VII. VERSO L'IGNOTO

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-Ero stanco, un forte dolore alla schiena mi spezzava il respiro, probabilmente
era dovuto ad una cartella, grossa quasi quanto me.
Camminavo senza rendermi conto di dove stessi andando.
Poi un automobile mi tagliò la strada, mi mancò per un pelo e mi avvolse con il
fumo di scarico puzzolente.
Il mio sguardo la seguì fino al parcheggio privato di una scuola. Ne lessi il nome
"Leonard Techschool".
Solo allora capii dove ero diretto.
Entrai nell'edificio.
Era chiaro che le lezioni non erano ancora cominciate: troppe persone in giro e
troppo casino.
Alle mie orecchie giungeva tutto come se avessi abbassato il volume della radio
e i movimenti degli altri erano lenti come quelli di un mimo contro il vento.
Mi venne urlato dal bidello di andare subito in classe, o almeno così mi sembrò
dal movimento delle sue labbra.
Tentò di prendermi, di toccarmi, ma ne avevo talmente schifo che preferii
buttarmi in terra piuttosto che lasciarmi sfiorare.
L'aula era tetra, sporca in terra e velata di ragnatele sul soffitto.
Dalle finestre si vedeva il cortile: tutti giocavano, solo la mia classe era dentro
per punizione. E avevo la sensazione che dipendesse da me.
Fuori la vita correva normalmente, mentre dietro il vetro del finestrone tutto era
lento come se fossimo stati sott'acqua.
Sulla lavagna pochi disegni brutti e senza apparente significato. Sui muri
nessuna scritta, ma da vicino si vedeva chiaramente che ne erano talmente coperti
da sembrare un colore unico.
Improvvisamente sentii di dovermi alzare dal banco: avevo finito il compito ed il
maestro avrebbe premiato il primo... Solo il primo.
Lentamente mi feci avanti dall'ultimo banco, mentre gli altri erano tutti fermi ai
loro posti a distillarsi il cervello.
Quando fui davanti alla cattedra non feci in tempo a consegnare che tutti mi
furono addosso, spingendo come pazzi.
Il maestro si alzò in piedi per non lasciarsi schiacciare dietro al tavolo.
Fui travolto dagli altri che mi spinsero contro la cattedra, contro il maestro,
inciampai e gli calpestai un piede.
Ebbi appena la capacità di capire che di tanti piedi da bambini avevo preso
l'unico da adulto, che subito un forte schiaffo sul viso mi accompagnò fuori la porta
dell'aula.
Allora piansi l'ipocrisia della vita e mi resi conto che la giustizia non era, non è e
non sarà mai di questo mondo.
Nascosto dietro una pianta, nel corridoio, sperai di svegliarmi, di risvegliarmi
grande e grosso, tanto da poter parlare ed essere sentito, ma purtroppo ero in
trappola, racchiuso in una piccola mente in corsa verso l'ignoto.
Lo squillo della campanella sulla mia testa mi trovò impreparato.
Una bambina mi vide fare uno scatto di nervi che non volevo fare.
Mi guardò ed io guardai lei. Era bella, leggera nei movimenti e rassicurante nei
lineamenti.
Le lacrime colmarono i miei occhi distorcendo quanto di più rasserenante ci
fosse in quel momento e non mi lasciarono capire che lei si stava avvicinando.
Le porte! Quelle maledette porte si aprirono nel momento sbagliato.
La persi di vista e il mio tentativo di andarle incontro si risolse in un tuffo sulle
mattonelle del pavimento.
Mi alzai di scatto nel giardino antistante la scuola.
Era sicuramente ricreazione, tutti mangiavano e giocavano senza curarsi di
nulla.
Il cielo era rosso sangue e opprimeva la terra con un'atmosfera più pesante del
solito.
Alcuni correvano dietro ad un pallone, ma mi cacciarono senza apparente
ragione quando lo raccolsi per darglielo.
Mi evitarono anche altri e fui spinto via.
Una forte fitta allo stomaco mi costrinse a piegarmi in ginocchio a terra. Mi resi
conto che era la fame.
Qualcuno mi notò, molti mi notarono.
Tutti mi presero in giro, le loro braccia alzate mi indicavano, i loro volti era
divertiti, le loro parole incomprensibili, indossavano tutti lo stesso grembiule nero
ed un ridicolo fiocco blu vellutato.
Mi accorsi che non avevo il grembiule, che il fiocco non mi stringeva la gola,
che ero diverso da loro e loro in quanto maggioranza erano l'esempio da seguire. E
corsi via disperato perché non ero come loro, e non ero come altri, e non sapevo
come ero e come volevo essere.
Cercai di vedermi attraverso il riflesso di una vetrata ma lentamente tornai a
veder la luce...-

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