Capitolo 27 (seconda parte)

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Puoi fare mille passi durante la tua vita, calpestare erba, sabbia oppure terra, scegliere di andare piano oppure correre con il vento che ti sbatte sulla faccia. Non importa il modo in cui lo fai, quello che importa davvero è il segno indelebile che lasci ad ogni passo.

Magari l'ho sempre saputo che la vita è così che funziona, eppure mi sembra di averlo capito appieno soltanto adesso il vero significato nascosto dietro queste parole. Di tante perle di saggezza che esistono al mondo, dalla bocca di mia nonna ho sempre sentito questo, e non ci ho mai ragionato sopra con tanta intensità come ho fatto oggi per tutto il santo giorno. Non è stata la stupidità a rallentarmi nel ragionamento, né tantomeno la pigrizia... Quello che ha cambiato tutto è stata una frase che nessuno mi aveva mai detto prima: tu non cambi mai.

Ero talmente tanto incazzata per il modo in cui si stava impuntando Callie che quando l'ho sentita non ha avuto nessun effetto su di me, ma dopo aver chiuso quella porta e avermi lasciato da sola quelle quattro parole mi sono sbattute in faccia come un muro preso in pieno a duecento chilometri orari. Non cambiare mai è l'equivalente di fare dei passi senza aggiungere ogni volta quel qualcosa di più. La stessa impronta, con la stessa grandezza e la stessa profondità di quella precedente senza il minimo accenno di un miglioramento. Praticamente cammini, calpesti tutto, e quel gradino che ti porta al livello superiore –tu- non lo raggiungi mai. È pesante da mandare giù, soprattutto se facendoti un esame di coscienza ti rendi conto che questa è proprio la verità che ti appartiene. Puoi dare la colpa al carattere di merda, ai geni sbagliati che ti hanno tramandato i tuoi genitori, ma in fondo lo sai bene che la colpa è solo tua se a quel gradino non ci arrivi: non te lo puoi guadagnare senza tornare indietro e modificare i passi che hai fatto fino a quel momento.

Sblocco per la milionesima volta lo schermo del cellulare; fino a qualche giorno fa lo sfondo mostrava un selfie che aveva scattato Callie mentre eravamo sdraiate nel mio letto, adesso non ci sono immagini da guardare ma una schermata totalmente nera. L'orologio analogico dice che sono le undici e diciassette di sera, il che vuol dire che sono la bellezza di venti minuti passati che sono seduta in macchina a chiedermi cosa cazzo devo fare, se è giusto oppure no, se devo o non devo. Poi, ancora una volta, la voce arrabbiata di Callie mi rimbomba nella testa.

Tu non cambi mai.

«'Fanculo!» sussurro, pienamente consapevole che nessuno mi darà mai in anticipo una risposta se prima non vado a cercarmela da sola.

Apro lo sportello e scendo. Il vento ghiacciato mi fa rabbrividire non appena il mio viso viene esposto alla corrente, così alzo la sciarpa fino a coprirmi il naso e lasciare scoperti soltanto gli occhi. Milioni sono le volte in cui ho percorso questo vialetto, e mai prima d'ora ho camminato con tanta agitazione nelle vene.

Ho passato il pomeriggio immobile sdraiata sul letto ascoltando musica scelta apposta per farmi del male psicologico; ho varcato la porta del Burger Phill con l'aria a terra, poi ho drizzato le spalle e mi sono detta "sono sempre stata forte, posso farcela anche ora". Così l'ho cercato passando dalla cucina al magazzino, dallo spogliatoio al bagno degli uomini fino a finire sul retro, dove di solito esce a fumare. Di Mayson Cole, però, nessuna traccia. Ho capito che forse il destino mi stava sussurrando qualcosa solo quando ho sentito Phill parlare con Ricky per chiedergli se poteva sostituirlo. Da quando gli ho detto di uscire fuori dalla mia vita ho incrociato solo il suo corpo a lavoro, mentre sfrecciava tra i tavoli tenendosi a debita distanza da me. Il suo sguardo, da quella sera, non ha più guardato il mio.

E non lo fa neanche adesso, perché dopo aver bussato sono gli occhi di Deven a salutarmi, non i suoi. Non capisco se quello che provo è delusione o sollievo, in qualsiasi caso tengo la testa alta mentre lui abbozza un sorriso.

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