(Azzurra)
Stoffa.
Stoffa ovunque.
Sulla scrivania, sul comodino, sul pavimento, impigliata alle ante dell'armadio.
La tua ansietà è palpabile, per quanto possa essere ridicola con tutto quello che è già successo tra te e il musicista, ma non puoi proprio farne a meno, non puoi non desiderare di essere bella, impeccabile ai suoi occhi, vuoi che non si penta di aver scelto te, fra tutte le ragazze che gli cadono ai piedi come mosche.
Come gatte morte.
Soprattutto in luce al recente raffreddamento del rosso nei tuoi confronti. Non solo nei tuoi, bensì nei confronti di tutti in generale. Qualcosa gli assilla la mente, è evidente, ma proprio non sai come aiutarlo, come indurlo a confidarsi, si vede che ancora non è pronto a farlo. Attenderai che lo sia, perché sai, dentro di te, che prima o poi dovrà parlarne con qualcuno, dovrà sfogarsi, e non puoi non sperare che sia tu la prescelta con cui si aprirà; possibilmente non con la stessa sfuriata dell'altra volta, ma speri comunque che, tra tutti, scelga te per togliersi il fardello che si porta appresso. Non lo forzerai, quando sarà il momento giusto, verrà lui da te.
Guardi l'ammasso di tessuto ammucchiato, o meglio, lanciato alla rinfusa sul letto, poi il filo in tungsteno di una lampadina a incandescenza immaginaria ti rischiara le idee, nel momento stesso in cui il tuo sguardo casca sull'orologio da parete moderno e ovaleggiante, perdendo un respiro.
Le 16.40.
Castiel arriverà fra venti minuti esatti e tu indossi ancora i vestiti di questa mattina. Lasciarsi travolgere da una crisi disperata tipica femminile è inevitabile, matematico
E adesso che cosa ti metti?
Venti minuti?! Maledetto Carter! Non poteva almeno dirmi che tipo di posto è?! "E' una sorpresa", lo canzoni mentalmente, scimmiottando il suo ultimo SMS, l'ennesimo con cui ha sviato l'argomento.
Soffochi un'imprecazione, optando per degli skinny in pelle nera, una maglia body tono su tono con spalle ondulanti, trasparenti e a pois sulla parte superiore, che circondano il collo. Un choker con ciondolo argentato conferisce un punto luce all'incavo sotto il mento, abbellisci i polsi con delle catenine lucenti, aggiungendo al destro anche un braccialetto in metallo smaltato a forma di serpente striato, che nasconde nelle proprie fauci il quadrante di un orologio. Se non si era già capito, adori i serpenti.
Corri in bagno, portandoti dietro la trousse e la poggi sul ripiano accanto al lavandino. Arricci i capelli in morbide e fluenti onde e ti trucchi col tuo solito maquillage acqua e sapone. Stendi un velo leggerissimo di fondotinta per non nascondere le poche lentiggini che hai spruzzate sul naso e sugli zigomi, accentui gli occhi a mandarla con uno smokey-eye sui toni caldi del marrone e un filo di eye-liner anch'esso blu notte, che allunga e solleva l'angolo esterno, senza chiudere apparentemente le palpebre, metti del mascara talmente incurvante da regalarti delle ciglia da manga, e un'ombra di rossetto rosso mattone vellutato per concludere.
Se metti in evidenza gli occhi non caricare troppo le labbra, e viceversa, gl'indispensabili insegnamenti della mamma, sorridi tra te.
Dal letto si leva un suono fin troppo familiare: il cellulare.
«Azzurra, è il tuo», ti senti chiamare, dall'altro capo della stanza.
È in perfetto orario. Puntuale come un orologio svizzero.
«Arrivo!».
Ritorni in camera, recuperi la borsa, che, grazie a chissà quale stella, avevi già preparato accanto al biker scamosciato celeste, e ti fiondi, incespicando, verso la scarpiera per metterti le Mary Jane intonate, pensando solo in quel momento alla scomoda eventualità che il chitarrista ti faccia camminare sulla pavimentazione irregolare di Piccadilly Circus o che voglia passeggiare in riva al fiume, ma ormai è troppo tardi per cambiare scarpe.
«Esci?».
«Sì, con Castiel», rispondi frettolosa.
La voce di Priya s'incrina, «Divertitevi». Le sorridi debolmente, aprendo la porta e dirigendoti all'ascensore.
Avresti voluto chiederle come sta, se è la tua vicinanza al suo compagno di corso ad ottenebrarla a quel modo, se i tuoi sospetti siano fondati, ma hai davvero troppo poco tempo per lasciarti travolgere dal tuo lato crocerossina. E, diciamocelo in tutta sincerità, la cosa non farebbe altro che rovinarti la serata, cosa che più di tutte vorresti evitare. Per una volta vuoi essere egoista e pensare solo a te stessa e al tuo bene, e la tua massima fonte di benessere è proprio lo scontroso avvocato pittato di rosso cremisi. Ai crucciamenti di Priya ci penserai domani, ora vuoi solo essere felice con il tuo cavaliere dall'armatura scintillante, decorata da teschi e grifoni.
Percorri il piazzale principale del campus, controllando per l'ennesima volta l'ora, e rotei le orbite: sei in ritardo di dieci minuti. Tempo sufficiente a indisporre il tuo instabile ragazzo.
Varchi il cancello con il tuo sorriso migliore. Sorriso che si trasforma in stupore non appena lo vedi appoggiato ad un 250cc nero fumé, fasciato da un giubbotto in pelle rigorosamente slacciato, dai jeans scuri e dalla camicia bianca a righe sottili verticali grigie. Le asole dei bottoni sono ricoperte da una striscia nera, che continua intorno al colletto, e finisce al livello dell'ombelico con un triangolo rovesciato, dando l'impressione che indossi una cravatta inesistente.
Sarà per l'abbigliamento, per la moto o per la disinvoltura con cui si abbandona su di essa con le mani in tasca, lasciando esposti solo i pollici, mentre si fissa la punta degli anfibi a stringa anch'essi neri fumé - sembrano specifici per la guida da motociclista -, ma, osservandolo, ti sovviene solo un aggettivo adatto a descriverlo.
Sexy.
Non che non esistano altri termini più consoni, ma sicuramente questo rende immediatamente l'idea.
«Ah, eccoti», afferma, richiamandoti all'attenzione, per poi squadrarti a sua volta, concentrarsi un poco di più sulle gambe allungate dai tacchi, rendendo solo il gesto meno evidente, se non venisse tradito dagl'occhi fattisi improvvisamente liquidi e intensi, come quelli di un gatto che punta la preda: le pupille diventano così grandi da ridurre a un mero cerchiolino le iridi vivaci.
Raddrizza la postura, ricomponendosi e riassestando la frangia con uno scatto secco del capo, alido se la sua espressione non venisse addolcita dallo sguardo ricco d'un profondo affetto. Cominci a tradurre le emozioni dietro la virulenza del suo volto.
«Sei molto bella». Stende le braccia a cingerti i fianchi e avvicinarti a sé. Imiti l'azione, aggrappandoti alla camicia, senti il sottile strato di pelle ricoprire la spina dorsale sotto i polpastrelli.
Abbassi lo sguardo, stringendoti nelle spalle, torturando la borsetta che rimane schiacciata tra il braccio e le costole, ed arrossisci lievemente, «Anche tu».
«Mi dispiace solo che ti si rovineranno i capelli». Sogghigna non appena lo adocchi confusa.
Porta una mano dietro di sé, tastando qualcosa sul sedile della dueruote alle sue spalle, poi, con il suo solito sorrisetto sghembo, la alza, mostrandoti un casco integrale, «Dovrai mettere questo, se vuoi salire sulla mia moto».
Ah, giusto. Il casco..., rammenti l'ovvietà facendo una smorfia, mentre lo afferri, Con tutto il tempo che hai perso a litigare con il ferro. Lo assesti sul capo e subito Castiel si china su di te, che nonostante i dodici centimetri di tacco non lo raggiungi in altezza, ti allaccia il cinturino sotto al mento, non resistendo all'impulso di sfioranti impercettibilmente le labbra, e fa scattare in giù la visiera. Monta in sella, aiutandoti a fare altrettanto, e, prima di levare il cavalletto con un colpo di tacco, ti intima a non mollare mai la presa dalla sua vita; mette in moto e finalmente partite.
Il tragitto prosegue senza troppi intoppi, se non per qualche semaforo rosso e un relativo traffico. O almeno così ti pare, dato che non stai prestando particolarmente attenzione alla dimensione urbana circostante, troppo presa a saggiare la prestanza della sua schiena solida e il tepore che traspira da sotto gli indumenti. L'unica cosa di cui ti accorgi è il dissiparsi progressivo dei grattacieli alti, tipici di una metropoli, per lasciare posto a palazzi più ridotti da sobborgo cittadino e a un accenno di flora marittima, chiaro segno che vi state recando verso la Manica.
Il cinabro accosta e parcheggia a ridosso dell'ingresso di un grande molo, percorso al centro da un lungo viale illuminato da bianchi lampioni in stile liberty a cinque lanterne, un poco scrostati dall'usura del tempo, abbastanza da lasciar intravedere l'anima in ghisa sottostante.
Una volta inserita la sicura del cavallo a motore, il tuo accompagnatore si leva il casco, scuotendo meccanicamente il capo per ravvivare la folta chioma vermiglia, attende che scendi, traballante su quei trampoli tanto da rubargli una risatina malcelata, si alza e lo ripone sotto la sella insieme al tuo. Abbozza un sorriso sagace, prendendoti per mano col mignolo intorno al tuo polso, e ti guida oltre la recinzione d'ingresso. Le sue premure hanno il potere di farti sentire protetta.
Le luci chiare, in contrasto con il calar della sera, mettono in evidenza le sfumature fredde, tendenti al magenta e al bordeaux, all'interno dei capelli di Castiel. Filamenti mai notati prima sotto a luci più forti e che, ora, ti fanno sorgere la convinzione che quel colore spento starebbe meravigliosamente bene al giovane. Sarebbe meno appariscente ma comunque distinto e particolare, come le foglie d'acero scurite dal sole autunnale.
«Benvenuta a Brighton», dichiara, mentre i tuoi polmoni si riempiono di un aspro aroma di salsedine, «È qui che sono cresciuto, sulla costa sud della Gran Bretagna. Non siamo lontani da Londra, Brighton dista solo a cinquanta minuti di auto, in moto meno», ti fa l'occhiolino, «È da quando ti ho incontrata, che ti voglio portare al Palace Pier».
«Cosa sarebbe?».
«È un lunapark fisso sul molo, con una grande ruota panoramica che dà sul mare. D'estate è uno spettacolo vedere l'oceano da lassù».
Sorridi timida, «Romantico».
Sul volto regolare gli compare il sorrisetto di uno che la sa lunga sull'argomento, «Non è l'unico asso di cuori nella manica che ho da giocare».
Ti si imporporano le guance inavvertibilmente.
«Chissà quali saranno i prossimi», poni curiosa, mentre percorrete la pavimentazione in legno massiccio, avvolto dal profumo soave del mare.
Il suo sguardo vagheggia altrove e subito sul suo viso si dipinge il solito ghigno obliquo, preannunciando una risposta evasiva, che solo una volta chinatosi su di te soffia all'altezza delle tue labbra, «Chissà».
Inarchi un sopracciglio, allungando il passo verso lo stabile posizionato al centro del pontile come se ne fosse il fulcro, e la prima cosa ti viene in mente è che lo stile architettonico islamico cozza amabilmente con i lampioni dalle linee curve, sinuose ed eleganti, ricchi di motivi naturalistici derivati da fiori e piante. I tetti tondi con la base squadrata sorrette da colonne, le finestrelle rotonde coperte da griglie a scacchi che formano la tipica volta ad alveare, la grande cupola posizionata al centro dell'edificio rettangolare, tutto dà un impattante senso di disarmonica armonia. Non ci puoi fare niente, deformazione professionale da Liceo Artistico. L'unica cosa che proprio non c'azzecca un'h con l'immagine d'insieme, è l'insegna circense riportante la scritta a lettere cubitali Brighton Palace Pier, risulta pacchiana in mezzo al resto.
In lontananza si intravede la fantomatica ruota panoramica, che tutto sovrasta e tutto sorveglia.
È un piccolo edificio tinteggiato di bianco quello che hai difronte, dal quale, anche a distanza, si ode fuoriuscire una forte musica dance e un allegro vociare di bambini. All'esterno, il centro del viale è costellato da baracchini da street food, circondati da panchine anch'esse bianche, colore sovrano di tutto il molo, alcune delle quali coperte da appartati gazebo, occupati quasi esclusivamente da coppiette affiatate.
Che posto eccentrico, ti brillano gli occhi.
Il ragazzo ridacchia, raggiungendoti con un paio di falcate, «Col tempo li giocherò tutti», indica col pollice l'ingresso del palazzo, riportandoti sul pianeta Terra con la sua voce, «Vuoi fare un giro nella sala giochi o andiamo diretti alle giostre?».
Ecco spiegato il perché di quella musica così forte.
«Giostre!».
Sorride divertito per il tuo improvviso entusiasmo, «Okay». Ti prende riacciuffa la mano, guidandoti a circumnavigare il palazzo dall'esterno e solo allora ti rendi conto di quanto sia vasto e lungo quel molo. Tra voi e il lunapark ci saranno almeno altri cinquecento metri di distanza, con al centro innumerevoli bancarelle. Gli odori più disparati s'infiltrano nelle tue narici: la dolcezza delle mele caramellate, delle frittelle e del gelato, il salato delle patatine in cono e degli hotdog.
«Ti va di mangiare qualcosa?»
«Sì, ma non so cosa...», replichi facendo passare in rassegna la vasta offerta d'invitante cibo spazzatura che ti si para davanti agl'occhi, e stavolta Castiel non riesce a trattenere una risata fragorosa, che lo fa scuotere in sussultanti convulsioni.
Gli tiri una gomitata scherzosa, «Dai!», ma non puoi fare a meno di unirti a lui nell'esplosiva emissione sonora.
«Prendiamo uno di tutto».
Lo fissi con gli occhi sgranati come quelli di un pesce lesso, «... Sei serio?».
«Naturalmente», ti riserva un sorrisetto furbetto che gli illumina le iridi ardesia di quella meraviglia tipica infantile, «Andiamo!», ti stringe le dita sottili in una salda e forte presa, trascinandoti al carretto più vicino. Comprate davvero di tutto, una cosa più vomitevole dell'altra e già te ne penti per il tuo girovita, ma ancora di più per il tuo povero stomaco: due hotdog straboccanti di salse, due frittelle con l'indice glicemico alle stelle, e due mele candite di un rosso innaturale, perché la frutta dopo il pasto è importante - cit.: Castiel Carter.
«Non mangerò più schifezze per almeno un mese».
«Appena?», chiede lui sghignazzando sotto i baffi.
«Una normalissima cena no, eh?».
«Nah, non è nel mio stile».
Scoppi nuovamente a ridere, non poteva dire cosa più vera di quella. Non avevi mai riso tanto in vita tua con un ragazzo. Non avevi mai riso tanto in generale, e ciò non può che rimembrati l'ennesima perla di saggezza di tua madre: "Nemmeno l'uomo più bello, ricco e affascinante dell'universo, può battere quello che ti fa ridere ogni volta di gusto".
Castiel guadagna sempre più punti e, a quanto pare, le frecce al suo arco non sono ancora finite.
A un certo punto il tuo sorriso svanisce, mentre lo sguardo vaga affranto lungo l'orizzonte.
L'espressione sul volto del giovane s'indurisce all'istante, sintonizzata sulla tua ottenebrata. Ti cinge i fianchi ansioso, stringendoli piano, come se temesse di romperti fra i suoi forti palmi, «Azzurra, che c'è? Stai male?».
Gli riservi un'occhiata colpevole, i bulbi lucidi come se stessero per inondarsi di lacrime. Dopo interminabili secondi di silenzio, le tue labbra asimmetriche scandiscono il suono del suo nome, preparandolo al peggio, ma no, nonostante tutto l'impegno, non sarebbe mai riuscito a prepararsi ad incassare le tue prossime parole: «E adesso come facciamo a fare le montagne russe senza vomitare?».
Gli ci vuole un minuto buono per recepire il senso della frase, seguito da occhi sgranati e le labbra dischiuse, e infine da un'energica tirata di frangia all'indietro con la mano, che poi scivola a coprirsi la bocca. Dopo un po' ti punta l'indice contro con l'incredulità stampata in faccia, «Tu... tu sei proprio una brava attrice. Per un attimo ho creduto ti stessi sentendo male, mi stavo già maledicendo per tutte le porcherie che ti ho fatto mangiare».
Abbozzi un sorriso divertito ma allo stesso tempo stupito, eri convinta si sarebbe arrabbiato a morte per l'inutile preoccupazione, «Starò male veramente, se facciamo qualche giostra».
Incrocia le braccia al petto massiccio, «Te lo meriteresti dopo questo tiro mancino», soffi un ghigno rifugiandoti tra le sue braccia, stringendoti a lui, «Se non lo faccio è solo perché dopo devo starti io accanto mentre puzzi di vomito», conclude, cingendo il tuo fragile corpo fra gl'avambracci allenati e poggiando il mento sulla tua testa.
«Cattivo», piagnucoli fintamente offesa, «Dovrei piacerti anche puzzolente».
«È ancora presto per quello», ridacchia e tu sbuffi contrariata, «Per farmi perdonare della scorpacciata malsana, vincerò per te un peluche gigante».
«Davvero?!». Bulbi spalancati tanto quanto le labbra che si aprono in un sorriso ampio.
A quel commento ricco di entusiasmo bambinesco, il chitarrista ti raccoglie il volto tra le mani, attirandoti a sé per baciarti con una passione inaspettata, «Sei troppo bella quando ti emozioni così».
Arrossisci vistosamente, pronunziando il suo nome.
«Scegli un pupazzo», ordina gentile, prendendoti per le spalle e girandoti a fronteggiare le bancarelle.
I tuoi occhietti vispi e scuri passano in rassegna tutti i cumoli di animali di pezza del circondario, sinché non si posano su qualcosa dalle orecchie enormi e schifosamente rosa, se non fosse...
Angel di Lilo & Stitch, uno dei tuoi cartoni animati preferiti della tua infanzia! Inutile dire che i tuoi occhi s'illuminano di luce propria, tiri un paio di volte la camicia di Castiel, indicandogli col mento l'obiettivo prescelto.
«L'alieno rosa shocking?», annuisci freneticamente, e subito, studiando il gioco a premi proposto, un sorriso vittorioso colora il viso mascolino del ragazzo, che congiunge le dita fra loro e le fa scricchiolare mentre le allunga dinanzi a sé, sgranchendo mani e braccia, «Sarà un gioco da ragazzi. Sono stato il miglior realizzatore del club di basket al liceo».
Vi avvicinate al bancone, sopra il quale il cestista posa una banconota da dieci sterline per cinque tentativi; senza rivolgervi la parola, il venditore sistema cinque palloni arancioni sul ripiano ligneo, palesemente provato dalla sua monotona occupazione. Castiel osserva per bene il canestro, occhi assottigliati dalla concentrazione mentre calcola la distanza fra sé e il centro del cerchio metallico. Mettendo in conto anche la presenza disturbante del tavolo, fa un paio di passi indietro, molleggiando sulle ginocchia e, una volta riscaldatosi, le piega il più possibile; quando le distende, il movimento viene accompagnato dalle braccia che rilasciano il pallone in una parabola. Sei paia di occhi percorrono la traiettoria della massiccia sfera fino al canestro, si scontra sull'interno del cerchio rimbalzando due, tre volte a destra e a sinistra, compiendo subito dopo un mezzo giro e...
Cinque turni dopo e quaranta sterline passate sottobanco poi, state camminando l'uno a fianco all'altra, con Angel stretta fra le tue braccia smilze e l'avambraccio di Castiel a circondarti le spalle.
«Menomale che doveva essere un gioco da ragazzi», rigiri il coltello nella piaga, guadagnandoti una stizzita click consonant10 in risposta; poggi la testa al suo addome, «Non c'era bisogno di corrompere il commerciante».
«Volevo farti contenta, ti si sono illuminati gl'occhi quando lo hai visto», tasta un'antenna del peluche.
«Ero già contenta per la serata, ma grazie».
Ti bacia la fronte, «Ruota panoramica?».
Annuisci sorridente e vi avviate verso il gigante di metallo rotante, ricoperto di luci psichedeliche.
Dopo una breve attesa, il giostraio vi apre lo sportello d'ingresso del vostro abitacolo, nel quale salite senza remore o indugi, l'una di fronte all'altro, sempre con la fedele Angel seduta sulle ginocchia. Subito la porticina si chiude, scatta il chiavistello e in poco tempo comincia la salita verso il punto più alto della ruota.
I vostri sguardi si perdono a scrutare le luci delle giostre e della città riflesse e frammentate dalle onde del mare, che, senza le quali, sarebbe uno specchio profondo e nero in grado di confondersi perfettamente col cielo notturno privo di stelle.
A un tratto senti Castiel schiarirsi la gola, attirando volutamente la tua attenzione su di lui, illuminato da un lato dalle accese luci del parco divertimenti, che tracciano una retta tra la parte di volto visibile e quella in penombra, su cui, nonostante tutto, riesci a distinguere distintamente la tensione che gli lucida gl'occhi, fissi sull'inafferrabile linea dell'orizzonte.
«Forse ti spaventerai quando sentirai cosa sto per dire, ma sto diventando matto, tu mi stai facendo diventare matto», afferma di punto in bianco, sempre sviando il tuo sguardo, «Mi sto innamorando di te, Azzurra, totalmente e inesorabilmente. So che è presto, ma avevo bisogno di dirlo ad alta voce».
Non sai cosa dire. Avverti il cuore martellare all'impazzata, così forte da temere che possa implodere o sfondarti il petto per gettarsi tra le sue braccia. Anche i tuoi sentimenti sono mutati dal vostro primo incontro. Così come il risentimento è stato spento dall'infatuazione, adesso il tempo la sta assopendo per soppiantarla, nel profondo del tuo animo, con un attaccamento più potente e vibrante del precedente, a cui, però, ancora non sai dare un nome, o forse ti manca soltanto il coraggio di chiamarlo col suo vero nome.
Castiel ti prende le mani nelle sue e ti guarda con uno zelo disarmante, «Non mi aspetto una risposta immediata. Ci frequentiamo relativamente da poco, ma dovevo farti sapere cosa provo. Non ce la facevo più a tenermi tutto dentro».
Cass...
«Prenditi tutto il tempo che ti serve», abbozza un sorriso comprensivo.
«Per me è lo stesso», stringi le dita minute a quelle affusolate di lui, le porti a sfiorarti le labbra e vi posi un delicato bacio, sorridendogli raggiante, «Anch'io mi sono innamorata di te».
[10]In italiano lo schiocco della lingua è considerato un semplice intercalare, una forma di comunicazione non verbale, però il suono non è utilizzato in alcuna parola, né tantomeno è associato a una lettera dell'alfabeto. In alcuni idiomi però lo schiocco della lingua è considerato una consonante a pieno titolo, anzi, una serie di consonanti a seconda delle sfumature: i linguisti le chiamano "consonanti clic", o click consonant, e si tratta di uno dei suoni più rari nei linguaggi di tutto il mondo. Esiste soltanto in alcuni idiomi dell'Africa meridionale, per esempio nelle lingue bantu, e in pochi dialetti dell'Africa orientale. Da notare che l'esistenza delle consonanti clic nelle lingue africane è da tempo motivo di fascinazione nel mondo anglosassone, sia per ragioni storico-coloniali, sia per il fatto che in molti contesti anglofoni questo suono è praticamente inesistente (a differenza di quanto accade nei Paesi mediterranei, dove seppure non abbia dignità di consonante lo schiocco della lingua è utilizzato in modo informale).
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