7.

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"Stai zitta prima che io ti piazzi una pallottola nell'addomme!" Urla spingendo la lunga punta dell'arma contro la mia pancia.
"Sta zitta, chiaro?!" Ringhia cercando i miei occhi con i suoi.
"NON TI ASCOLTO E NON FARÒ NULLA DI QUELLO CHE CHIEDETE" Sbraito poggiando il palmo della mano sulla canna della pistola, sentendo il freddo e rabbrividendo quasi all'istante.
"A TE È CHIARO QUESTO?" Muovo solo gli occhi in giro per la stanza e sento ogni mia certezza svanire, per un attimo è come se fossi stata davvero un ostaggio e non solo una iena che di tinge di bianco per fingere de esserlo. Intorno a me tutti si spogliano, tenendo gli occhi bassi, senza guardarmi e senza mai incrociare il mio sguardo.

"Denver... calmo..." sussurra Berlino avvicinandosi a noi e poggiando la mano sulla spalla del ragazzo castano "stai calmo... la signorina sicuramente è solo spaventata. Non è molto in grado di intendere e di volere. Come le donne in ogni situazione" Sibila, con un piccolo ghigno sulle labbra.
Mi districo dalla presa di Denver e, nonostante la differenza d'altezza, prendo il colletto di Berlino e lo spingo contro il primo muro; innalzando dagli ostaggi schiamazzi e brusii.
"Non parlare così! Non lo fare mai più!" Ringhio, digrignando i denti, subito prima di sentire un'arma premere sulla mia schiena.

"Ragazzina, girati lentamente!" Mi ordina Denver con un tono che normalmente avrebbe intimorito chiunque.
"Girati" mi ripete vedendo che resto immobile.
Fingo di girarmi tranquillamente, ma all'ultimo carico un pugno e glielo scaglio in pieno viso, o almeno deve essere sembrato così dall'esterno.
"TU! ST**NZETTA!" Gridai furioso spingendomi a terra, forse con un po' troppa forza, talmente troppa da farmi sbattere con la testa sul pavimento, costringendomi a rimanere accucciata sul pavimento.
"ADESSO NON FAI PIÙ LA TIGRE!" Mi lancia un calcio, meno forte di quanto avrebbe fatto normalmente, ma comunque troppo per me.
"Ahia!" Mi lamento per cercare di farlo fermare, ma lui deve aver creduto che fossero i lamenti da piano e quindi, nonostante il mio dolore continua. Cerco di voltarmi per quanto possibile verso Berlino, e cerco i suoi occhi con i miei umidi di lacrime. Lo supplico con lo sguardo, cerco di esprimere solo con gli occhi l'idea di far smettere Denver perché sto soffrendo davvero.

"Denver! Basta!" Alza leggermente la voce Berlino, prendendo la spalla del castano e tirandolo verso di sé e lontano da me.
"Ha capito. Vero?" Mi guarda, alzo leggermente la testa da terra e con tono fiero e orgoglioso da programma affermo:
"Si" è quasi un sussurro flebile, come morente, subito prima di rialzarmi a fatica dal pavimento.
Tutti mi guardando con gli occhi stracolmi di pietà e ammirazione, proprio quello che volevamo ottenere, che si fidassero di me.
Imbocco, zoppicante, un corridoio, affiancata da Berlino e Denver e non appena siamo abbastanza lontani Denver inizia:

"Scusa, Roma" abbassa leggermente la testa, senza incrociare i miei occhi.
"Non sapevo ti stessi ferendo" sussurra allontandosi di pochi passi da me, al centro fra i due.
"È anche colpa mia. Pensavo di sopportare quella forza, ma la botta alla testa deve avermi disorientato un po'" faccio cenno di no con la testa.
"Stai tranquillo. Mi fa male tutto e credo di avere una costola incrinata, ma tranquillo." Stringo i denti e sorrido.

"La costola incrinata era una delle variabili pensare dal Professore" accenna Berlino mentre varchiamo la porta dell'ufficio.
"Metti del ghiaccio e cerca di non prendere altri colpi, non dovrebbe farti problemi" lui e Denver mi aiutano a sdraiarmi su tre sedie messe di fila.
"Grazie. Andate, tranquilli. Arrivo fra un po'" sorrido e appoggio la testa sul braccio di Denver, poggiato accanto a me e sospiro.
"No, non raggiungerci" Continua il castano ticchettando con le dita sulla sedia.

"Dai Denver vai!" Berlino gli indica la porta e fa si con la testa "resto io con Roma" mi poggia la mano sul polso, ma io sposto la sua mano e la riappoggio sulla sedia.
"Dopo tutte le frasi maschiliste che hai tirato fuori, non voglio che mi tocchi" scoppio a ridere e anche Denver ridacchia, accarezzandomi la guancia con indice e pollice.
"Roma, io vado" il castano si alza dalla sedia e su dirige verso la porta, prende del ghiaccio in quello che credo sia un piccolo frigo e mi lancia una busta fredda, che io afferro al volo, premendola sul punto che mi fa male.

Resto da sola con Berlino, inizialmente silenzio, ma poi lui si decide a parlare:
"Che c'è fra te e lui?" Indica la porta da cui è uscito il ragazzo, poco fa, con il mento.
"Tra me e lui? È come un fratello e tu lo sai" divento improvvisamente seria.
"Sei innamorata per caso? Ti sta aspettando il tuo ragazzo fuori?" Sorride beffardo e mi guarda negli occhi.
"No... magari è qui dentro" mi sforzo di sorridere.

Ho tutto sotto controllo

ROMA|| La casa di cartaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora