3.

6K 216 38
                                    

ROMA'S POV

Finalmente Tokyo ha trovato l'agnellino e, quanto pare, anche un suo compagno di classe che stava nascosto chissà dove a fare chissà cosa con lei.
Anche Allyson Parker e il suo amico vengono bendati, quando tutti sono impossibilitati a vedere i ragazzi si tolgono le maschere ed io sorrido complimentandomi a bassa voce.

Berlino mi zittisce e comincia a parlare agli ostaggi.
"Tanto per cominciare: buongiorno a tutti! Io sono la persona al comando!" Dice dopo aver preso un bel respiro profondo.
"Per prima cosa voglio porgervi le mie scuse. Certo non è un bel modo di finire la settimana" Continua mentre Río e Denver fanno l'appello dei presenti e ne prendono i cellulari e le password.
"Ma da questo momento siete tutti miei ostaggi" mentre parla cammina in cerchio, osservando le teste basse delle persone presenti.
"Se obbedite vi assicuro che avrete salva la vita.
Poi si avvicina ad una ragazza bionda incinta, dai capelli boccolosi, che piange senza sosta. Le poggia le mani sulla pancia e le sussurra di stare tranquilla, subito dopo le chiede di quanto è e la donna risponde che è di otto mesi.
"Tranquilli, siete i nostri lascia passare, quindi vi proteggerò" spiega ancora, allontanandosi dalla ragazza per fermarsi da un'altra, anche essa in lacrime.
Le prende le mani, mormorandole di rilassarsi e le chiede il nome. Fra i singhiozzi lei risponde "Ariadna"
La accompagna leggermente verso il centro del cerchio, iniziando a farla respirare a suon di "ispira" ed "espira", per poi coinvolgere anche tutti gli altri ostaggi.

Il momento viene interrotto dallo squillo di un telefono fisso proveniente da una delle scrivania delle segretarie all'ingresso, così Berlino chiede alla signorina Monica Gaztambide di fare un passo avanti. Alla seconda ripetizione della richiesta una donna dai capelli ricci biondi si fa avanti, distaccandosi dal cerchio e spezzando le file.
Berlino la fa avvicinare alla scrivania e le mette il telefono vicino alle mani, per poi intimarle di convincere chiunque sia che la zecca è chiusa per problemi tecnici.

La donna si porta il telefono all'orecchio, insistendo per convincere chiunque che abbiamo problemi al sistema, mettendo giù dopo pochi secondi il telefono con fare furioso.
Berlino si complimenta perché "è stata un'interpretazione da Oscar".
Fa anche lo spiritoso lui.
Dopo venti minuti da quel momento abbiamo collegato il sistema di comunicazione analogico per parlare con il professore senza essere captati, abbiamo bloccato le porte senza far scattare gli allarmi. Ritrovandoci in un limbo temporale, in cui non c'è tempo, luogo o motivazione, in un limbo in cui nessuno sapeva che stavamo rapinando la Zecca di stato.

Io sono rimasta nella stanza degli ostaggi, per sicurezza Mosca mi ha convinto ad indossare una mascherina come quella degli altri, per mimetizzarmi meglio e incredibilmente c'è quiete. Siano inginocchiati a terra, con le ossa che mi fanno un male cane, quando numerosi passi, pesanti, entrano nella stanza.
"Ostaggi! Per la vostra sicurezza fate tutti due passi indietro!" Ordina Berlino facendomi sussultare.
Traballo rimettendomi in piedi, ma subito prima che io riesca ad inginocchiarmi mi sento prendere di forza per un polso.
"Non tu" sussurra strattonandomi fuori, fingendo comunque che io sia un ostaggio.
"Prendi maschera, tuta rossa e una pistola." Sbuffò e spintono Berlino per farlo allontanare, facendolo traballare per qualche secondo sulle sue gambe.

Me ne torno in bagno e indosso la tuta rossa a coprire i vestiti, per poi nascondere il viso con una delle maschere.
Mi precipito nella sala principale dove gli altri mi stanno aspettando, correndo per i corridoi e li raggiungo. Mi obbligo a riprendere fiato a causa della corsa, ma una voce mi sorprende di nuovo.
"Prendi!" Ridacchia Nairobi lanciandomi una pistola, che afferro prontamente controllando il caricatore.
"Stai tranquilla! È carica!" Sghignazza ancora la ragazza facendomi cenno di seguirli alla porta blindata.

Prendo un grande e profondo respiro, scrutando con lo sguardo i dettagli di una stanza enorme che non mi ero fermata ad osservare. Río si dirige verso il pulsante rosso accanto alla porta sigillata e, dopo aver sospirato lo preme. Osservo le borse con i soldi che stanno trasportando Denver e suo padre, sorridendo per l'ingenioso piano del Professore.
La porta si apre lasciando scattare una sirena e concedendomi quei pochi secondi per ricordare quando il professore mi spiegò questa parte del piano.
Mi disse che doveva sembrare un incidente, disse che doveva sembrare che le forze dell'ordine ci avessero scoperto sul punto di fuga, costringendoci a rientrare nella Zecca, sigillandoci.
A interrompere il mio flusso di pensiero di la voce di Berlino.
"Due minuti!" Scandisce voltandosi a guardare con la coda dell'occhio gli ostaggi.
Qualche sussurro proveniente dal gruppo di sequestrati che mi fanno alzare gli occhi al cielo, senza dargli troppa importanza.
"Un minuto e quaran-" Si interrompe Berlino voltandosi verso uno degli ostaggi, il primo delle righe, un uomo in giacca e cravatta che, riesco a vedere con la coda dell'occhio, aveva tirato su la mascherina nera e stava sbirciando con i suoi occhietti quello che stavamo facendo.
Berlino, il capo di questa operazione, si avvicina al suddetto uomo e, con calma quasi glaciale gli chiede il nome.

"Arturo" risponde l'uomo con la voce tremante, facendomi incuriosire e costringendomi ad avvicinarmi ad i due.
Mi trovo ad un passo, o poco più, da l'uomo ma prima che io possa avvicinarmi di più Berlino mi blocca con la mano e mi fa cenno di stare calma.

"Arturo, davvero?!" Chiede retorico alzando leggermente la voce e sfilandogli di forza, la mascherina da sopra gli occhi, riportandoli alla luce. Immediatamente l'ostaggio si copre gli occhi, piegandosi in avanti e iniziando a piagnucolare le solite cose come "non ho visto niente".
Il capo lo costringe ad alzare la testa per guardarlo negli occhi e, non appena Arturo si toglie le mani dal viso, rivelando le lacrime, Berlino porge una domanda che lascia basita anche me.
"Ti piace il cinema?" Domanda in tono calmo, ripetendo più volta la frase, prima di ricevere una risposta positiva.
"Ti sei mai accorto che in tutti i film horror, all'inizio si vede uno così spavaldo, come te, che ti fa pensare: questo morirà di sicuro? E non ti delude. Muore sempre." Sussurra tranquillo, avvicinandosi alle sue orecchie piena di pronunciare l'ultima frase.
"Arturo credimi. Morirai di sicuro" dopo aver udito questa frase per poco non scoppio a ridere, ma mi trattengo mordendomi le labbra e ascoltando il piano disperato dell'uomo.

Berlino compie nuovamente alcuni passi avanti, dando le spalle sia a me che ad Arturo e pronunciando altre due parole.
"Trenta secondi" afferma voltandosi per un attimo verso l'ostaggio.
Aspettiamo un altra decina di secondi, tra i sospiri e il silenzio mentre nella mia testa conto quei fatidici trenta secondi.

Che pensino che stiano improvvisando.

Crederanno che non siamo riusciti a scappare con i soldi.

Mi risuonano nella testa le parole del Professore, come un mantra, ma nemmeno il tempo di slacciarle via che:
"Adesso!" Urla Tokyo varcando la porta d'uscita, a passo sicuro e bloccandosi davanti alle scale, abbandonando la borsa di denaro.

"No aspetta Tokyo! Non è ancora ora!" Urla Río seguendola fuori. Sento il cuore accellerare a dismisura quando realizzo quello che sta succedendo a pochi passi da me.
Uscire.
Sparare all'impazzata senza ferire nessuno.
Rientrare.
Era questo il piano e il professore che lo aveva fatto ripetere a memoria decine di volte, assicurandosi che tutti lo ricordassimo.
Ma nel piano del Professore c'è un intoppo. Non ha previsto che anche la polizia avrebbe sparato all'impazzata e soprattutto non ha previsto che uno di questi colpi avrebbe colpito Río.
Da quando il ragazzo cade a terra, ferito, Tokyo parte con una raffica di colpi di pistola, scagliati con forza e rabbia dalla sua arma sulla volante di polizia.
Capendo quanto la situazione si stia facendo difficile corro fuori, senza controllo e mi apposto dietro ad una colonna insieme a Denver, mentre Tokyo, disperata trascina Río nell'edificio.
Quando la ragazza si trova sulla porta imbraccia nuovamente l'arma e spara, compiendo l'errore più grave che potesse mai fare.
Colpisce due poliziotti.
Anche solo due gocce di sangue che segnano l'inizio della rovina.

Trasciniamo Río nella banca, chiudendoci la porta alle spalle e dando inizio al putiferio.
"MA CHE FAI?! TOKYO! ERA LA PRIMA REGOLA E TU LA INFRANGI!" Le urlo contro prendendola per una spalla e costringendola a guardarmi.
"CHE COSA HAI FATTO?! LO CAPISCI COSA HAI FATTO?!"
Si volta, ignorando il mio sguardo e tornando a stringere forte a sé Río, soffocando i singhiozzi, ma non le grida mia e di Denver.

"VAFFANCULO!" Strilla verso la porta Denver, sovrastando i "Che facciamo?" di una Nairobi disperata.

Mi allontano di alcuni passi, riuscendo ad ovattare il suono e cercando i tutti i modi di mantenere la calma e il controllo della situazione.

Ho tutto sotto controllo.

ROMA|| La casa di cartaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora