Mi zittisco e mi alzo in piedi, sta volta senza che la sedia provochi rumore.
"Vado" alzo gli occhi al cielo e accenno un minuscolo sorriso uscendo dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle.
Entro in uno dei bagni e mi cambio nuovamente, tornando a vestire i panni di un ostaggio. Arrivo nella sala principale e mi copro gli occhi con la mascherina, prendendo completamente ogni punto di riferimento.
Passano quelle che credo siano ore, forse solo pochi minuti, ma impossibile a dirsi con questa maschera sopra gli occhi.
"In piedi" finalmente un suono può spezzare la monotonia di un indifferente silenzio, rumoroso solo grazie al rumore de la mia testa che ragiona.
Berlino! Ce ne hai messo di tempo per arrivare!
Mi alzo in piedi, a fatica, poggiando la mano sul pavimento freddo e drizzando la schiena, ingobbita fino a quel momento.
"Toglietevi le mascherine" senza esitare, ma comunque con la mano tremante in caso qualcuno degli ostaggi mi stesse guardando, tolgo la maschera da santi agli occhi. Abbasso la testa, per la forte luce, che mi sta colpendo e quando torno ad abituarmi ai colori distinguo una fila di persone davanti a me e dopo di esse un gruppo in tuta rossa.
"Toglietevi le mascherine!" Ripete Berlino, sta volta a voce leggermente più alta.
Finalmente inizio a vedere dei movimenti, qualcuno che si porta le mani agli occhi e sfila la mascherina nera.
"Abbiamo avuto qualche imprevisto" si inizia a muovere per le file, squadrando ognuno finché i nostri occhi non si incrociano.
Ho un brivido e abbasso la testa e lo sguardo di conseguenza.
"Ma nonostante gli elicotteri mi risulta che ci daranno qualche ora di tregua. Quindi potrete riposare. Tra qualche minuto vi distribuiremo sacchi a pelo, acqua e un panino. Ah! E vi devo chiedere un favore" ascolto le sue parole ripetendole, pochi secondi prima che le dica, nella mia testa. In fondo so come è fatto e so quello che dica prima ancora che lo dica, almeno la maggior parte delle volte.
"Voglio che vi spogliate" al pronunciare di questa frase è arrivato quasi alla fine del corridoio e ci da le spalle.
"Ci daremo una tuta rossa come la nostra" si gira indicandosi il petto con la mano "perché siate più comodi".
Denver e Oslo iniziano a distribuire le tute e il primo mi sorride passandomi davanti."Mi scusi signore, non voglio disturbarla" sussurra, non abbastanza a voce bassa, Arturo avvicinandosi a Berlino "ma tra queste persone ci sono parecchi malati di cuore... alcune donne incinte" quando pronuncia queste ultime tre parole si volta verso Monica, in piedi a pochi passi da lui "e adolescenti. Per favore. Lasciate andare i più vulnerabili non credo che sopporterebbero questa angoscia tutta la notte"
"CHI CA**O TI CREDI DI ESSERE TU? GHANDI?!" Ringhia Denver camminandogli incontro in fretta, dopo avermi sorriso ancora.
"Denver... stai calmo..." Biascico Berlino con una tranquillità che mi fa quasi gelare il sangue.
"È un mio amico. Condividiamo la grande passione per il cinema" Detto questo sogghigna e si allontana con quel sorrisetto che se lo avesse fatto a me sarebbe finita a schiaffi.Sento lo scatto di una pistola e smetto di seguire Berlino con lo sguardo, fissando Denver che punta l'arma nella croce degli occhi di Arturo. Resto calma, quasi impassibile dentro, ma mi fingo agitata.
Si gira l'arma fra le mani.
"Prendi la pistola" ordina, fissando Arturo negli occhi.
"Non ti sto chiedendo se vuoi prenderla ti sto dicendo di prenderla!" Ringhia inarcando le sopracciglia e avvicinandogli ancora di più il manico.
Dopo qualche momento di indecisione e rifiuto l'uomo prende la pistola, tremando.
"Ora puntamela contro" gli fa cenno con la mano di fare come detto.
"Ti ho detto di puntarmela" ripete anche lui con una calma che quasi non gli appartiene.
"Ti sto dando un ordine! Puntamela str**zo! Così!" Gli prende la mano e si poggia la pistola al petto.
Denver... cosa fai?
"Ora sparami" aggiunge, causando sul viso di Arturito un espressione di terrore.
"Devi spararmi" ripete.
All'ennesimo rifiuto prende la sua pistola dalla fondina e, dopo aver caricato un colpo, la punta sulla testa di Arturo che si abbassa ed urla "PER FAVORE NO!"
"O spari tu o ti sparo io. Ti do dieci secondi"
E bravo Denver, usa la mia tecnica!
1
"1" conta Denver.
"2,3,4,5,6,7,8,9-" non appena pronuncia nove Arturo, terrorizzato, preme il grilletto ringhiando qualcosa e...
Assolutamente niente.
Denver scoppia a ridere come un bambino:
"Sono finte, Arturito! Ma sei stati bravo! Molto bravo!" Continua a ridacchiare."Stiamo per distribuire a tutti armi finte, fra qualche ora ci servirà la vostra collaborazione. Come avete visto l'unica cosa che dovete fare è obbedire. Avere fiducia in noi e obbedirci" sta volta è Berlino a parlare.
"Ah si! Tu!" Mi indica voltandosi verso di me "Vieni con noi!"E si parte con la recitazione.
"OH NO!" Ringhio alzando gli occhi al cielo e rimanendo ferma "Non mi muovo" incrocio le braccia al petto e mi siedo a terra a gambe incrociate."Ho appena detto di obbedire" Berlino mi si avvicina, guardandomi negli occhi, mentre io faccio lo stesso.
"Alzati in piedi" mi fa cenno con una pistola che so essere vera di alzarmi in piedi.
"Avanti!" Ripete quando io testo seduta."È un ordine!" Ringhia Denver da poco lontano avvicinandosi a me e affiancandomi.
"Quindi avanti... alzati in piedi..." scrolla le spalle e mi osserva dall'alto."Quale parte di 'non mi muovo' non è chiara?" Mi alzo leggermente e afferro Denver per il colletto, tirandolo verso di me facendolo quasi cadere. Sento uno scatto e mi ritrovo una pistola allo stomaco, anche essa sicuramente vera.
Degli schiamazzi si innalzano dagli ostaggi terrorizzati e io trattengo le risate.
"Avanti... sparami..." aggiungo scrollando le spalle.
"Fallo. Non ho paura."Ho tutto sotto controllo

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ROMA|| La casa di carta
FanfictionLa zecca di stato di Madrid. Un gruppo di criminali estremamente diversi tra loro, ma costretti ad appianare le loro divergenze. Sessantasette ostaggi. Un capo dell'operazione ironico e geniale che controlla il tutto. Ma se i criminali fossero stati...