Capitolo 23

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"Ho sentito il suono di qualcosa
che andava in frantumi.
Un suono profondo, potente,
che ha riecheggiato ovunque
facendomi barcollare.
Non era una bomba
né un terremoto...
Era solo il mio cuore che cadeva a pezzi."
-Mayson Cole-

Mayson – Diciotto mesi prima-

Non ci avevo mai fatto caso a quant'è bello il sole in una giornata d'inverno; di solito il grigio colora ogni cosa variando di tonalità e mischiandosi con il bianco della neve, ma non oggi.

Oggi quella flebile luce giallina entra dalla finestra inondando la sua stanza. Illumina i mobili, illumina il pavimento, e illumina i nostri corpi ancora spogliati tra le lenzuola, e tra il caldo che spara il condizionatore, il sole che filtra dalla grande finestra accanto al letto e il calore della sua pelle attaccata alla mia, l'aria mi sembra talmente bollente che tutto potrebbe passare come se fosse una semplice giornata d'estate anziché il nove di gennaio.

Per quanto io ami l'estate devo dire che guardare il mondo qui fuori quasi completamente coperto di neve è da classificare come una visione angelica, ma se sposto lo sguardo dalla finestra mi rendo conto che lei, in questo momento, è mille volte più angelica del panorama innevato, anche se non ho intenzione di tirarla fuori questa affermazione.

Non ce l'ho le palle per ammettere una cosa così diabetica.

Non sarei capace di esternare un pensiero come questo mantenendo un'espressione normale; già immagino la mia faccia contrarsi e gonfiarsi tipo quella degli orrendi pesci palla abissati nell'oceano.

Anche se –effettivamente- le penso davvero queste parole.

È angelica nei movimenti, cosa strana per lei dato che di solito quando si muove o quando parla non ha nemmeno un misero capello di qualcosa che ricorda un angelo, ma il modo in cui si muove oggi è un modo diverso, nuovo e... Cristo... mi sta mandando al manicomio con quel dito con cui continua a sfiorarmi la pelle tra il petto e il basso ventre.

Segue linee tutte sue senza un disegno, senza un criterio preciso; scivola lentamente con il polpastrello ad ogni incavo che formano i miei addominali e continua così svariate volte, risalendo sul fianco per poi torturarmi mentre scende ancora.

Ed è già la quarta volta che mi ritrovo a stringere i denti per non cedere all'istinto di montarle sopra di nuovo.

Cercando di mantenere saldi i nervi la vedo soffermarsi sul tatuaggio che ho tra il fianco e l'inguine, e quando alza di poco gli occhi mi guarda incuriosita.

«Su internet ho trovato gli aggettivi che richiamano un'anima rossa» se ne esce, tornando a guardare il tatuaggio. «Sono pochi quelli belli, la maggior parte sono tutti brutti come il tuo carattere di merda.»

Soffoco una risata, perché lo vedo da come cerca di trattenersi dal ridere che mi sta prendendo in giro.

«Combattivo, competitivo... Impulsivo» elenco, perché prima di farmelo questo tatuaggio le ho guardate anche io le spiegazioni che dava Google a riguardo. «Ma se intendi questi come aggettivi brutti allora significa che ti stai dando la zappa sui piedi da sola, Emy, perché questi sono aggettivi che rispecchiano a pieno anche te» le faccio notare con un ghigno sulla faccia.

«Quindi anche io sarei un'anima rossa?»

«Al novantanove percento penso proprio di sì» le rispondo. «Sai com'è, il tuo carattere non è che sia molto meglio del mio.»

Mi mostra il dito medio accompagnandolo con una linguaccia prima di tornare a guardarmi con l'aria di chi sta escogitando qualcosa.

«Allora non te la prenderesti se anche io me ne facessi fare uno uguale» sostiene guardandosi il fianco e toccandosi la pelle mentre alzo le spalle. È una cosa che appartiene a me e ai miei fratelli questo simbolo, una macchia che ci accomuna, che ci ricorda che anche se siamo diversi facciamo parte comunque parte uno dell'altro. Ma adesso anche lei fa parte di me.

I Ricordi che ho di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora