Capitolo XXXVII: Cupola In Cielo

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Coed Diflas, 20 Giugno.

   Abegail afferrò Nathalie tirandola a sè e aiutandola ad allontanarsi.

La ragazza era troppo lenta, allibita e disorientata dalla crudeltà che i suoi occhi avevano visto imprimersi come un marchio sul torace di Gideon. Lo stomaco le si era contorto e riusciva a stento a ricacciare indietro i conati di vomito. L'immagine della pelle che bruciava e si lacerava, le faceva girare la testa in maniera impressionante; a malapena si reggeva in piedi, con le gambe che le tramavano.

— Non ce la faccio...

   Boccheggiò dopo aver percorso a malapena qualche decina di metri. Di sottrasse poi alla stretta che Abby esercitava sul suo avambraccio, e compì tre passi verso il margine del sentiero che Alexander aveva creato passando irruento. Là l'erba abbondante riprendeva la solita forma e non era aggiaccata e – proprio in quel punto - la giovane si poggiò alla corteccia di un albero nodoso e rigettò la breve colazione che si era goduta in casa.

   — Non toccarmi! Le grida del demone inveirono tempestose nella sua mente addolorata. Dopodichè i suoi occhi – puntati nel vuoto - percorsero nuovamente le profonde orme che avevano lambito prepotenti il torace di Gideon. La considerò una tortura ignobile e sudicia; non riuscì ad associarla al richiamo di una madre.

Abby accorse immediatamente al suo fianco, resse alcune ciocche che erano scese sul volto, provando a inserirle nello stretto elastico della coda. In seguito si voltò per chiamare a gran voce Alex. Il canto di un fringuello si amalgamò alla sua voce flebile e presa da una qualche preghiera interiore. Non si erano allontanati di molto eppure già faticavano ad avanzare. Erano scappati, ma il pericolo era vicino e il caldo - gettato insidioso dal sole alto in cielo - tramortiva rognoso quasi fosse anch'esso in combutta con Lilith.

Alexander tornò immediatamente sui suoi passi, giungendo dalle giovani. I suoi occhi, in quel momento cupi e dal luccichio ininterrotto, si spalancarono di fronte al pallido viso di Nathalie. Scostò poi la sua attenzione, amareggiato, su Abegail intenta a sostenere l'amica. Non perse tempo: si avvicinò definitivamente sollevando Nat da dietro le ginocchia e prendendola in braccio.

— Mi dispiace...

   Enunciò lei in un soffio prima di svenire. Le precedenti immagini facevano ancora da sfondo ai suoi pensieri. Come l'angelo, Abby non tentennò, ma prese lo zaino dell'amica e se lo trascinò in spalla facendolo sbattere contro il proprio. Il peso sulla schiena raddoppiò immediatamente rischiando di catapultarla a terra mentre la testa di Nathalie pendeva inerme dal braccio di Alexander.

— Riesci a proseguire?

   Lui fu distaccato. Pose la domanda con tono sufficiente. Non si dava pace da quando Hereweald e Abegail erano tornati con le loro guance arrossate e le distanze visibilmente ridotte. Non poteva credere che tra loro fosse accaduto qualcosa. Gli era morta la sola volontà di constatare i segni - lenti a sbiadire - sul volto della giovane: aveva paura. Quel genere di paura che non prende le viscere, ma che colpisce direttamente il cuore e annienta la certezza. Abby, per rispondere annuì decisa dopo aver a lungo studiato il profilo pensoso del ragazzo.

Cercava il suo sguardo solo per sincerarsi che non fosse arrabbiato, ma le bastò scorgere i muscoli della mascella contrarsi per riabbassare gli occhi. La loro amicizia si era spezzata e con difficoltà sarebbe tornata come prima. Alexander l'aveva tradita, l'aveva illusa, mentendole. Il senso di colpa trascinò l'angelo nel ventre della delusione. Lui non aggiunse alcun commento, consapevole di aver preso parte a quella successione degli eventi che tanto ripugnava. Riprese poi il cammino. Il suo malumore deteriorava la natura ancora viva e vegeta, mentre le strazianti grida di Gideon si facevano strada in lungo e largo nei sentieri: Lilith non aveva ancora terminato la sua arte.

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