CAPITOLO 6.

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Oyà e Navir si ritrovarono davanti ad una grande quercia che tutto sembrava tranne che possente e rigogliosa. Oyà pensò che fosse dovuto al fatto che anche la sua anima stesse soffrendo nel vedere tutto ciò che il nipote stava progettando di mettere in atto.
"La quercia è questa; un po' malandata." Oyà si avvicinò ad essa e la toccò con la mano destra, sentendone il calore proveniente dal tronco e provando una punta di tristezza per ciò che era capitato a quel dio. Non aveva avuto modo di conoscerlo e nell'Olimpo nessuno osava nominarlo. Tuttavia poteva solo immaginare quali pene avrà dovuto sopportare e il solo pensiero la fece sentire impotente e vulnerabile. Pensò al fatto che, ormai, non aveva alcun potere come dea; le era rimasto solo il nome e l'amore che provava nei confronti di sua nipote era più forte di qualsiasi magia. Dentro di sé sentiva di doverla proteggere a qualunque costo e, adesso che si trovavano quasi al capolinea, si sentiva più confortata.
"Zia, allora? Che dobbiamo fare?" La voce di Navir destò Oyà dal flusso incessante di pensieri. Sollevò lo sguardo e vide i grandi rami della quercia intrecciati e puntellati da foglie secche. Si ricordò delle parole di Aput: gira due volte intorno ad essa.

