Salii sul pullman e mi sedetti ad un sedile in un angolo remoto. C'erano circa venti persone, tutta la mia classe. Più un'altro. Non l'avevo mai visto. Dimostrava quindici anni... Di sicuro non faceva la terza media come me...
Pazienza. Presi il cellulare e gli auricolari e mi sparai nelle orecchie la musica scaricata. Come se l'autista lo stesse facendo apposta il pullman era sballottato in alto e in basso per via delle numerose buche che centravamo in pieno.
Poi mi arrivò un messaggio. Era Alec:
Alec:
Hey, domani ti va bene alle quattro e mezza?Io:
è perfetto, tanto non ho niente da fare! :)Alec:
:)Tirai fuori il mio libro dallo zaino e iniziai a leggere. Sì, avevo praticamente tutto la dentro... Nonostante tutte le buche il mal di stomaco non accennò a presentarsi. Continuai la mia lettura per un po' poi iniziai a fissare la strada fuori dal finestrino, con i capelli neri che mi sbatacchiavano sugli occhiali.
Dopo non so quanto tempo arrivammo a... Manhattan? Sì, Manhattan.
Tutti in in fila indiana (io per ultima ovviamente) ci avviammo tra le stradine dell'isola, con la prof in testa. Dopo un ora di cammino e silenzio le gambe per poco non mi cedettero. Ci fecero sedere su delle panchine e io iniziai a mangiare molto lentamente il mio panino al prosciutto. Rimasi sola fino a quando il ragazzo di quindici anni non si sedette accanto a me. Non sembrava voler attaccar bottone, così rimasi zitta, anche perché non sapevo che dire.
Quando si alzò c'era un bigliettino sulla panchina. Feci per alzarmi e restituirglielo ma il ragazzo era già sparito... Quel foglietto piegato sembrava urlasse "leggimi!". Così non resistetti e lo aprii. C'era solo un indirizzo: Madison Avenue 16. Era l'indirizzo della mia casa-famiglia...
Non ci stavo capendo più niente... Ma le riflessioni da piccolo genio del crimine dovevano aspettare: gli altri se ne stavano già andando. Saltai in piedi e mi misi alla fine della fila di ragazzi.
Durante la camminata ci fecero vedere i palazzi di Manhattan, identici a quelli di New York, infine entrammo in un museo. Gratuito.
Fossili su fossili, poveri animali impagliati e pezzi di scheletri. Niente di particolarmente entusiasmante... però forse quella era la mia giornata fortunata...
Entrammo in una libreria. Una gioia troppo grande da contenere si impadronì di me, che iniziai a saltellare sul posto per poi disperdermi in quella marea di scaffali. E ovviamente al piano di sopra c'era un reparto di videogiochi, dove il resto dei ragazzi andò. Io rimasi lì a scorrere con l'indice su tutti quei libri... Maze Runner, Harry Potter, Hunger Games, Divergent... Volevo comprarne uno. Così optai per un libro che sembrava carino: La città delle Bestie, di Isabel Allende.
Pagai alla cassa prima che gli altri arrivassero sommersi di scatole di video giochi e ogni sorta di cose elettroniche.
Uscimmo dal negozio ed entrammo in un bar. La guida e la prof volevano bere un caffè. Così ne approfittai per prendere un cappuccino e un biscotto ricoperto di crema.
Poi ripensai al biglietto. Madison Avenue 3. Che voleva quel tizio? "Bah", pensai. Seguii gli altri fuori dalla porta e ci avviammo verso il pullman che distava circa due o tre chilometri. Mi chiesi, infatti, come facevo a rimanere ancora in piedi dopo tutto quel camminare.Come se non bastasse, quando salii sul pullman, vicino a me si sedette quel ragazzo di quindici anni. Io mi scostai di più verso il finestrino, premendoci contro la guancia. Mugugnai di dolore, il livido se n'era andato, ma mi faceva ancora un po' male là dove avevo sbattuto sull'asfalto.
Tornati a New York non tornai direttamente a casa, ma mi diressi al parco.
Le fronde degli alberi erano sbattute a destra e sinistra dal vento gelido dell'ottobre Newyorkese, e io mi facevo accarezzare i capelli da quell'aria invernale che annunciava l'imminente arrivo della neve. Quei pochi salici che c'erano avevano le foglie mezze congelate e l'erba stava ormai seccando per il freddo. Mi misi le mani in tasca e incassai il collo nelle spalle, coprendomi sia con il cappuccio del Parka che con i miei capelli, talmente folti e lunghi che mi potevano benissimo fare da mantello. Il sole proiettava favolosi giochi di luce, filtrando attraverso le fronde degli alberi.Le nuvole nel cielo si muovevano lentamente, spinte dal vento. Un paio di uccellini volavano indisturbati, uno strano silenzio si era impadronito di quel luogo. Strano a dir poco... A New York non c'era mai silenzio... Forse però ero io che non volevo sentire quei rumori tipici della città. Mi sarebbe piaciuto riavere i miei genitori.
"Mi guardo intorno, la macchina è capovolta. Morti. Tutti. Tranne me. Arriva una donna, parla italiano, è mia zia.Mi prende tra le braccia, io urlo e dico cose incomprensibili. In italiano. Infatti siamo in Lombardia. Mia zia mi porta con sé, dice che stiamo andando in America..." Scaccio quel ricordo, con una lacrima che mi scende sulla guancia. Non potevo, non volevo, ricordare. Troppo doloroso...
Chiusi gli occhi e ascoltai il rumore della brezza fresca che fischiava tra gli alberi, facendomi volare addosso alcune foglioline secche.
Qualcosa di freddo, soffice e leggero mi si posò sul naso...
Sollevai lentamente le palpebre e osservai attentamente il fiocco di neve che si stava sciogliendo a contatto con la mia pelle. Altri coriandoli bianchi caddero dal cielo, danzando vivaci su uno sfondo grigiastro. Era il momento di tornare a casa.
Con gli occhi lucidi entrai di corsa nell'edificio della casa-famiglia, asciugandomi freneticamente le lacrime. Tirando su col naso e mi diressi in cucina. Presi una bustina di cioccolata in polvere e la misi in una tazza di acqua calda. Quando la cioccolata fu pronta salii al piano di sopra facendo scricchiolare appena il parquette. Aprii la porta della mia stanza, silenziosa come sempre.
Arrivata in camera mia mi ritirai sotto le coperte, tirandomele fino al mento, dopo essermi infilata il pigiama. Presi dal comodino la cioccolata calda e iniziai a berla, osservando tranquillamente la neve che scendeva dal cielo, oltre il vetro della finestra.
ANGOLO SCRITTRICE
Hey! Spero di non avervi fatto piangere troppo con la storia della morte dei genitori di Emily... Anche se era uno sprazzo di ricordo.
Perché un'altro capitolo così presto? La risposta vi sarà data immediatamente: c'è una cara claraberrino che mi vuole tanto bene e su Watsapp mi ha tartassata pregandomi di pubblicare un'altro capitolo.
Ora vi shaluto sperando che la mia adorabile compagna di classe alla quale non piace leggere ma si sta innamorando dei miei libri non mi costringa a scrivere altro (?) No dai, mi piace scrivere! E leggere! ( sì, ma a voi che vi frega? Niente, appunto XD)
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Remember who you are
Werewolf[in pausa] Sette adolescenti, una tredicenne scomparsa e licantropizzata, un fratello ritrovato, un Alpha da uccidere, un mistero da risolvere, un collegamento da capire e cinque cadaveri. «mi chiamo Emily Lawrence e ho tredici anni. Vivevo nella c...