CAPITOLO 17.

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Ocram si ritrovò nella clinica a fissare il corpo inerme di Oyà; quella donna era stata coraggiosa, pronta a proteggere sua unica nipote. Si era fatta uccidere e lui non era riuscito a salvarla. Come ha potuto non sentire ciò che accadeva? Come ha potuto non sentire i suoi passi, la porta che si apriva e tutto il resto? Da sempre, è stato addestrato a stare all'erta per riuscire a fronteggiare qualsiasi pericolo ed in tempo; è quello che si insegnava a Paraalang, quello che LUI insegnava. Ma a nulla erano serviti anni e anni di addestramento se adesso aveva commesso quel grande errore. Ora che l'aveva persa, si accorse di quanto facesse male la sua assenza. Gli mancava la sua voce, il suo sorriso, il suo modo gentile di dialogare. Ogni cosa meravigliosa di quella donna era stata portata via con un semplice colpo di pugnale. Amava Oyà ma se ne accorse troppo tardi. 
Si sentiva frustato, inutile, impotente. 
Aveva commesso, pure, un altro sbaglio: prima che si dirigesse, insieme ai suoi amici, verso la grande quercia, Navir si presentò alla sua porta in cerca di aiuto. Tuttavia, egli aveva rifiutato inventando banali scuse quali "sono il direttore di questa scuola, non posso andarmene." Ma la sola e unica ragione era che aveva paura. Paura di non essere in grado di gestire la situazione, di dimostrare di non essere abbastanza forte.  Aveva paura che si sarebbe umiliato con le sue stesse mani. 

OLIMPO.
Kokou sentiva di essere prossimo alla vittoria e, per tale ragione, continuava ad organizzare banchetti e festini nella sala grande dell'Olimpo.
Ci fu un tempo in cui gli dei festeggiavano, in quelle sale, la nascita di un bambino sulla terra o un buon raccolto, perché tutto quello che di bello c'era al mondo era frutto dell'amore e della devozione che loro stessi provavano per gli umani. Di fatti, nessun dio ad Ilang fu mai cattivo e crudele con gli uomini, poiché essi erano solo il risultato delle loro azioni. 

Ma Kokou, come si è ben capito, è un capitolo a parte di questa storia.
Fin da piccolo, egli amava ribellarsi e silenziosamente gioiva per le disgrazie altrui. Crescendo il suo temperamento focoso si accentuò ed il regno degli inferi era l'unico luogo in cui lui potesse governare in perfetta armonia con quella che era la sua vera natura; una volta diventato il sovrano assoluto degli abissi infernali, dettò le sue regole e chiunque non ubbidisse,  veniva severamente punito. E così, ogni volta che una nuova anima lasciava il regno dei vivi e si recava in quello dei morti, fiero mostrava il numero dei sudditi che gli erano ormai sottomessi. D'altro canto sull'Olimpo non era ben visto dai fratelli, anche se la loro inclinazione benevola li rendeva, comunque, rispettosi nei suoi confronti.
Kokou, tuttavia, era invidioso. Odiava che suo fratello Ifà fosse quello sempre al centro dell'attenzione e che sua sorella Oyà fosse la dea più ascoltata sull'Olimpo.
Infatti, ogni divinità aveva libertà di espressione meno che lui, poiché era considerato poco ragionevole e poco obiettivo. Ciò nonostante, fino a quando quella donna mortale non lo fece innamorare, lui non trovò mai un pretesto per dar sfogo alla sua rabbia e covò, secolo dopo secolo, un grande rancore nei confronti di chiunque abitasse l'Olimpo.
Adesso ogni cosa era cambiata: lui governava il cielo e la terra. Ognuno di quegli dei che lo avevano reputato inferiore, era costretto a stare rinchiuso dentro una delle scatole infernali costruite appositamente.
Infatti , le scatole infernali avevano il potere di far vivere a chiunque vi fosse rinchiuso il momento peggiore della sua vita per tutta l'eternità. Era la tortura più cattiva in assoluto, l'unica in grado di destabilizzare mentalmente persino un dio. 
Pertanto, tra banchetti e sfarzi, in compagnia di qualche nobile anima degli inferi, Kokou festeggiava la sua apparente vittoria, ignaro del fatto che non poteva vincere; si sa che alla fine, il bene trionferà sempre sul male. 
"Sudditi, miei cari sudditi, oggi siamo qui per festeggiare una tra le prime delle tante vittorie di questo secolo. Mia sorella Oyà è morta e la sua anima adesso è rinchiusa in questo mio piccolo tesoro." Prese una delle scatole infernali; la forma ricordava tanto una piramide , era nera con delle sfaccettature rosse. Da fuori non sembrava essere nulla di più che un giocattolo ma quello era l'inferno in miniatura. La scuoteva energicamente e sorrideva con fare altezzoso. 
"Questa insieme alle altre!" Esclamò portando in alto quell'affare, in segno di trionfo. 
Gli invitati ridevano a crepapelle, orgogliosi di quella vittoria. Infatti, ad ognuno di loro, se Kokou avesse veramente vinto la guerra, sarebbe spettata una posizione di tutto rispetto e di grande rilievo. Precisamente, nel momento in cui egli avesse avuto il dominio assoluto, non sarebbe più esistita  distinzione fra Olimpo ed Inferno. Ogni area, terrestre o celeste che sia, si sarebbe trasformata in un grande e tenebroso inferno e gli uomini sarebbero stati utilizzati come schiavi. La morte sarebbe stata l'unico modo per uscirne vittoriosi da quella che tutto poteva essere tranne che vita. 

ILANG.

"Rao come facciamo ad arrivare sull'isola?" Navir era eccitata e allo stesso tempo molto preoccupata.
"Anni e anni fa, giunsi sull'isola dopo interminabili mesi di cammino. Ora che posso usare la mia magia, avremo modo di sbrigarci. Forza creiamo un cerchio."
Ognuno di loro si posizionò in modo tale da creare una vera e propria circonferenza, piccola visto il numero misero di persone, ma pur sempre quasi perfetta.
Rao prese dalla tasca qualcosa di molto piccolo ma Navir lo riconobbe. Era lo stesso oggetto che avevano usato con sua zia per arrivare ad Ilang. In un lampo i ricordi le sfrecciarono in mente e l'immagine sorridente poi agitata e ancora triste di sua zia le scombussolarono l'anima. La sua presenza sarebbe stata necessaria in quel viaggio ma doveva rassegnarsi all'idea che non sarebbe stata lì con lei. Le mancava come l'acqua manca ad un pesce sulla sabbia. 


ILANG: Navir e l'eredità del dio.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora