CAPITOLO 5.

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OLIMPO.

"Bene, adesso è sul mio territorio. Povera piccola bambina, farai la fine di tua madre."
Kokou, aveva dato vita a un regno del terrore; il cielo non era più blu ma nero misto al rosso, poiché il regno dei cieli e quello dei morti si erano ormai fusi in un'unica cosa. Le anime, gironzolavano tra gli spazi che una volta erano vissuti dalle altre divinità. Essi tormentavano le menti degli dei rimasti vivi e che adesso erano legati con delle catene fatte di un materiale simile a quello usato per forgiare le spade che un tempo trafissero molti di loro, la cui funzione, al momento, era di attutire o meglio annullare i loro poteri, rendendoli simili agli umani. L'Olimpo non era altro che il regno di Kokou e dal suo trono mandava il suo esercito in battaglia a combattere gli umani. Uccideva donne e bambini, lasciando gli uomini soli e abbandonati così come fu abbandonato lui dalla donna che amava. Il suo principale obiettivo era quello di distruggere la possibilità di dar vita ad altre donne come quella che l'aveva ferito. In sostanza avrebbe annientato la razza umana. Un piano terrificante per qualcuno che si faceva chiamare "dio", il quale dovrebbe essere caritatevole, buono e di esempio; invece, Kokou si nascondeva dietro la sua armata di anime per combattere un male che era, per certo, solo nella sua testa. La terra di Ilang, ha visto migliaia di morti; donne e bambini senza vita, la pelle pallida e le labbra ormai secche davano dimostrazione della brutalità di questo dio che nulla era senza che impartisse dolore agli altri. Il Kokou che aveva conosciuto la madre di Navir non esisteva più.

"Tu, dio inutile con le ali". Si rivolse con tono acido e maligno nei confronti del messaggero degli dei, anche lui schiavizzato dalla magia oscura degli inferi e che adesso era costretto a servire il dio a " tempo indeterminato" come aveva sostenuto anni prima lo stesso Kokou sogghignando con fare trionfante .
"Manda un messaggio alla mia cara sorella Oyà e dille che io la sto osservando." Il messaggero alato, fu costretto a volare e planò nei cieli rosso sangue fino alla terra di Ilang, dove Oyà e sua nipote marciavano a passi svelti.

ILANG.

"Zia ma tu sei sicura che sia questa la strada giusta?".
"Tesoro mio, spero sia quella giusta. Qui non c'è nulla e onestamente sto incominciando a dubitarne anche io." Molti anni prima Oyà aveva visto dall'Olimpo una sfilza di ragazzi e ragazze incamminarsi verso questa scuola; dicevano di essere semi-dei e aveva visto molte delle divinità andare fiere dei loro figli semi-divini. Per dirla tutta, era cosa comune per gli dei avere figli con donne sulla terra, poiché erano convinti che questo fosse l'unico modo per assicurarsi che la terra fosse in qualche modo protetta. In realtà Oyà, vedeva quelle donne mortali come delle vittime; il giorno prima giacevano in un letto con un uomo bellissimo, che a detta dello stesso era un dio, sentendosi le più fortunate di Ilang, e il giorno dopo si ritrovavano incinte con un pancione che cresceva di giorno in giorno sempre di più; il dio in questione, era già tornato sull'Olimpo a spassarsela con qualche divinità con la quale realmente voleva crearsi una "famiglia". Così Oyà vedeva, dall'alto dei cieli, il concepimento di questi bambini che diventavano grandi troppo in fretta e che, senza apparente motivo, scoprivano di avere qualcosa che non andava. Le madri solo allora, raccontavano dei loro padri e di quando non gli credettero mentre dicevano di essere divinità. Ed ecco che ad un tratto potevi scrutare tra le nuvole, dei ragazzini incamminarsi con una borraccia sulla spalla, verso quella che era la scuola per semi-dei di Ilang. Per secoli la stessa storia..

All'improvviso, sentirono un rumore come di ali che sbattevano e nel momento stesso in cui si voltarono, videro qualcuno sfrecciare accanto a loro.
"Aput." Oyà era sconvolta e allo stesso tempo felice di vedere un volto amico. Navir era incredula; aveva davanti agli occhi quello che sembrava il messaggero degli dei ma le sue ali erano nere e non sembrava affatto simile a quello che aveva visto nelle foto o nei cartoni animati. Questo era magro, con delle cicatrici su tutto il viso. Sembrava stanco e affranto. Le fece tenerezza.
"Salve, mia divinità. Spero si ricordi di me, nonostante i miei cambiamenti al livello fisico."
"Aput! Sono così felice di vederti."
"Tra poco la tua felicità svanirà nel nulla; sono stata mandata da Kokou per recapitarti un suo messaggio. Dice che ti sta osservando." Il sorriso che aveva Oyà sul volto fu spazzato via da tale messaggio, lasciando il posto ad una espressione rabbiosa e corrucciata.
"Quello stupido di mio fratello! Quindi sa dove stiamo andando?"
"Si."
"E in questo momento può sentire ciò che tu mi dici?"
"Probabile."
"Aput, mi serve sapere se sto andando nella direzione giusta per raggiungere Paraalang."
"Si. Prosegui dritto da qui, quando arrivi alla grande quercia gira due volte intorno ad essa. Non mi è possibile dire altro."
"Grazie." Oyà le sorrise, sperando di rivedere al più presto il suo amico. Aput un tempo era il messaggero migliore che tutti gli dei avessero mai avuto. La leggenda narra che ogni messaggero possiede delle piume capaci di trasferirvi i messaggi che stanno nella mente del suo padrone. Era persino bravo a cambiare il pensiero che scriveva, con una rapidità tale che nessuno avrebbe mai saputo cosa aveva da dire e, il più delle volte, usava questa tecnica per fare degli scherzi. Era un gran burlone, adesso sembrava più che altro un prigioniero di guerra; triste e affranto dalle pene fisiche che ha dovuto sopportare.

ILANG: Navir e l'eredità del dio.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora