TOKYO'S POV
Eravamo seduti ai nostri banchi già da alcuni minuti, aspettavano il Professore che stranamente tardava ad arrivare. L'allenamento era iniziato già da una settimanella e ad ogni lezione il Professore non mancava di ricordarci che ancora non conoscevamo nulla del piano e che alcuni tasselli dovevano ancora essere scoperti.
Stavo osservando Denver fare strani disegnini sul suo quaderno degli appunti, ripulendo di tanto in tanto il foglio dalla mina della matita che mano mano si spezzavano. In aula era calato un assordante silenzio, scandito solo da alcuni passi che salivano le scale, avvicinandosi alla stanza dove ci trovavamo.
Dopo alcuni secondi il Professore varcò la porta d'entrata, andando a sedersi sulla cattedra con le mani poggiate al piano del tavolo, ci guarda dal retro dei suoi occhiali e Denver fa qualche battutina come al suo solito a cui, la maggior parte di noi, rise.Il professore iniziò con il dire che era il momento di svelare uno dei tasselli, dei pezzi del puzzle, che ci aveva tenuto nascosto. Il pezzo che, a suo dire, avrebbe potuto ribaltare le sorti della rapina se giocato bene. Lo definiva un tassello Jolly, che avremmo potuto inserire in più punti e luoghi, ma che andava giocato con consapevolezza.
Iniziammo tutti quanti ad insospettirci e a fare le domande più assurde e insensate.
"È una bomba?" "Un missile?" "Un carro armato?"
Ci aspettavamo di tutto, ma di certo non quello.Una figura entrò nella stanza, sotto cenno del Professore, e si bloccò a pochi passi dalla soglia della porta. Aveva il cappuccio alzato fino a coprire i capelli, ma la tuta larga e grigia che portava non era sufficiente per nascondere un fisico femminile. Non che la ragazza avesse curve esageratamente generose, ma il suo portamento e la sua muscolatura facevano intuire proprio che fosse una donna.
Si abbassò il cappuccio, facendolo scivolare fino alle spalle, mostrando dei capelli ricci, corti e schiariti fino a raggiungere il bianco.
Non conosco la sua età, ma sono sicura che dimostrava molti meno anni di quelli che aveva realmente. Sarà stata grande quanto me, ma i suoi lineamenti delicati la facevano sembrare una ragazzina."Ci mandi una ragazzina?!" Commentò Denver sghignazzando e facendo ridacchiare anche gli altri maschi in quella stanza. Io e Nairobi ci lanciammo uno sguardo gelido, alzando gli occhi per quel comportamento infantile messo in atto.
Per fortuna il Professore richiamò l'attenzione di tutti, perfino la mia che ormai si era persa nello sguardo della nuova arrivata.
Non sapevo chi fosse, ma i suoi occhi emanavano un senso di vuoto, come se fossero due buchi neri pronti a risucchiare qualsiasi cosa osasse attraversarli.La ragazza si mosse fra i nostri banchi, come se si sentisse pienamente a suo agio fra noi, e osservò i nostri sguardi.
Iniziò da me, fissando i suoi occhi nei miei, come se mi stesse sfidando a tenere la presa. Abbassai gli occhi dopo alcuni secondi, così lei sembrò sorridermi passando al banco dietro il mio.
Denver fece, come al solito, delle osservazioni piccanti sulla ragazza, ma lei sembrò non esserne infastidita, lo fissò costringendo anche lui ad abbassare la testa.
Fece così con tutti noi, finché non arrivò a Berlino. Inizialmente lo osservò come aveva fatto con tutti noi, poi i suoi occhi cambiarono da quelli di un gatto divennero quelli di un leone affamato, pronto a sfruttare qualsiasi occasione pur di uccidere la sua preda.
Rimase a fissare Berlino per quasi un minuto, scandito dal quel maledetto orologio sulla parete. Finito quel lasso di tempo sbattè le palpebre più volte di fila velocemente e sembrò accennare un sorriso, mentre si voltava.In quel momento mi alzai in piedi, spinta da uno sguardo del Professore e feci per parlare.
"Io sono-" Venni interrotta a metà frase, dalla voce della ragazza che si rivelava. Mi guardò, senza incrociare i nostri sguardi ed io sentii un brivido attraversarmi la schiena, nonostante non facesse affatto freddo."Tokyo" Disse guardandomi e dimostrando che la sua voce era gelida almeno quanto gli occhi. Camminò facendo nuovamente il giro della stanza e si fermò davanti al ragazzo seduto dietro di me.
"Denver" sussurrò, quasi sibilando, ed ticchettando le dita sul tavolo di legno. Lui degludì rumorosamente, ma sta volta rimase zitto.
"Mosca" segnò il numero tre con le dita e poi passò oltre.
"Nairobi" Guardò la ragazza accarezzandole una ciocca di capelli che cadeva sul viso, per poi far diventare il tre un quattro.
"Río" accennò un piccolo sorriso nei confronti del ragazzo che, non appena incrocia i suoi occhi, arrossí.
Il quattro, della sua mano, divenne un cinque.
"Oslo ed Helsinki" E siamo a sette dita, che ormai occupano due mani.
"Ed infine..." prese un bel respiro e si avvicinò all'ultimo banco, quello più lontano da me.
"Berlino" Lo osservò ancora negli occhi, anche se quella volta la cosa fu reciproca, ma quel momento venne interrotto."Ed ora che abbiamo fatto l'appello-" il tono spavaldo e sicuro di Berlino venne bruscamente bloccato dall'indice della ragazza che preme sulle sue labbra, zittendolo.
Lei si allontanò, tornando davanti a noi e a fianco al Professore. Spostai lo sguardo sulle sue mani nella tasca della tuta, come se avesse qualcosa da nascondere e non potei fare a meno di notare alcuni tatuaggi."Cominciate col non interrompermi" accennò passandosi la lingua tra le labbra come per inumidirle. Lanciai l'ennesima occhiata a Nairobi e sorridemmo entrambe subito prima di sentirla parlare ancora.
"Ed io sono Roma"

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ROMA|| La casa di carta
FanfictionLa zecca di stato di Madrid. Un gruppo di criminali estremamente diversi tra loro, ma costretti ad appianare le loro divergenze. Sessantasette ostaggi. Un capo dell'operazione ironico e geniale che controlla il tutto. Ma se i criminali fossero stati...