(Castiel)
«Sono le undici. Non hai fame?», chiedi ad Azzurra ancora intenta ad accarezzare il tuo cane. La ragazza non fa in tempo a rispondere, ché ci pensa il suo stomaco a farlo per lei.
Sbuffi un sorriso, «Lo prendo per un sì. Dolce o salato?».
Ci pensa a fondo prima di dire: «Sorprendimi».
«Vuoi farti una doccia mentre preparo il brunch?».
«Volentieri!», replica subito. Deve sentirne davvero il bisogno dopo la sbornia della sera precedente.
«Seguimi», t'incammini verso la porta, percorri il lungo corridoio, rischiarato dall'ampia finestra accanto alla camera da letto, e dalla luce solare che filtra dalle vetrate del piano inferiore, attraverso la tromba delle scale.
Arrivi al bagno mansardato e dalla forma irregolare, apri il soffione dell'immensa doccia che fa da angolo, delimitata dal para-schizzi in vetro opaco, a destra, e dalla parete a mosaico, a sinistra. Motivo che si ripete anche sulla pavimentazione, poco oltre il divisorio di cristallo, creando un corridoio fino all'accappatoio appeso in fondo alla stanza, che confina a sua volta con il parquet di ciliegio, il quale dà vita al resto del pavimento. Il soffitto è fatto del medesimo materiale, in netta contrapposizione con la parete scura e le piastrelline nei toni del nero e dell'oro della doccia. L'unica fonte di luce naturale è data da due piccoli lucernari, mentre la doccia viene enfatizzata da dei faretti pavimentali che ne disegnano il bordo interno, gli stessi proiettori illuminano i ripiani scavati nel muro, dove giacciono gli shampoo e il bagnoschiuma.
Mentre si riscalda l'acqua, recuperi un asciugamano e un accappatoio immacolati dall'armadietto a muro alla tua destra, e li appoggi alla scala decorativa di bambù accanto al mobile. Noti Azzurra studiare il pannello sopra i sanitari, indecisa sul toccarlo o meno.
«Serve ad azionare lo sciacquone, a regolare le luci e le tapparelle delle finestrelle sul soffitto. È anche a comando vocale».
«Sei un tipo tecnologico».
«Mi piacciono le cose belle», ti limiti a rispondere.
L'acqua calda della doccia comincia a trasformarsi in vapore, diffondendosi per tutta la stanza dando un'atmosfera soffusa, che fa calare un pesante silenzio tra voi. La ragazza si stringe nelle spalle, come ad intimarti di uscire.
«Io vado», ritrovi subito quel sorrisetto motteggioso che la dice lunga su di te. Ti avvicini a lei, ghermendo appena l'orlo inferiore della t-shirt, ti pieghi alla sua altezza e sussurri sulle sue labbra, «Non farmi aspettare troppo, altrimenti...».
Ricambia con uno sguardo risoluto, curiosa del proseguimento, «Altrimenti?».
Molli la presa sulla maglietta, raggiungi la porta, metti un piede fuori e prima di richiuderla dietro di te, concludi, sbirciando di sottecchi, «Altrimenti potrebbe venirmi voglia di vedere ancora il tuo tatuaggio».
«Cretino!», urla, lanciandoti la prima cosa che le capita a tiro – una saponetta – che, prontamente, la porta para a mo' di scudo.
Una volta di sotto, fermi le ciocche laterali dei capelli in un codino e accendi i fornelli della cucina openspace che si affaccia sul Tamigi, in particolare su Westminster a sinistra e sul London Eye a destra. Odierai pure tuo padre, ma essere suo figlio ha i suoi vantaggi.
Sbatti le uova in una bacinella e le coli in un tegame, mentre nella padella accanto abbrustolisci del bacon. Stai per infilare delle fette di pane nel tostapane, quando tutt'a un tratto suona il campanello. Lanci un'occhiata distratta alla porta, abbassi la gittata delle fiamme, spolveri i palmi s'uno strofinaccio e, con una mezza corsetta, raggiungi l'ingresso.
Con tua grande sorpresa, dalla parte opposta della soglia trovi Rosalya.
«Ho portato dei vestiti per Azzurra», esordisce, entrando in casa senza premurarsi di salutare – e fingendo di non notare che porti solamente una maglia smanicata sopra ai pantaloni da calcio, abbigliamento sportivo che è solita criticare apertamente. Non che te ne freghi qualcosa, tu ti vesti come ti pare, specialmente tra le tue quattro mura –, «Dov'è?».
«Sotto la doccia».
Detesti quando fa così, però, oggi, ti senti stranamente magnanimo, tanto da offrirle un caffè.
«No, grazie», rifiuta lei, esterrefatta dall'inaspettata ospitalità.
Ti segue in cucina, accomodandosi ad uno degli sgabelli del bancone opposto al piano cottura, «Che profumino», annusa l'aria, «Vuoi proprio fare colpo, eh?», ti canzona.
La guardi di sbieco, «Per una volta che sono di buon umore, non farmi perdere la pazienza».
«Non c'è niente di male ad ammettere che ti piace una ragazza».
«Rosa», l'ammonisci, fissandola da sotto le ciglia.
«Io lo dico per te», controbatte, passandoti il sale, «Non puoi continuare così. Il sesso occasionale non porta a nulla di buono».
«A te che importa di cosa faccio della mia fottuta vita?», incastoni i tuoi taglienti occhi nei suoi e la fissi con causticità. Eppure, per ragioni a te ignote, Rosalya non ricambia con quel cipiglio che è solita serbare nei tuoi confronti, bensì ti guarda con un'accondiscendenza talmente disarmante, da farti sentire istantaneamente piccolo, come se lei fosse una sorella maggiore e la differenza di età tra voi fosse molto elevata. Se non fosse che sia tu il più grande dei due.
«So perché lo fai», prosegue dopo un po', «E, per quanto ti ostini a non voler vedere l'evidenza, non puoi restare cieco per sempre. Tu hai paura».
Corrughi la fronte, «Paura?».
«Di soffrire ancora. Perché sappiamo entrambi che Debrah e Ly–».
«Non osare dire quel nome!», sbotti, reggendoti al ripiano in granito, fissando un punto indefinito di esso.
Senti l'albina sollevarsi dallo sgabello, circumnavigare l'isola per raggiungerti, e posarti le delicate mani sugli avambracci, cercando inutilmente un contatto visivo con te.
Non riesci a reggere il suo sguardo, non ora che il tuo cervello si è riempito nuovamente di lei. Non puoi sopportare la pietà di Rosa, perché sai di essere questo alla sua vista: pietoso.
«Ascoltami per una volta: Azzurra non è Lynn», adesso però sì che ricambi l'occhiata, e lo fai con rabbia. Le avevi detto di non dire il suo nome.
Ti pettina la frangia con le dita, e ancora quella sconcertante dolcezza si ripresenta negli occhi dorati della giovane, infondendoti una calma imprevista, «E che sia con lei o con un'altra, prima o poi dovrai deciderti a sciogliere quel cuore di ghiaccio che ti sei creato. L'amore arriva e quando lo fa, devi farci i conti, sia che vada male sia che vada bene. Non puoi scappare, non puoi tapparti le orecchie e fingere di non sentire il suo richiamo».
Sospiri debolmente, serrando le palpebre, Tu non capisci, pensi, tu hai trovato Leigh e tutto è stato semplice, naturale. Mentre io sono sempre stato tradito da coloro che pensavo mi amassero di più di tutti.
La ragazza scioglie la presa, recupera la busta di carta scivolata per terra, la ripone sul divano rosso e, regalandoti un'ultima occhiata significativa dice: «Scendi a patti con te stesso, Castiel, e fallo in fretta, prima che sia troppo tardi», abbassa il saliscendi della porta d'ingresso, «Prima che qualcuno te la porti via».
La discussione muore lì e Rosalya esce di scena esattamente come è entrata: senza salutare.
Passano circa quindici minuti, prima che Azzurra scenda al piano di sotto, tempo sufficiente per apparecchiare il bancone, impiattare, posare il piattino centrale col pane tostato, e riempire i bicchieri di succo d'arancia appena spremuto. Tutti gesti meccanici con cui tenti di sedare quelle immagini e quelle parole, che ti stanno infestando la mente e martoriando il cuore.
Rivedi i suoi occhioni da cerbiatta che ti sorridono, poi deformati dalle lacrime e, infine, impassibili, mentre le labbra si arricciano e si distendono, pronunciando i fonemi più apatici e spietati che i tuoi timpani abbiano mai udito.
Ti aveva gettato in faccia il tuo cuore sanguinante e malconcio – o ciò che ne rimaneva –, dicendo che non aveva niente di cui scusarsi, che ti stava lasciando per il bene di entrambi e che, ormai, l'affetto che provava per te si era esaurito, ridotto in cenere come un fuoco spento. Disse di essersi resa conto di aver confuso un'infatuazione con l'amore e che, addirittura, quasi ti odiava per averla illusa di essere riuscita a raggiungere il tuo animo testardo e prepotente.
«Quindi sarebbe colpa mia?», domandasti, «Mi stai scaricando tu, di punto in bianco, e la colpa è la mia?», la tua voce mutò in uno strido adirato, pari alle unghie che grattano sulla lavagna. Eri arrabbiato, furioso, furente, tanto tanto incazzato. E più l'ira s'impadroniva di tutto il tuo corpo, scosso dai tremori, più la contrizione e il pentimento si mischiavano ad essa.
Era rimorso, ciò che sentivi, ciò che senti tuttora, o era rimpianto?
Era vero che, nonostante i forti sentimenti che ti legavano a lei, non ti eri mai totalmente aperto con Ly–.
No, proprio non ci riesci a pronunciare il suo nome, neanche nella tua testa.
Era vero che avevi omesso gran parte delle tue preoccupazioni, tutte le rogne con la tua famiglia, le delusioni per la band che proprio non funzionava. Afflizioni che ogni giorno di più allargavano la voragine scavata nel tuo petto, laddove un tempo risiedeva il cuore, strappato definitivamente da Tu-sai-chi quando ti mollò.
Era stata crudele, fredda e distaccata nel farlo, esattamente come ogni giorno ti accusava di essere e, per quanto tu sia convinto che se ne sarebbe andata comunque, ché il suo egoistico attaccamento all'idea di carriera era più potente dell'amore nutrito nei tuoi confronti, non riesci a fare a meno di sentirti colpevole, di chiederti se sarebbe rimasta, se tu fossi stato diverso con lei, se non ti fossi nascosto dietro a un sorriso beffardo e a sbalzi di umore apparentemente insensati.
Sì, se ne sarebbe andata comunque.
Infondo, non si è mai interessata davvero a te, non ti ha mai domandato se stessi bene; si diceva che era il tuo caratteraccio a renderti così, che eri stronzo di natura e che eri incapace di amare. Sono queste le scuse con cui è andata oltre, con cui si è giustificata, più con se stessa che con gl'altri, per non esserti rimasta accanto, per non esserti mai stata accanto, per non aver nemmeno provato a capire la conflittualità che coabita con te, da brava ragazzina immatura e superficiale qual era.
E poi sarei io che l'avrei illusa?!, gli occhi ti bruciano, dolgono come se qualcosa dall'interno spingesse per uscire allo scoperto. Vorresti piangere, liberarti di quelle lacrime amare e risentite, che per tutto questo tempo ti sei rifiutato di versare, ma nuovamente le ricacci indietro, inaridendo ancora di più quelle lastre di ardesia che sono le tue iridi.
La voragine s'inabissa maggiormente, attanagliandoti l'animo. Ti afferri la canotta per il forte dolore al torace, dove ormai sei convinto si trovi un gigantesco buco nero, che tutto di te ha depredato.
Ogni cosa sembra al suo posto, allora perché ti senti svuotato?
Perché?, ti ritrovi a domandarti un'altra volta, l'ennesima da quando la sua figura è tornata ad occupare i tuoi pensieri, Perché non posso avere una vita tranquilla come tutti gli altri? Perché non riesco ad andare avanti, ad essere felice con la ragazza che mi piace? Non riesco neanche ad ammetterlo che Azzurra mi piace. Che mi piace davvero. Perché mi sento in colpa nei confronti di---
Stai riponendo le padelle nel lavello pieno d'acqua, per evitare che si incrostino, quando senti le piante nude dei piedi della tua ospite sbattere sul parquet del primo piano, interrompendo le tue malinconiche riflessioni.
La guardi con la coda dell'occhio, avvolta nell'accappatoio in spugna troppo grande per lei, scendere la scalinata, tenendosi al corrimano, passare tra il divano e la sala da pranzo, appropinquarsi all'isola della cucina e accomodarsi, dove poco prima sedeva Rosalya.
«Che servizio!», osserva, «Sei una continua sorpresa», scoppia a ridere.
«Perché ridi?», inarchi un sopracciglio, sentendo una nota di scherno nella sua voce, mentre posizioni un bicchiere di spremuta fresca davanti al piatto.
«Perché sei proprio inglese», chiarisce, indicando ogni singolo alimento presente sulla tavolata, «Di sicuro questa non è una classica colazione all'italiana».
«Infatti, questo è un brunch», la prendi in giro, imitando il gesto di lei, «Ora mangia e sta' zitta».
Ridacchia, divertita dalla tua reazione permalosa, prendendo una bella forchettata di uova strapazzate, si copre la bocca con la mano, ancora mezza piena, «È delizioso».
Infilzi un pezzo di pancetta affumicata e, con la forchetta a mezz'aria, informi Azzurra che Rosalya è passata per lasciarle un cambio d'abiti, indichi la busta sul divano.
La matricola abbandona la tavola imbandita, raggiunge il mobile e sbircia il contenuto dalla borsa di carta con un sorriso intenerito, «Che carina».
«Già...», Carinissima.
Ti riprende con lo sguardo, occhiata a cui rispondi con una scrollata di spalle.
«Dov'è Demon?», domanda dopo un po', come se si fosse ricordata solo adesso di lui.
«Nel giardino in terrazza».
Si affaccia alla vetrata, «L'hai sistemato proprio bene».
«Almeno ho rimediato alla mancanza di giardino. Tra non molto porto Dem a fare una passeggiata, vuoi venire con noi?».
Risponde senza pensarci due volte, «Dammi il tempo di vestirmi e andiamo».
Stavolta sarà diverso, decidi, osservando Azzurra finire la sua colazione in fretta e furia, e correre di sopra a cambiarsi, Sarò diverso.
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木漏れ日 - Luce che filtra tra le fronde (Dolce Flirt)
FanfictionIl liceo è finito ed è tempo di guardare al futuro e decidere cosa fare delle propria vita. E' con questa idea che Azzurra si trasferisce in Gran Bretagna, per frequentare l'università e cominciare così una nuovo capitolo della sua storia, quello c...