"Ok Navir, dobbiamo girare due volte intorno al caro e vecchio zio quercia." Disse lei con l'intento di scrollarsi di dosso un po' di tensione e di far sorridere la sua adorata nipote. Ci riuscì, in effetti.
"Mi sentirò una cretina."
"Forza!". Entrambe fecero due giri intorno alla grande quercia, Oyà stava davanti e Navir dietro di lei. Finito il secondo giro, una sorta di terremoto scosse la terra intorno a loro e vicino ai loro piedi si aprì un varco enorme con una scala a chiocciola che sembrava scendere nelle viscere della terra. Oyà e Navir si spostarono di qualche metro per paura di sprofondare giù e quando tutto quel tremare cessò, diedero una occhiata al varco che si era aperto davanti i loro piedi. La scala era di legno, molto stretta, tale da consentire il passaggio uno alla volta. Una fila di torce si illuminarono alla apertura, mostrando alle giovani donne la via da seguire.
"Dai Navir, mi sa che dobbiamo scendere per queste scale."
"Zia ma non è pericoloso?" Navir, soffriva leggermente di vertigini e dentro di sé pensò di dover superare quella paura specie se realmente era figlia di un dio.
"Non essere fifona." Le sorrise e iniziò a scendere la scala a chiocciola.
Scesero quelli che sembrarono una infinità di gradini, accompagnate dalla paura di cadere da un momento all'altro. Ogni gradino possedeva un difetto; o era spizzicato o del tutto spaccato. La luce era fioca, le torce illuminavano lo stretto necessario ma Navir, nonostante la debole luminosità, si accorse che in ogni gradino c 'era una incisione. Erano lettere varie, senza alcun significato se le leggevi una dietro l'altra; si ritrovò a domandarsi a cosa si riferissero quelle iniziali.
"Navir, guarda!" La voce meravigliata di Oyà fece si che Navir sollevasse il capo e davanti a lei vide un groviglio di rampicanti che chiudevano una grande apertura ad arco. Sembrava come se fosse l'uscita di una grotta; le spesse mura in pietra odoravano di umidità ma intorno a loro, per quel poco che riuscivano a vedere, non c'era nulla. Oyà si avvicinò all'intreccio di piante che chiudeva del tutto l'uscita, istintivamente la toccò e si punse; non appena portò via il dito, i rampicanti si dispiegarono e l'uscita fu libera. Passò Oyà, ma immediatamente quegli stessi si richiusero lasciando Navir ancora dentro il sotterraneo.
"Zia, come faccio ad uscire?" Gridò Navir in preda ad una crisi di claustrofobia; improvvisamente si sentì mancare l'aria, come se si fosse appena resa conto di essere all'interno di una specie di grotta buia e languida.
"Credo che sia stato il mio sangue a far aprire il passaggio. Prova a pungerti con un ramo." Navir deglutì quel poco di saliva che le era rimasta in gola e avvicinò un dito alla pianta. Si ferì come aveva detto sua zia e poco dopo, mentre lei ciucciava il dito insanguinato, si aprì il passaggio e anche lei fu fuori da lì. Le due si abbracciarono e si strinsero per qualche minuto, gustando a pieno l'emozione di essere ancora insieme. Sapevano che davanti a loro non c'era più una strada facile da percorrere, piuttosto una ancora più difficile e ardua. Tuttavia, la consapevolezza di aver raggiunto quel luogo e di essere ancora insieme, provocava in loro una sensazione di benessere.
Si voltarono, dando le spalle ai rampicanti e davanti ai loro occhi vi era uno dei posti più belli mai visti. Oyà penso che nemmeno i prati celesti dell'Olimpo fossero così spettacolari. Avevano difronte una enorme prateria verdeggiante, tutto il contrario di ciò che era avevano visto ad Ilang. Alberi enormi e rigogliosi delimitavano i confini di quella terra e innumerevoli fiori abbellivano l'intera area. Sotto i loro piedi, un sentiero ciottolato indicava la strada da percorrere e si sorpresero nell'osservare che tutto in quel posto sembrava magico. Ad un tratto, un grido li riportò alla realtà. Sembrava come un urlo di battaglia e nel giro di un istante, si trovarono nel bel mezzo di una simulazione di combattimento. Due giovani armati con spade e scudi si stavano battendo, dio solo per quale ragione, in un duello. Uno indossava una armatura in cui un grosso serpente padroneggiava sul petto, l'altro indossava la stessa armatura con un leone ruggente dipinto. Si capiva che era una simulazione poiché un gran numero di giovani stava lì ad osservare il combattimento, tifando per l'uno o per l'altro. Uno di quelli che stava in mezzo alla folla, alzò un braccio indicandole con l'indice della mano destra e continuando a voltarsi verso tutti i ragazzi che gli stavano intorno. Calò un silenzio imbarazzante, la battaglia si interruppe e un uomo si fece largo tra la folla. Era alto, possente e indossava una divisa che aderiva sui suoi muscoli; era nera con delle zone, come il bordo del colletto e delle maniche, verde smeraldo. Sul petto aveva disegnato lo stesso leone del combattente con l'armatura e la mano destra era posizionata sulla spada che portava alla cinta.
"Chi siete?" La voce penetrante e seducente, provocò un brivido in Oyà la quale per la prima volta si sentì attratta da una figura mortale. Non aveva mai provato quella sensazione e si sorprese a balbettare.
"Noi.. io.."
"Siamo Navir e Oyà" Intervenne Navir, avendo capito la situazione e dando il tempo alla zia di riprendersi. Si girò verso di lei e la guardo con una espressione saccente e divertita.
"Si! Io sono Oyà, vi porto mia nipote con la speranza che possiate addestrarla."
"Se siete riuscite a varcare il grande arco, nel vostro sangue deve scorrere necessariamente il sangue di un dio."
"Navir è figlia di Ifà." L'aria si fece tesa, tutti iniziarono a scambiarsi parole sottovoce, incomprensibili alle orecchie delle due.
"Se lei è la figlia di Ifà, tu di chi saresti figlia?"
"Io non sono una semi-dea; ero.. sono.. insomma sono Oyà sorella di Ifà."
Un grande sgomento permeò la folla.
L'uomo si avvicinò e si inchinò al cospetto della dea.
"Le chiedo perdono se sono stato scortese."
"Si alzi, la prego. Non sono qui in veste di dea. Sono qui in veste di zia e in quanto tale vorrei poter parlare con chiunque si occupi di questo posto."
"Bhè, spero sia lieta di sapere che io sono il preside di questa scuola."
"Faccia strada allora." Oyà usò un tono determinato e allo stesso tempo gentile. In cambio l'uomo annuì.
"Continuate pure il combattimento, quando finite siete liberi di recarvi nelle vostre dimore." Si rivolse ad Oyà e a Navir. "Prego seguitemi." Navir lanciò ancora una occhiata a tutti quei ragazzi ma si soffermò a studiare gli occhi del giovane con lo stemma del leone. Dall'armatura intravide degli occhi blu come il mare e si sentì piacevolmente attratta da quei colori. Distolse la mente da quel pensiero e si incamminò insieme agli altri due.
Notò che, poco dopo la zona in cui si erano fermate, la pianura verdeggiante continuava ad estendersi in lungo e in largo, lasciando posto a dei piccoli fiumiciattoli che emettevano un suono piacevole e rilassante. Tuttavia, si iniziarono ad intravedere delle strutture simili ai pre-fabbricati che esistono sulla terra, tutti uguali gli uni agli altri; le travi erano di legno scuro e ognuno di essi possedeva un portico abbellito o da amache o da sedie e tavolini. In ogni tetto c'era uno stemma; o era il leone o era il serpente e da qui, Navir capì che dovevano esserci necessariamente due fazioni. L'aspetto era molto rustico ma dava all'ambiente un non-so-ché di affascinante. Ad un tratto si ritrovò davanti una enorme struttura; sembrava un tipico castello medievale con le torri difensive e tutto il resto. Ma come poteva essere quella una scuola? Sembrava di essere capitati in uno di quei film storici che capitavi la sera in tv a forza di fare zapping.
L'uomo continuò ad avanzare a passi svelti fino a quando non fummo sopra un ponticello che conduceva all'ingresso del castello.
"Questa è la struttura principale, qui avvengono le lezioni, le cerimonie, i pranzi e le cene. Al di fuori di queste mura ci sono le aree adibite agli allenamenti e, come forse avrete visto, le dimore degli studenti. In ognuna di quelle casupole" le indicò con un dito "ci dormono due studenti. Ognuno di essi appartiene a fazioni diverse. Ma questo lo spiegherò in un altro momento. Prego, seguitemi nel mio ufficio."
Entrarono all'interno della maestosa arcata e si trovarono davanti un grande androne tutto in pietra. Anche il pavimento era fatto di ciottoli; sembrava di essere nel Medioevo.

