornice e la osservò attentamente. Aveva l'impressione di
conoscerli tutti, ma nello stesso tempo era convinto di non averli mai visti.
-Tieni guarda questa!-, disse mentre porgeva l'istantanea alla ragazza, -Adesso
mi credi!-.
Georgeanne restò senza parole.
Intanto Arthur si trovò ad osservare il retro della fotografia e tra le molteplici
scritte riconobbe o almeno pensò di riconoscere la calligrafia e la firma di Paul.
-Qual è di questi?-, chiese la ragazza con tono particolarmente scosso.
Arthur ci pensò un po', guardò attentamente l'immagine, i suoi protagonisti uno
ad uno, ma non riuscì a identificarlo.
-Ho bisogno di uscire da questo posto.
Un mal di testa insopportabile mi sta spaccando il cervello da quando siamo
entrati qua dentro.
Ho bisogno di una boccata d'aria.-
La ragazza lo prese sottobraccio e lo trascinò per il locale.
Si fermò un attimo al bancone per bere un sorso di birra e pagare la
consumazione, poi si precipitò verso l'uscita.
Ma a pochi metri dalla soglia una voce impietrì le gambe del ragazzo: -Art!-
Il suo nome era stato pronunciato da qualcuno nella sala.
Purtroppo la sorpresa era stata tale da non dar modo di stabilire chi fosse stato
a chiamarlo.
-Che c'è ancora? Cosa ti è preso?-
Georgeanne non aveva sentito assolutamente nulla, ma dall'espressione di
sgomento di Arthur dedusse che c'era appena stata un'altra di quelle reminiscenze
senza riscontro.
-Chi mi chiama?...-
-Ciao Art!-, uno degli anziani che erano seduti al tavolo da gioco si alzò
nascondendosi le carte nel taschino della giacca.
-Ci conosciamo?-, gli chiese il ragazzo con voce dubbiosa.
-Ne sono passati di anni, figliolo.
Ma è un peccato che tu abbia dimenticato il tuo vecchio amico.-
Arthur si concentrava ma non serviva a nulla.
-Il fiumiciattolo, la canna da pesca che abbiamo costruito, i pesci che ti sei
mangiato... Non mi ricordi?-
Georgeanne disse decisa -Mi spiace signore, si sta sicuramente sbagliando con
un altro-, e provò a tirarsi dietro Arthur.
Il ragazzo si sforzò il più possibile, ma non riuscì a rovesciare i meandri della sua
mente per tirar fuori anche una sola immagine, un odore o una sensazione, una
parola.
-Niente!-
Il vecchio gli accarezzò il viso con la sua mano rugosa e tremolante, poi con le
lacrime trattenute a stento disse -Capisco!-, e sospirò.
-Sapevo che un giorno non mi avresti riconosciuto...
...E sarebbe stato anche l'ultimo... Addio piccolo Art!-
L'anziano signore tornò al suo posto.
Appena usciti dal locale la ragazza si diresse verso l'auto, mentre Arthur restò
immobile a guardare il fondo della via.
Tra i tanti sporchi e malandati palazzi c'era anche l'edificio della cartolina. Stessa
prospettiva, stessa luce, solo allora gli venne in mente che si trattava di
un'istantanea scattata con una polaroid e non una cartolina.
Convinse la ragazza ad accompagnarlo al presunto appartamento di Paul.
Nel frattempo Georgeanne tentava di dare una spiegazione agli avvenimenti del
pub.
-Potrebbe essere che somigli in modo particolare a qualcuno. Così il vecchietto
ha pensato di vedere lui in te, invece si sbagliava.-
-E' un'ipotesi...-, rispose distrattamente Arthur, ma non era poi tanto convinto.
Intanto le strade del quartiere cambiavano continuamente d'epoca in una sorta
di gioco psichedelico che Arthur non riusciva a fermare neanche restando ad occhi
chiusi.
-Ti sbagli!-, disse mentre si voltava di scatto verso la ragazza.
-Sono stato chiamato con il mio nome, non può essere solo una coincidenza.
Non riesco a ricordarmi, forse deve essere qualche vecchio conosciuto
allíorfanotrofio che per coincidenza ho trovato proprio nel momento meno indicato
e nel posto sbagliato.-
Comunque la strada era breve e tra un silenzio di riflessione e uno di incertezza
giunsero al palazzo.
Suonarono alla porta dell'appartamento.
Georgeanne fece aspettare Arthur fuori della porta, non voleva che il ragazzo le
rovinasse il piano.
Raccontò alla proprietaria una falsa storia di ricerche universitarie, le mostrò un
poker di tesserini, ma riuscì a farsi accettare solamente offrendo una ventina di
dollari per la collaborazione.
-Prego architetto-, disse la signora ad Arthur facendolo accomodare.
Il ragazzo si guardò intorno, come se fosse stato a conoscenza dell'aspetto della
casa.
-Com'è cambiata-, sussurrò Arthur.
-Lei vi è già stato suppongo. Io non posso saperlo. Mi sono trasferita da poco e
poi sul contratto vi erano tanti di quei proprietari precedenti che la casa deve
averne ospitate di persone e di loro amici.-
-Certamente-, disse Georgeanne mentre preso un blocco di fogli dalla borsetta
faceva finta di disegnare e prendere appunti.
-Manca una parete divisoria, qui prima c'era una specie di ripostiglio... Una
stanza piccola piccola.-
-Allora architetto lei c'è stato veramente-, disse la signora quasi contenta della
nota, -anche gli altri inquilini che sono venuti a vedere mi hanno detto che ho fatto
bene a buttar giù quella parete. Ho guadagnato in spazio e luce. Lei che ne pensa
architetto?-
Ma Arthur non era più nella sala, mentre Georgeanne aveva incentrata su di se
l'attenzione della signora, lui era andato nella camera.
-Lo deve scusare signora. E' un uomo d'arte e come lei può ben sapere sono tipi
stravaganti delle volte.-
Quando giunsero nella camera lo trovarono chino in terra, mentre raccoglieva
da un piccolo buco sotto ad una tavola del pavimento una monetina.
-Ma che sta facendo. E' impazzito forse?-, strillò isterica la proprietaria.
Georgeanne prese in disparte Arthur per avere spiegazioni.
-La parete è stata tolta perché era sporca di sangue.
La signora non lo ritiene un particolare importante... Forse...-
Ma la donna non fece caso all'affermazione, si preoccupò solamente di
recuperare quello che era stato chissà per quanto tempo in casa sua.
-Mi restituisca quello che ha rubato, immediatamente o chiamerò aiuto! Non mi
faccia perdere la pazienza.-
Arthur aprì lentamente il palmo della mano mostrando un vecchio dollaro del
1977 interamente coperto di sangue.
La signora, che stava per gettarsi sul bottino, restò impressionata, fece un salto
indietro e strillò.
Arthur sovrappose, all'urlo isterico della signora, quello disperato della sua
allucinazione che mostrava un uomo mentre massacrava un cane con un corpo
contundente.
Sentiva come se il cane avesse preso il dollaro e le grida fossero state le sue, ma
non sapeva come fermare l'esecuzione.
Su quella parete c'era tutto quello che restava del miglior compagno di giochi
che si potesse desiderare di avere.
-Che scherzi sono. Fuori da casa mia immediatamente.-
-Signora è lei che ha gridato?-, disse uno affacciato alla porta mentre teneva la
mano sulla fondina.
-Siamo ricercatori universitari. Il nostro lavoro qui è terminato. Non si preoccupi
agente stavamo andando-, disse Georgeanne, pur sapendo che quello era solo un
custode di banca, ma sperava che dandogli più importanza riuscisse ad incantarlo.
Al piano terra incontrarono il portiere del palazzo che volle a tutti i costi sapere
cosa stavano cercando.
-Chi abitava al 17 prima della pazza isterica?-, chiese Arthur.
Il portiere, con la sua aria da padrone, cominciò a fare domande a raffica.
-Chi siete? Chi cercate? Chi vi ha autorizzati ad entrare?...-
Georgeanne ricorse di nuovo alla storia dei ricercatori universitari.
E anche in questo caso venne a galla l'abilità della ragazza, la capacità di capire
le persone con uno sguardo, di saperne interpretare i comportamenti e gli
atteggiamenti, anche quelli invisibili ad occhi allenati.
-Ai fini della ricerca sarebbe importante sapere il nome degli inquilini dell'interno
17 dei precedenti trent'anni, lei sarebbe in grado di dircelo? O è in grado di
indirizzarci verso qualcuno che lo sappia?-
E fu così che fornendo la domanda sotto forma di sfida, di competizione, riuscì
ad ottenere quello che volevano sapere.
-Certo! Prima c'erano i "MecArt" o erano i "McArthur"... no forse si
chiamavano "McArthny". Comunque sicuramente li ricorderà il barman del pub
infondo alla via, gli dica che la mando io.-
Georgeanne ringraziò e si precipitò in auto.
Per lei non c'erano dubbi, la sua teoria scartata a priori sembrava essere la
verità.
-Prima della tua vita in orfanotrofio non ricordi nulla?-
-No!-, rispose il ragazzo.
-E' un evidente "blocco di memoria" dovuto a problemi di carattere psicologico.
Quello che voglio dirti è che, quelle che tu chiami allucinazioni, potrebbero
essere ricordi che tornano a galla dopo tanti anni di profondità.
E come tutte le persone con il carattere simile al tuo, che restano impressionate
fondamentalmente dagli avvenimenti negativi, così tu non ricordi altro che cattive
storie.
Il fatto grave è che se non ti sbrighi a rassegnarti potresti arrivare ad un
esaurimento nervoso e nel peggiore dei casi alla schizofrenia-.
Arthur non sapeva più cosa pensare, era in attesa, come un elaboratore che
aspetta l'informazione mancante, -...ma in attesa di cosa?-, si chiedeva, mentre il suo
cervello pulsava come una stella prima di esplodere.
E se quello che avrebbe scoperto non gli fosse piaciuto, come avrebbe fatto a
ricominciare da capo?
Poco dopo essere rientrati in casa, il telefono cominciò a squillare come un
allarme antincendio.
-Pronto... Professore!-
-Potrei parlare con Paul?-
-Subito professore-, disse Georgeanne, ma visto che il ragazzo già dormiva sul
divano, inventò una scusa, -Mi spiace, è sotto la doccia e non me ne ero accorta.
Se vuole posso riferire un messaggio.-
-Ho saputo che mi avete cercato all'università e volevo solo avvertirvi che
tornerò domani.-
-L'aspettiamo...-

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