■16■ Chiusure mentali

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Non è mai stato facile per me fare calcoli mentalmente. Eppure mi sono sempre detta: "I numeri sono elementi astratti, dovrebbe essere semplice sommarli o dividerli senza per forza dover utilizzare penna e foglio". Invece no, di fronte a un problema di natura matematica, mi ritrovo come sempre in difficoltà. Meno male che esistono alcuni sotterfugi a cui si può ricorrere. Non dovrei far fatica a contare le piastrelle del pavimento che intercorrono da un letto all'altro. Otto mattonelle da questo a quello vicino alla porta e due, quattro, sei, sette... sempre da questo, al letto vicino al bagno. Direi che ho scelto dove dormirò. Diciamo anche che non c'era nemmeno bisogno di contare nulla. Anche a occhio è sufficientemente chiaro dove dovrei mettermi per stare il più lontano possibile da lui...

E mentre indugio, il suo sguardo pesa gravemente su di me e si fa grande l'attesa di udire una mia semplice conferma.

«Mi metto qui».

Non faccio in tempo a dirlo che Dennis è seduto sul materasso sotto la finestra e si sta togliendo le scarpe. Faccio mezzo giro con il corpo rigido, come se si stesse spogliando completamente, ma lui nemmeno se ne accorge, preso com'è dal desiderio di riposarsi. Difatti, quando non sento più nessun fruscio di movimento, mi volto e lui si è già messo sotto le coperte. Lo sorprendo a guardarmi.

«Tu non dovresti essere qui» mi dice mettendo le mani incrociate sotto alla testa.

«Invece ci sono» mi accomodo sul mio letto e con un piede sotto l'altro spingo via e tolgo la prima scarpa. Questa fa una capriola e cade di lato sul pavimento. Ho i calzini a fasce fucsia e giallo... Non proprio l'ideale da mettere in mostra, ma nemmeno le vede, stordito com'è.

«Il letto è comodo?» chiedo sfilandomi l'altra scarpa.

«Non è male» continua a guardarmi lui. Sollevo le coperte e ci scivolo sotto e il tepore che da subito mi accoglie, mi dona un senso di appartenenza che trovo alquanto strano. Mi metto sul fianco, girata verso di lui. Lo vedo allungare una mano verso l'interruttore e dopo un click siamo al buio. Solo una fascia proveniente dal lampione, appena fuori dalla finestra, ci regala qualche gioco di luce e ombre. Vedo metà del suo viso e, dannazione, supino acquista un fascino assurdo.

Mi copro fin sul naso con le coperte che hanno, meno male, un buon profumo di detersivo o ammorbidente. Questo mio nascondermi mi ricorda quelle misere volte che Virgilio mi ha portata a casa sua. Mi sono sempre chiusa a riccio, tanto da non permettergli mai di avvicinarsi o di toccarmi con un dito. Lui ha reagito come un qualsiasi maschio credo avrebbe fatto: era offeso, si sentiva respinto. Volevo solo che mi desse tempo, che rispettasse la mia lentezza nell'aprirmi, nel prendere un tipo di confidenza che non avevo mai avuto con nessun ragazzo, nemmeno con Jeremy. Questo lui non l'ha mai capito e ha continuato a fare la vittima quando invece chi non aveva nessuna esperienza, e quindi una paura tremenda di fare una qualsiasi cosa, ero io.

Quel che ci ha fatto sempre scontrare in tutti questi mesi è stata la mia chiusura mentale rispetto ad argomenti un po' più... fisici. Ho ricevuto un'educazione molto ristretta dai miei genitori, del tipo: certe cose solo dopo il matrimonio, Vica! Forse più un'imposizione che un consiglio, ma non sono mai riuscita a trasgredire a queste loro regole, regole che poi sono diventate le mie, insomma alla fine ho deciso di essere quel che sono non perché siano i miei a dirmi cosa fare e cosa no, ma perché non mi sono mai sentita pronta a donarmi a nessuno. Con Jeremy è andato tutto a rotoli già da tempo e dall'incidente peggio ancora, con Virgilio invece perché dovrei decidere di dare proprio a lui qualcosa che per il momento sento appartenere ancora a me? Solo per accontentarlo? No. Io credo davvero di essere innamorata di lui, ma sarò sua in tutti i sensi solo quando sentirò che anche lui lo è, e finora ha dimostrato di tenere solamente a se stesso.

La mia loquacità mentale mi ha fatto perdere di vista Dennis per qualche minuto. Mi sta ancora guardando e mentre pare assopito in quel silenzio che ronza nella stanza, un rumore assai impertinente irrompe facendolo ridestare.

«Scusami!» esclamo imbarazzata. Sotto le coperte mi porto le mani congiunte sullo stomaco, per rimproverarlo di aver brontolato ad alta voce. «Non ho fame, giuro!» mento a me stessa e a Dennis che si mette a sedere.

«Mi spiace, non ho pensato che potessi...».

«Ma davvero non ho fame!» continuo e mi sollevo. «Mi capita quando sono nervosa, ecco» tento di giustificarmi e soprattutto di coprire con la voce altri rumori che quell'infame di organo continua a emettere.

«Sei nervosa?».

Resto zitta per un attimo poi penso sia meglio essere sincera.

«Lo ammetto, sì. Non mi capita tutti i giorni di finire in una camera d'hotel con un ragazzo che non conosco, per giunta e...» sollevo una mano e lo blocco prima che possa parlare non appena vedo che prende fiato. «...E lo so che è colpa mia se sono qui, ma ciò non toglie che un po' nervosa potrei esserlo, è normale, no?».

«Sì, normalissimo» si appoggia alla testata del letto.

«Non è meglio che tu dorma?».

«Sì, tu che fai? Resti sveglia?».

«Probabilmente. La dormita che mi sono fatta in macchina mi ha spezzato il sonno, ma tu non pensare a me».

Dennis si sdraia e faccio anch'io lo stesso. Inizio inoltre a pregare che il mio corpo non produca più alcun suono o rumore sgradito, sarebbe imbarazzante. Guardo la luce infiltrarsi in camera e mi viene in mente che Dennis ore prima mi ha accompagnata a casa mia senza che gli dessi alcun indizio di dove abitassi. Rivolgo gli occhi ancora a lui, ma mi accorgo che si è addormentato e mi sfugge un sorriso di tenerezza nei suoi confronti.

Lascio che le palpebre mi regalino il buio e permetto al sonno di appropriarsi di me.

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