■19■Pensieri condensati

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Finita la nostra capatina ai bagni, facciamo un salto al bar che si trova nell'area di servizio. Come al solito le cose costano molto di più di quanto si spenderebbe prendendole nel normalissimo negozio sotto casa, eppure Dennis non risparmia i suoi soldi e compra un paio di spazzolini, un dentifricio, delle salviettine umidificate al gelsomino - non esiste odore più sgradevole al mondo, a mio avviso - e quelle odiatissime sigarette. Compra anche un piccolo borsello che possa contenere quelle cose che, evidentemente, occorreranno per avere l'igiene personale al minimo degli standard della decenza. 

Decidiamo di usare subito gli spazzolini anche se il posto non è dei più adatti per farlo, ma chi se ne importa, molte delle persone incontrate in quest'area di sosta non le rivedremo mai più per il resto dei nostri giorni.

Provo già una certa soddisfazione sentendo i denti puliti e la bocca fresca e anche le salvette rilasciano sul mio viso una bella sensazione. Peccato per l'odore che mi disgusta...
Rientro in bagno e infilo la mano, munita di quel fazzoletto imbevuto, sotto la maglietta. Non sarà come essersi fatti la doccia, ma ci si accontenta in condizioni "estreme".

Esco e, come previsto, Dannis è già fuori che mi attende. Mi dice poi di andare alla macchina e aspettare che mi raggiunga, intanto lui torna nel bar, mentre io, stretta nel mio giubbotto e rientrando in modalità tartaruga, mi dirigo al parcheggio. Mi guardo attorno nel frattempo, appoggiata con la schiena allo sportello freddissimo dell'auto. Mi giro e specchio il viso al vetro un po' appannato dalla condensa, tentando di darmi ancora un'apparenza di presentabilità perché tutto il tempo passato davanti allo specchio del bagno non è servito granché, ero e sono ancora, una sottospecie di mostro.  

I miei occhi superano il vetro e finiscono all'interno della macchina posandosi sul vistoso oggetto riposto lì dentro. Una cassa da morto, direbbe qualcuno vedendola, ed è così che appare difatti. Tutto l'alone di mistero che si deposita intorno a quell'oggetto, lo circonda proprio come la condensa sul vetro e inizia a stuzzicare la mia curiosità. Se Dennis guadagnerà un bel po' di soldi solo per trasportare questa cassa in un altro paese, significa che deve contenere qualcosa di particolarmente prezioso o importante. Chissà, magari si tratta di traffico illecito... In questo caso deve aver bisogno di denaro, se è disposto a rischiare grosso e mi chiedo allora perché.

Tutti i miei pensieri svaniscono sopra la mia testa come la nuvoletta di vapore che esce dalla mia bocca e si scontra con il gelo, quando Dennis arriva alle mie spalle e mi fa voltare di scatto. In mano ha due sacchetti di carta che emanano un profumo da aprire lo stomaco. Saliamo in macchina e mangiamo, poi si riparte, ma nessuno dei due apre più bocca, se non per masticare chewingum alla menta. La strada sembra interminabile e approfitto perciò di quel momento di silenzio per scrivere messaggi. Chiedo ai miei come stanno, contatto Davide che si preoccupa che io non abbia mandato a fuoco la casa e chiedo a Dorota se i prof hanno detto qualcosa della mia assenza. Controllo la chat con Jeremy e solo ora mi rendo conto che le nostre "chiacchierate" sono diventate sempre più frammentate, sintetiche e questo non perché passiamo così tanto tempo assieme da non aver più nulla da dirci via messaggio, ma perché... non lo so il perché, ecco...

Con Virginio la situazione non cambia granché, però con lui questa è la normalità. Sarei rimasta sorpresa se vi avessi trovato un cenno del suo passaggio.

Il senso di nausea mi invita a posare il telefono e ritorno mentalmente nell'abitacolo. 

   «Tutto ok?» mi chiede.

   «Sì, certo» rispondo non molto convinta. Guardare la mia vita dal di fuori mi fa uno strano effetto. Sono lontana da casa, fiondata in una strana avventura che non so se e quanto potrebbe rivelarsi pericolosa e adesso mi pare di avere un quadro completo di quel che ho lasciato a Milano. 

Forse avevo bisogno di staccare un po' dalla realtà e provare a valutarla in un'ottica differente o forse...

Sento lo sguardo di Dennis sul mio profilo e decido involontariamente di interrompere il mio spontaneo flusso di coscienza.

   «Che c'è?» lo aggredisco con un'occhiataccia.  

   «Uhm... niente».

Torna con gli occhi sulla strada, di nuovo, fingendo l'indifferenza. Ha una faccia talmente di bronzo da far passare la voglia di prenderla a schiaffi per il semplice motivo che risulterebbe doloroso per le mie mani.

   «Niente? Sicuro?» insisto. 

   «Dimmelo tu che c'è» mi getta la palla, sperando che io la prenda al balzo.  

   «Non sei nella posizione di avanzare pretese» gliela rilancio indispettita. 

  «Se è per questo nemmeno tu» non si lascia intimorire dal mio tono asciutto.

 «Ma sei tu quello che ha iniziato a far domande» non cedo.

 «Questo scambio sterile di battute deve andare avanti per molto?».

«Dipende da te».

«E da te. È in due che si discorre».

«Non ho voglia di parlare».

«Allora chiudi la bocca» mi ordina, e lì non ci vedo più.  

«Mi stai zittendo?! No dico... davvero mi hai detto di tacere?!».

La mia voce si alza di un'ottava, stento quasi a riconoscerla. Respiro affrettatamente e ciò si nota ancor di più dal fumo bianco che emana la mia bocca, segno che l'abitacolo non è ancora abbastanza riscaldato.

Scuote la testa lui, cosa starà pensando? Che io sia esagerata? Che mi stia innervosendo per nulla? Se è abituato a trattare così gli altri e riceve da loro sottomissione, con me ha fatto un buco nell'acqua.

«Cristo Santo...!» esclama.

Prima che possa aggredirlo di nuovo, noto che guarda un punto fisso. Non ce l'ha con me, anzi, mi sta ignorando.  Guardo anch'io in quella direzione e vedo in lontananza un posto di blocco, con tanto di forze dell'ordine armate.

L'auto rallenta e Dennis sbianca di botto.

«Dimmi che non c'è niente di cui preoccuparsi in quella maledetta cassa...» gli chiedo in tono quasi supplichevole.

«Vica...» dice sottovoce e io attendo e spero ancora in una conferma da parte sua.

«Dennis...».

«Vica, siamo nella merda».

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