■15■ Magie svanite e imperfette realtà

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L'agghiacciante scoperta che faccio alle 4:34 di notte è che mi sono addormentata sul sedile di fianco a Dennis e che ora l'auto è ferma. Lui se ne sta con la testa posata sullo sterzo e, per come si massaggia collo e spalle, sembra che gli facciano male e che sia preda di spasmi. Pare non abbia la minima forza di spostarsi. 

Di colpo, senza muovere il resto del corpo, afferra la maniglia e la tira a sé. Lo sportello si schiude leggermente e dagli spiragli si infiltra una sferzata d'aria fredda che ci fa rabbrividire entrambi. Solleva il capo e questo, come un rigido pezzetto di gesso, scricchiola dando il via a degli scatti, appena percettibili, di percorrergli tutta la spina dorsale come tanti tasselli del domino che crollano uno dopo l'altro. Tenta di sgranchirsi inarcando la schiena e poi posa i piedi a terra, fuori dall'abitacolo. Un rumore simile a quello della ghiaia, fa spazio alle sue scarpe che evidentemente vi sprofondano dentro e vengono accolte dai sassolini. 

Inizia a passeggiare da una parte all'altra della macchina e io scendo per sgranchirmi un po', mentre il freddo mi accoglie bruscamente con i suoi mille aghi penetranti. Il mezzo è parcheggiato in modo trasversale. Si vede chiaramente che siamo arrivati qui e Dennis ha tirato una sterzata per poi lasciare l'auto senza preoccuparsi di far troppe manovre. I segni degli pneumatici sono dei solchi che formano due perfette C parallele e lui, lo noto solo adesso, ne segue la linea con i passi, marcando maggiormente uno dei due tracciati con le sue impronte.

  Mi guardo attorno: c'è un panorama stupendo, siamo in alto, ma non riesco a capire dove. Il silenzio è interrotto solo da qualche piccola alitata di vento gelido, vento che ci ha irrigidito i corpi ormai dalla testa fino alle dita dei piedi. Dennis sbuffa una nuvoletta, poi evidentemente si accorge che sta tremando. Mi guarda e mi fa cenno verso la vettura. Gli scossoni lo fanno sobbalzare più volte prima di convincerlo a rientrare in macchina. Vi si infila in fretta e furia e lo stesso faccio io. Sprofondiamo nei rispettivi sedili chiudendo il freddo fuori dell'abitacolo ancora riscaldato.   

«Ti faccio una proposta» dice lui tentando di scaldarsi le mani diventate a macchie. «Ho visto delle insegne poco prima, a qualche chilometro da qui c'è un albergo...».

A sentire quella parola, tutto il mio sistema va in allerta e lui se ne accorge.

«Prenderemo due stanze, anche se sono un po' a corto di denaro... ma non importa. Ho davvero bisogno di rilassarmi e di distogliere gli occhi dalla strada. Dopo nottate insonni e lunghe giornate di lavoro, il mio fisico non regge più e... insomma, mi bastano un paio d'ore per riprendermi, capisci? Giuro che non ho altre intenzioni».

Mi sembra sincero, al punto che accetto senza far storie.  

«Possiamo anche prenderne solo una, mi fido di te, e poi sei talmente stanco che anche se avessi altre intenzioni, non potresti mai attuarle» sorrido.

«Direi di no, quindi tranquilla» fa lui. «Tu intanto goditi il panorama. Volevo svegliarti dopo essere usciti dall'autostrada e aver intrapreso questa di montagna, ma russavi così bene che...»

«Cosa?» lo interrompo.  «Io non russo!». 

«E come fai a dirlo?» mette intanto in moto la macchina. La sua domanda mi zittisce e inoltre sento che mi si infiamma tutto il viso. Se davvero mi avesse sentita russare?

«Dai che scherzavo» ride di gusto. Per un momento provo sollievo, poi aggiunge: «O forse no? Non lo saprai mai!».

Con questo dubbio in testa, e la sua risata nelle orecchie, volgo lo sguardo alla vista del paesaggio circostante. Tante lucine lontane, stelle cadute in terra, tracciano linee luminose che disegnano i contorni incurvati delle montagne. Mi riportano alla mente quando io e la mia famiglia ci recavamo alla nostra baita in montagna.  Era il momento dell'anno che preferivo, di solito durante le feste natalizie, quando i miei avevano un piccolo periodo di vacanza dal lavoro e io e Davide da scuola. Mi piaceva tutto: la piccola ma accogliente casetta di legno, il bosco circostante con quell'odore perenne di pino,  le nostre escursione muniti sempre di bastone rimediato dai rami trovati a terra, tra il manto di foglie, persino le litigate con mio fratello mi mancano...

Penso spesso che quando si cresce, alcune cose che si ritengono magiche spariscono,  forse per non tornare più e questo mi rattrista. Così com'ero quel giorno di alcuni anni fa quando i miei decisero di vendere la baita. Ormai gli impegni avevano preso il posto di ogni più piccolo ritaglio del tempo libero e i miei non avevano più occasione di portarci lì. Inutile dire che io e Davide rimanemmo molto male quando decisero di disfarsi di un posto che per noi figli equivaleva a un sogno.

«Qualcosa ti turba?» domanda Dennis facendo esplodere la bolla dei miei pensieri.

«No, no...»  rispondo io, colta in flagrante.

«No perché sono almeno un paio di minuti che non parli e mi pareva strano».

«Ma cosa?! Uffa...».

Sbuffo mentre il suo volto si colora dell'ennesimo sorriso. Non mi sembra un ragazzo così disperato da volersi togliere la vita. Eppure è quel che ha detto. Mi sta prendendo in giro? Per quale motivo dovrebbe, però? Per me lui è ancora un mistero. Chissà se in questo viaggio riuscirò a scoprire qualcosa in più su "Mister Tenebroso", com'ero solita chiamarlo quando sentiva Dorota su Virtual Social.

«Guarda, l'albergo» mi indica una modesta struttura tutta illuminata che, sbucata da una curva, ci viene incontro. «Siamo arrivati».

Inarco gli angoli della bocca abbozzando un'espressione posticcia di serenità, ma riconosco a me stessa che un po' di timore ce l'ho, lo sento dal cuore che aumenta la sua attività in modo improvviso.

Mi sono persa in ricordi e magie ormai svanite, ma adesso mi rendo conto che non sono più una bambina e che la realtà potrebbe non essere così rosea e perfetta.

L'occhio pauroso di una luna piena ci guarda, trasmettendomi un brivido. Posso solo sperare che vada tutto bene e soprattutto che i miei non vengano mai a sapere della situazione folle in cui mi sono andata a cacciare.

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