 Seriamente.

L'aria era fresca e soffiava un leggero venticello che scombinava i lunghi capelli di Navir. Proseguirono all'interno di una delle navate della struttura ed entrarono in una stanza. Davanti a loro era collocata una scrivania con una maestosa sedia; fogli di carta sparsi ovunque e penne dalla forma strana riempivano un portaoggetti. L'uomo si sedette nella sua sedia e fece cenno alle due donne di accomodarsi. A Navir venne in mente quando la zia la portava dal pediatra; si sedeva sulla sedia accanto ad Oyà e aspettava che la dottoressa le scrivesse la ricetta. Tempi andati, pensò.
"Allora, io sono Ocram, il direttore di questa scuola. Noi presidi non veniamo scelti in base al sangue divino ma discendiamo da una stirpe di guardiani col compito di proteggere i semi-dei. Alla nostra morte, veniamo sostituiti o da un figlio o dal parente più prossimo; tipo famiglia reale." La buttò lì, come una battuta ma ciò che ottenne furono due sorrisi sforzati. Si schiarì la gola: "bene! Raccontatemi un po' la vostra storia. Diciamo che il motivo per cui siete qui lo conosco già; il dio Kokou, nel suo tentativo fallito di distruggere la scuola, ha lasciato un messaggio."
"Cosa? E' arrivato fino a questo punto? Questa scuola per noi dei è sacra; non può essere toccata!"
"Questo è quanto sapevo anche io, ma evidentemente non gli importa più nulla né degli umani né degli dei e delle loro regole. Dunque, raccontami tutto dall'inizio e poi io proseguirò con ciò che accadde qui negli ultimi 7 anni."
"D'accordo." Oyà fece un profondo respiro e raccontò ciò che durante il viaggio aveva raccontato a Navir.

ILANG: Navir e l'eredità del dio.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora