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La sveglia suonò come ogni mattina. Le tirai un pugno, facendola cadere a terra, e ficcai la testa sotto il cuscino, mugugnando infastidita quando Claudia venne a scuotermi. La cacciai con una mano e mi decisi a tirare la testa fuori dalle coperte. La stanza era ancora buia, le tende erano abbassate e creavano uno stato di penombra in tutta la stanza.

Mi stropicciai gli occhi ancora assonnati e poggiai i piedi a terra, sbadigliando. Quando le piante dei miei piedi entrarono in contatto con il pavimento freddo rabbrividii appena, poi saltai in piedi barcollando. Grattandomi lievemente la testa mi incamminai verso l'armadio, sbandando a destra e sinistra ad ogni passo, ancora intontita.

Aprii un'anta del mobile di legno scuro e frugai nell'ammasso di vestiti buttati lì dentro n disordine. Quel giorno avrei indossato una tuta blu, con una felpa bianca extra large.

Era un martedì. Martedì 16 ottobre. Odiavo il martedì, come ogni giorno della settimana del resto.

Mi vestii in fretta e furia, pettinandomi velocemente i capelli neri che mi arrivavano a metà della schiena. Mi sciacquai il viso e inforcai gli occhiali, poi scesi di corsa le scale per la colazione. Non che mi allettasse particolarmente l'idea di mangiare per la milionesima volta latte e biscotti.

Mi fiondai sulla sedia e arraffai una tazza colma di liquido biancastro rovesciandone qualche goccia. Vi inzuppai distrattamente un biscotto e me lo ficcai in bocca, ancora grondante di latte. Quando ebbi divorato anche il settimo biscotto bevvi un lungo sorso di latte, svuotando la tazza nella quale ormai rimanevano solo le briciole dei biscotti ancora inzuppate. Mollai la tazza sul tavolo e tornai in camera.

Dopo essermi lavata i denti presi il cappotto e lo zaino. Buttai quest'ultimo su una spalla e riscesi frettolosamente le due rampe di scale che mi separavano dal primo piano.

Spalancai la porta d'ingresso e uscii dalla casa-famiglia. Inspirai profondamente l'aria fredda dell'autunno Newyorchese e iniziai a mia camminata verso la scuola.

Mi presi tutta la calma possibile e un quarto d'ora dopo mi ritrovai a sgomitare in mezzo ad una folla di ragazzini che tentavano di non perdersi nella confusione. Entrai nella mia classe, la 3^ A, e mi sedetti al mio solito banco, quello infondo alla classe. Buttai lo zaino per terra e iniziai ad estrarre il libri.

Non più di due minuti dopo entrò la professoressa di Matematica. Così iniziò la mia ripetitiva giornata.

Alle undici suonò la campanella della ricreazione, così uscii in giardino assieme al resto della classe. Come ogni giorno arrivarono loro.

Brad mi si avvicinò con un sorrisetto beffardo stampato in viso.

- come va Lawrence? - disse con un ghigno.

- molto bene, Williams. - marcai il più possibile l'ultima parola.

- hey sfigata! - urlò Tania

Io non risposi.

- porta il tuo culo da secchiona via da quella panchina - proseguì il ragazzo guardandomi male o poi indicando con gli occhi la panchina su cui ero seduta.

- se no? Lo dici alla preside? Piuttosto, porta via di qui il tuo culo da bastardo. -

- modera il linguaggio -

- oh, giusto. Qui ci sono dei bambini - dissi squadrandoli. Una mia caratteristica era quella di saper rispondere a tono. Soprattutto con con quei due. E l'espressione "salvata dalla campanella" era quella perfetta, dato che il suono squillante che si udiva ogni giorno alle 11:15 mi aveva appena stordita.

All'una mi precipitai fuori dalla scuola e mi diressi verso la casa-famiglia. Brad e Tania si fermavano sempre da qualche parte.

Mi fiondai in camera mia senza neanche andare a mangiare e tirai i libri fuori dallo zaino. Presi penna e diario e mi misi a fare i compiti. Due ore dopo sgattaiolai in cucina e, aprendo la credenza, trafugai un mini vasetto di Nutella e dei biscotti. Quando fui al sicuro in camera mia, certa che Claudia non venisse a rubarmi la merenda, spalmai i biscotti con quella dolce crema di nocciole e me li ficcai in bocca. Quando ormai avevo finito i compiti, saranno state le 17 o le 18, avevo anche divorato l'intero vasetto di Nutella e mezza confezione di biscotti. Infatti i libri erano ricoperti briciole e qualche sbavatura di crema.

Raccolsi i residui di merenda in un fazzoletto e, tornata in cucina, bevvi tre lunghi sorsi d'acqua, dato che ormai avevo la gola secca e impiastricciata di Nutella. Mi pulii il viso e tornai di sopra, pronta ad iniziare un nuovo ed emozionante capitolo del libro che stavo leggendo.

Ma era solo la quiete prima della tempesta. Claudia fece irruzione in camera spalancando la porta come un tornado e mi si piazzò davanti con in mano una specie di rivista. Cercò di conversare con me, ma non ero un tipo socievole. Così le dissi che ero stanca e mi infilai li auricolari nelle orecchie. Ascoltai musica per una buona mezzora, finché non mi venne voglia di uscire.

Mi infilai un bel cappotto pesante e sfrecciai in strada. Il vento ululava impazzito, sferzandomi il viso violentemente. Quella sensazione di poter essere spazzata via da un momento all'altro mi piaceva, mi liberava di tutti i pensieri e le preoccupazioni della mia inutile vita.

Presi la strada per Lexington Avenue, passando da Park Avenue. In Lexington Avenue avevano fatto proprio dei bei giardini, verdi e pieni di alberi. Mi sedetti su una panchina vicino ad un salice e guardai la strada con le macchine che passavano senza quasi fermarsi allo Stop.

Un ragazzo attirò la mia attenzione. Era alto e snello con dei capelli scuri e la pelle chiara. Si guardava intorno circospetto e camminava come se stesse su una fune sospesa a trecento metri da terra. Lentamente mi passò davanti senza salutarmi, poi sparì dietro una siepe. Fui tentata di scoprire dove fosse andato, ma ormai il cielo stava scurendo.

Presi la strada per Madison Avenue, intanto i colori bluastri della sera si protendevano verso il sole che stava calando, divorando poco alla volta la luce dorata del tramonto.

Rientrai nella casa-famiglia. Trovai la Direttrice, appoggiata al tavolo, che teneva in mano un foglietto. Mi guardò con aria assente. Allora chiesi

- cosa c'è? -

- uscita didattica mercoledì dalle otto di mattina alle sei di pomeriggio. -

Mi si illuminarono gli occhi.

- posso... -

- sì. Puoi. -

- ohhhh! Grazie! - per poco non mi misi a saltare come una matta. Era troppo strano che mi stesse permettendo di andare... Probabilmente mi lasciava solo perché mi voleva tra i piedi un giorno in meno.

Salendo le scale ripensai al ragazzo che avevo visto al parco e al suo strano comportamento. Ma mi dissi di non preoccuparmi, tanto a New York erano tutti mezzi scemi. E infatti io non ero di New York, non del tutto.

ANGOLO SCRITTRICE

Hello! Vi è piaciuto il capitolo? So che ora la storia sembra noiosa... Ma almeno sono successe cose misteriose... Per quanto incontrare un ragazzo a New York che si guarda intorno possa essere misterioso XD

Ma dettagli. Adesso vi saluto, baci.

Remember who you areDove le storie prendono vita. Scoprilo ora