Capitolo XI: Gideon

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Inferno.  

   Vi erano molti - troppi - aggettivi con cui poter descrivere alla perfezione quel lugubre luogo: caldo, buio, fetente, sporco. L'ambiente era inondato da vapori maleodoranti che risalivano in continuazione dal terreno roccioso. Lo sfondo composto da infinite urla si rifletteva nella grotta in cui abitava la Signora delle malefatte, la ideatrice di un terribile piano.

— Madre, sono tornato.

   Fu un attimo e nella mente bramosa della creatura, insidie e programmi si schiarirono. Le urla persero importanza e una luce rossastra illuminò il suo volto solcato dalla crudeltà. Poco dopo una figura snella - apparentemente innocente - creò la propria ombra sulla parete opposta all'entrata. Un riflesso frastagliato a causa della superficie e del tremore delle fiaccole.

— Portami buone notizie, figlio.

   Non fu un'esortazione bensì un ordine ben imposto.
Quella donna non aveva altri passatempi se non bearsi nell'ascoltare come le sue inebrianti idee malsane si compissero tramite i suoi seguaci; i suoi schiavetti personali. Lei - che da secoli immemori era relegata tra le mura naturali di quel regno - era annebbiata dalla gelosia, dalla rabbia e colma del desiderio di vendetta. Cos'altro poteva fare se non assecondare i suoi desideri grazie ai pochi sciocchi che le strusciavano ai piedi? Grazie a chi aveva persuaso con le sue parole.

— Allora!

   Urlò non ricevendo un'immediata risposta com'era solita ottenere. Con quella voce perentoria la sua sagoma - coperta da un mantello nero in molti punti logoro - appariva maestosa dal suo trono arrangiato tra i massi disgiunti dalle pareti. Fu ancora il silenzio a farla da padrone. Seguì poi lo sguardo glaciale del figlio che – intimorito - si arrese al potere esercitato dalla donna su chiunque, persino sopra di lui: la sua stessa creazione.

— Ti ho creato da della stupida e banale terra arida, ma mi pare che insieme ai poteri di trasfigurazione, ti abbia reso anche la parola.

   Sputò acida grattando con le lunghe unghie sporche il proprio seggio. Era impaziente, sfinita dall'essere sempre servita di tutto ciò che le passava nei meandri della mente, rendendo di conseguenza inammissibile quel comportamento. Un atteggiamento in contraddizione con ogni sua mania di controllo. Dopo un ultimo sguardo – carico di odio - lasciò libere le sue ali, simili a quelle di un pipistrello. Le fece sbattere all'improvviso nell'azione di aprirsi.

Lo spostamento d'aria fu repentino e avvertito in tutto il locale ristretto, nonostante quelle ali - un tempo eleganti - fossero bucate, strappate, come se la creatura fosse da poco uscita da una battaglia. Seguì un suono metallico e delle catene si tesero.

— Mi è scappato...

   Il riassunto perfetto del lavoro svolto dal giovane - che ancora si fissava i piedi intimorito dalla madre - aleggiò lieve. Un luccichio di pazzia - ben studiato - balenò poi sullo sfondo scuro degli occhi di questa. Successivamente lei scattò rapida e improvvisa, saltando al collo della sua stessa creatura.

— Come può un umano, come lo chiamano i mortali al giorno d'oggi? — domandò sarcastica con le mani strette nella carne del demone. — Ah! Sì, un nerd! — riprese aggiungendo una risata isterica — Com'è possibile che un nerd, con un numero talmente ristretto di amici da potersi contare sulle dita di una mano, ti sia fuggito dal controllo? Fidnemid ti dovrebbe spianare la strada eppure sei il solito buono a nulla!

   I suoi lunghi capelli ambrati le caddero sul volto sfigurato mentre - a malincuore - allentava la presa sull'esile collo, ormai sfregiato dai segni profondi delle unghie. Infine si arrese alla forza delle catene che le stringevano i polsi e le caviglie, bruciandole la pelle impura. Il ragazzo cadde ansante tra la polvere massaggiandosi il punto dolente e arrossato. Gli occhi azzurri luccicavano dal terrore: aveva paura. Una terribile paura delle azioni sconsiderate di colei che teneva le redini della sua vita.

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