■18■ Siderale verità

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Le montagne continuano a costeggiare l'autostrada da entrambi i lati. Il senso di soffocamento sale fino all'angoscia. Faccio mille pensieri quando mi sento così indifesa. Nessuno potrebbe proteggermi nel qual caso quelle cime, irraggiungibili quasi anche con gli occhi, dovessero franare. Rimarrei schiacciata tra le lamiere di questa macchina, anche se Dennis accelerasse. Sì, perché ci sarebbe un effetto domino. Un monte cadrebbe e trascinerebbe con sé l'altro di fianco e noi pur sfrecciando sulla sottile striscia di strada, ci ritroveremmo presto stretti fino a non respirare più. L'ultimo spazio utile ai fini della respirazione verrebbe presto derubato dall'apertura dell'airbag e così anche l'ultima speranza di sopravvivere andrebbe a farsi friggere. Mentre il metallo della macchina comprime i nostri corpi ormai frantumati, sentirsi esplodere un cuscino dritto sulla faccia sarebbe quasi ironico. Ironico da vedere in una commedia, però.

Sono paranoica e no, non ho scritto io la trama di "2012", tra l'altro odio pure quella pellicola. Una trama troppo distruttiva, inverosimile, non mi ricordo nemmeno come va a finire e comunque non ho mai creduto alle profezie dei Maya, e non lo dico col senno di poi, solo perché ormai il 2012 è passato e la predetta fine non c'è stata, la mia convinzione è sempre stata quella, e...

Sto divagando come sempre, proprio come quando ci resto male perché mi è stato fatto un torto. Mi sento svuotata, alla stregua degli angoli di un cornetto, quelli che non riempiono mai di crema o cioccolata o marmellata. Quelli angoletti asciutti che si fermano in gola e che se non hai un goccio d'acqua per spingerli giù, vai in panico.

Ora solo il mio papà potrebbe essere l'ottimo consigliere che è sempre stato e sempre sarà. Lui che sa sempre tirarmi su il morale, lui che sa sempre darmi la dritta giusta...

Dennis mi ha appena confessato la verità e, come spesso accade, essa brucia, ma tanto.

«Cosa ti aspettavi? Sono tanti mesi che conosco Dorota, anche se non di  persona. Sarebbe stato strano se non mi avesse parlato di te, piuttosto che il contrario, non credi?» continua lui a giustificarla, come se servisse a risollevarmi il morale.

Non lo sfioro nemmeno con la coda dell'occhio. Sono caduta nella spirale del mutismo e adesso vorrei solo capire chi è questa persona seduta alla mia sinistra.

«Abbiamo ancora parecchia strada da percorrere, non sarà divertente passarla in silenzio» la sua voce che si confonde con il rumore fastidioso e continuo del motore tirato al massimo, giusto per sfuggire a un'eventuale frana di rocce. «Ascolta Vica...».

«Non chiamarmi così!» gli urlo, poi mi accorgo che il tuono nel mio timbro non è proporzionale al momento e cerco di contenermi o di dare almeno una spiegazione alla mia rabbia. «Quello è il diminutivo che usano i miei parenti e amici stretti, non mi sembra che tu sia tra questi».

«Ti ho offerto la colazione, ho indovinato pure i tuoi gusti...».

«E allora? Finisce lì la lista delle cose che hai fatto per accaparrarti la mia amicizia? Io ti sto facendo compagnia in questo viaggio che altrimenti avresti dovuto fare solo come un cane!». 

«Ma io sono abituato a stare solo come un cane, forse questo non lo sai».

Quella frase sa tanto di triste. Non la pronuncia con vittimismo, però, ma solo come se fosse un'obiettiva constatazione. Non so più come ribattere e me ne torno nel mutismo che lì ci sto comoda.

«Ok, io non volevo giocarmi la carta del "senso di colpa", ma sei tu che mi costringi» incalza lui.

«Sensi di colpa? E sentiamo: perché io dovrei sentirmi in colpa?» ribatto più che certa della mia posizione e del fatto che probabilmente non avrà argomentazioni abbastanza valide per appiopparmi quella spiacevole sensazione che vuole che io provi.

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