11.

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Non appena la porta alle mie spalle si sigilla, mi rendo conto di aver sbagliato. Forse dovrei tornare indietro e ripensarci, ma non è il mio modo di fare, non mi rispetterei. Entro di fretta in un bagno, mi volto verso lo specchio e mi guardo. Ho lo occhiaie, le labbra così chiare da sembrare della stessa tonalità della pelle del viso e mi fa male la testa, tanto, da impazzire, manco volesse scoppiare da un momento all'altro. Esco dal bagno e raggiungono gli altri ostaggi vagamente; mi siedo ai piedi di una grande scala, lontano da qualsiasi altra persona.
Abbasso la testa e sfioro il pavimento con le dita. Sono un'idiota mi ripeto in mente  per minuti, minuti e minuti, come se dal mio torturarmi a parole cambi qualcosa.
Passa del tempo, detto onestamente non ho idea di quanto sia, ma quando ritengo che sia il momento più opportuno mi alzo e sgattaiolo via dagli ostaggi, come se non ci fossi mai stata. Raggiungo l'ultima stanza in cui ero stata e mi rifugio al suo interno sperando dentro di me che sia vuota, ma le mie preghiere non vengono esaudite. C'è Berlino. E ti pareva?! Chi altro potevo incontrare?! Dentro di me mi maledico. Maledetta me quando ho accettato questo incarico! Maledetta me quando ho accettato l'aiuto del professore! Sono stupida! Stupida! "Roma, come stai?" cammino arrancando verso una sedia e mi ci abbandono sopra, mentre biascico "Escluso il mal di testa e la sensazione di dover vomitare perfino l'intestino sto bene..." ironizzo sbuffando e stropicciandomi gli occhi con i palmi delle mani, oscurando la vista.
"Posso farti una domanda?" si siede accanto a me e io alzo gli occhi al cielo poggiando la mano d'istinto sulla fondina della pistola alla mia destra.
Annuisco lentamente e trattengo il respiro come fosse il momento più importante della mia vita.
"Tu sei-" riprendo fiato quando prima della fine della frase il telefono comincia ripetutamente a squillare. I polmoni che prima bruciavano cominciano a sentirsi meglio, mentre Berlino afferra il telefono e lo rovescia sul tavolo permettendo anche a me di sentire la chiamata.
"Hanno l'immagine dei telefoni appesi alla parete".
Sgrano gli occhi. Come cazzo è possibile?! COME CAZZO È POSSIBILE?! Scatto in piedi e mi avvicino alla telecamera installata per permettere al professore di vederci.
"COME CAZZO È POSSIBILE?! COME?!" sbotto tirando un calcio ad una sedia e facendola rovesciare.
"Non ci sono telecamere di sicurezza, vero?" domanda il professore mentre mi torturo le mani con le unghie.
"Solo quelle che abbiamo installato noi" risponde Berlino. Alzo lo sguardo e osservo ogni telecamera agli angoli delle stanze quasi istintivamente.
È stato uno degli ostaggi...
Mi ripeto nella testa per questi pochi secondi di silenzio.
"Allora è stato uno degli ostaggi" dice il professore dall'altro capo del telefono.
Beh, mi sembra logico. Di sicuro non ci sono i fantasmi...
"Ci manca un cellulare!" sento nuovamente dalla cornetta del telefono fisso "Dovete trovarlo o siamo fregati!".
Ticchetto con le unghie sul muro e alzo gli occhi al cielo con fare svogliato. "Mi permetta di dargli una punizione" mi volto verso Berlino. Forse per una volta siamo d'accordo. Incredibile, ma vero!
"Quale punizione?" chiede il professore.
"Una punizione esemplare, un'esecuzione" inizio a seguire la conversazione con più interesse, finché non vengo chiamata in causa.
"Roma, tu che ne pensi?"
"Beh professore... Magari non un'esecuzione, ma detto onestamente: quanto potremo andare avanti senza mettere loro paura?" scrollo le spalle e afferro un foglio di carta con cui inizio a giocherellare, spiegazzandolo e accattocciandolo.
Il professore mi risponde subito dopo: "e cosa dici di fare?"
"Che ne so. Prendere uno di quegli stronzi e piantargli una pallottola nella mano. O magari con un coltello potrei dissezionargli la gamba." ringhio riducendo in coriandoli il pezzo di carta.
"No, trovate quel cellulare." detto questo mette giù. Vado a poggiare il telefono sulla cornetta, sbattendolo mentre mi tremano le mani di rabbia.
"Devo... Devo scaricare tutta questa tensione..." semi urlo sbattendo numerose volte il piede a terra e cercando di prendere fiato e controllare i conati di vomito. Non voglio sentirmi male per l'ennesima volta.
"E come pensi di fare?" domanda scrollando le spalle mentre mi sistemo una ciocca di calli dietro l'orecchio.
Io rifletto qualche secondo e poi ridacchio.
"In realtà un'idea ce la avrei" sbuffo divertita alzando gli occhi scuri al cielo.
"illuminami allora"
"Dovrei rapinare una banca" rido inguenamente afferrando un altro foglio e iniziando a costruirci un aeroplano di carta.
"Come darti torto" osserva mentre piego la carta formando un'ala dalla forma geometrica.
"Resta comunque che dovevo farti una domanda prima" nuovamente trattengo il respiro. Mi bruciano i polmoni a non finire.
"Roma, tu hai un figlio?"

Ho tutto sotto controllo.

Domanda del giorno:
Preferite Roma quando fa l'indifesa dolce o quando prende in mano le situazioni?

ROMA|| La casa di cartaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora