Prologo

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<<Basta, Dash!>> urlò il ragazzo corvino mentre veniva sollevato dal colletto della maglia fino a non toccare più a terra.
<<Coraggio, Fenton, divertiamoci un po' insieme!>> ribatté il biondo mentre rideva con i suoi amici.
Il ragazzo più gracile cominciava seriamente a perdere la pazienza, ma doveva tenere duro e cercare di non scoppiare davanti a loro.
Erano anni che doveva sopportare le loro angherie in silenzio, anni in cui aveva dovuto mordersi la lingua per non insultarli e prenderne di più.
Ora che poteva vendicarsi aveva deciso di non farlo, qualche livido era sopportabile in fin dei conti.
Quello che non sopportavano erano i loro insulti rivolti alla sua famiglia e ai suoi amici.
Era una vita che Danny sentiva dire da tutti che veniva da una famiglia di spostati, di pazzi. Dicevano che i genitori avevano perso il cervello molto tempo prima, ma non conoscevano la verità.
Non conoscevano il dolore che si celava dietro la disastrosa decisione dei suoi genitori di diventare cacciatori di fantasmi.
Non conoscevano il disagio di non sentirsi compreso, di sentirsi abbandonato. Ma parlavano.
Parlavano lo stesso e lo facevano come se sapessero tutto.
Quel giorno Danny avrebbe voluto seriamente urlare, forse anche mettersi a piangere e spezzare qualche osso.
Ma non poteva. Aveva promesso che non sarebbe mai crollato davanti a quegli stupidi idioti.
<<Coraggio, Dash. Se devi picchiarlo sbrigati. Non voglio che i prof vedano la scena. Non voglio dover spiegare a nessuno quello che stiamo facendo.>> Disse Paulina, una ragazza snella, alta e mora con due occhi color giada e la pelle scura.
<<Come se ai professori interessasse.>> Disse il biondo palestrato prima di lasciar cadere il ragazzo più gracile a terra e sghignazzando per la sua espressione sofferente.
<<Oggi non mi va particolarmente di malmenarlo. Kwan è tutto tuo.>> Disse rivolto al suo migliore amico prima di andare via.
Adesso, se Dash era micidiale, Kwan forse lo era il doppio.
Danny chiuse gli occhi e si preparò ai colpi.

Danny arrivò a casa, si annunciò sbattendo forte la porta d'ingressi e corse di sopra, nella sua camera.
Chiuse a chiave la porta e si tolse i vestiti macchiati del suo stesso sangue.
Si guardò allo specchio e fu in quel momento che si mise davvero a piangere.
Era pieno di lividi, di graffi, il sangue secco ancora attorno alle narici del suo naso, sulle sue labbra.
Gli occhi azzurri spenti, uno gonfio e violaceo, l'altro cerchiato di nero per la stanchezza e lo stress.
Non ne poteva più.
Salvava le persone ogni giorno. Si trasformava e li salvava tutti, anche quelli che gli facevano del male. Non si era mai sentito un super eroe, come tutti lo vedevano, ma si era sempre considerato una brava persona, quindi perché?!
Perché la sua vita doveva essere così maledettamente difficile?!
Il bullismo non era neanche la parte peggiore della sua vita.
Da mesi mentiva ad i suoi stessi genitori, diceva di stare bene, di odiare i fantasmi e si fingeva addirittura interessato al loro lavoro. La verità, però, è che quando nessuno lo vedeva piangeva spaventato di cosa sarebbe potuto capitargli se i suoi genitori avessero scoperto che il loro bambino era un mezzo fantasma, che era quello che loro odiavano di più.
Ogni giorno doveva fingere di stare bene davanti ai suoi amici, davanti a sua sorella, perché non poteva mostrare a nessuno la sua debolezza.
Ogni giorno si guardava allo specchio e si chiedeva se fosse davvero un supereroe o fosse solo un miserabile mostro assetato di sangue ancora dormiente.
Ma la parte peggiore era quel buco che aveva nel cuore che non ne voleva sapere di rimarginarsi. Era quella mancanza di quella persona che sarebbe dovuta essere al suo fianco per tutta la vita. La parte peggiore erano i sensi di colpa che si addossava, il dolore che provava.
Danny era stanco. Stanco di fare la cosa giusta per gli altri e mai quella giusta per sè stesso. Era stanco di avere paura, di sentirsi solo.
Ma non poteva assolutamente dirlo a nessuno. La persona che lo supportava nei momenti peggiori non c'era più. Era da solo.
Il ragazzo si medicò e si diede una sciacquata, mise addirittura del fondotinta per mascherare i lividi e i tagli che tempestavano il suo corpo, non voleva che i suoi genitori se ne accorgessero.
Si fermò davanti all'armadio e stava per prendere i soliti vestiti larghi che indossava sempre, ma alla fine cambiò idea. Era stanco di nascondersi.
Indossò dei pantaloni neri e stretti, strappati sul ginocchio, una canotta bianca e stretta ed una giacca di pelle nera.
Magari così qualcuno lo avrebbe notato, magari così lo avrebbero lasciato in pace.
Indossò una collana con una targhetta in metallo su cui era inciso il suo nome in arabo e gli occhiali da sole, le scarpe da ginnastica ed un polsino scuro per nascondere il polso violaceo, poi uscì dalla sua camera.
Arrivato in soggiorno si guardò attorno, i suoi genitori non erano nei paraggi, per lui era meglio così.
Si avviò alla porta, ma quella non doveva essere certamente la sua giornata ideale.
<<Danny, dove credi di andare?!>> lo bloccò sua madre mettendosi davanti a lui con le mani sui fianchi. Sembrava davvero arrabbiata e preoccupata. <<I-io... volevo raggiungere Tucker e Sam al Nasty Burger...>> rispose con un filo di voce. Sua madre sospirò e gli carezzò i capelli con dolcezza. <<Ieri ho trovato dei vestiti sporchi di sangue nella tua camera. Sta succedendo qualcosa, tesoro?>> Chiese in apprensione.
Danny non era abituato ad essere considerato, neanche dai suoi genitori. Non sapeva come comportarsi, come parlare, quindi scosse solamente la testa e si morse il labbro inferiore. <<Sto imparando ad andare sullo Skate... mi sono fatto male anche oggi... se vuoi lascio perdere..>> si affrettò a dire. <<No... se ti piace continua. Tesoro, ascolta...>> cercò di dire la rossa, ma il figlio la fermò con un sorriso. <<Possiamo parlarne dopo? Sono in ritardo, mamma.>> Disse.
Da una parte la sua mente stava pregando che sua madre non lo lasciasse andare.
Pregava che fosse abbastanza consapevole di quello che gli succedeva da non lasciarlo andare.
Dall'altra non voleva che scoprisse nulla. Non voleva essere un peso, non lo aveva mai voluto.
<<Va bene, tesoro, a stasera. Hai abbastanza soldi?>> Disse invece lei. Lui si limitò ad annuire ed a sorpassarla lentamente, ma lo abbiamo già detto che non era la sua giornata fortunata.
Non appena aprì la porta un Dash Baxater incazzato e a disagio gli si parò davanti.
Danny strinse le labbra ed i pugni lungo i fianchi e e prese un grosso respiro per potersi calmare.
<<Cosa ci fai tu qui, esattamente?!>> Chiese con un tono sprezzante ed infastidito. Il biondo sbuffò e si passò una mano fra i capelli. <<Mi hanno assegnato tua sorella come tutor.>> spiegò.
Danny riuscì solo ad annuire e gli fece spazio perché potesse entrare in casa, poi uscì diretto verso quelle poche ore di serenità che lo aspettavano.
Non notò lo sguardo del biondo che si posava sui suoi lividi mal celati, non notò i suoi occhi che si abbassavano a causa del senso di colpa, non notò il rossore sulle sue guance non appena lo sfioro su una spalla.

Quando arrivò al fastfood dove i suoi amici lo aspettavano tirò un sospiro di sollievo e si andò a sedere accanto ai due. <<Se vi dico che Dash Baxster è a casa mia, voi cosa mi dite?>> Chiese senza neanche penarsi di salutare. Era una brutta giornata, avrebbero capito. <<Direi che non ci credo.>> rispose la ragazza goth dagli occhi viola. <<Mia sorella gli fa da tutor.>> spiegò lasciando i due senza parole.
Tucker si sistemò gli occhiali dalla montatura spessa sul naso e sospirò pesantemente. <<Non ti lascia in pace neanche a casa tua?>> Chiese. Danny scrollò le spalle, non voleva parlare di quell'idiota sicuramente tinto. I due sembrarono intuire.
<<Allora parliamo di una cosa più urgente. Cosa hai intenzione di fare con il fantasma di ieri?>> Chiese Tucker mentre addentava il suo panino unto e pieno di schifezze.
In quel momento Danny decise che parlare di quel cretino forse non era così male.

Dash invece non riusciva assolutamente a concentrarsi.
Che non fosse una cima a scuola lo aveva sempre saputo, per questo aveva deciso di dedicarsi anima e corpo nello sport, almeno fino a quando qualcuno non era entrato nei suoi pensieri spingendolo a dare il peggio di sè anche sul campo di football.
Aveva cominciato a guardare Danny Fenton con occhi diversi da qualche mese ormai. Prima cercava di capire come si fosse fatto quella muscolatura asciutta e sottile che si ritrovava in poco tempo, poi aveva cominciato a cercare di capire cosa ci fosse sotto l'asciugamano in corrispondenza della curva del sedere.
Si era ritrovato a prestare attenzione ogni volta che apriva bocca, faceva attenzione a cosa mangiava, a come lo guardava.
Quando aveva capito che quel ragazzo di stava infiltrando nella sua testa aveva deciso di toglierlo di lì a calci.
Aveva pensato che sfogare la frustrazione che provava in quel momento sul suo corpo minuto lo avrebbe aiutato, ma si sentiva solamente un grosso mostro cattivo.

*ECCOCI QUI*
Parto dalla premessa che so che questa storia non arriverà mai ai piani alti.
Nessuno conosce questo cartone animato, lo so bene, ma avevo bisogno di scriverci su.
Avevo bisogno di esprimere la mia visione dei fatti sulla cosa.
Questo cartone animato mi ha salvato dalla depressione e gli devo molto, quindi non m'importa. Scriverò fino a quando qualcuno non leggerà anche solo per curiosità e mi divertirò a farlo.
Quindi, cari fantasmini, e ci sta perché il publico sarà pari a zero e perché la storia parla di fantasmi, spero vi sia piaciuto!
Al prossimo capitolo!
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Mine ~ Danny Phantom Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora