L'agente scelto Moretti avvertì il sat-com vibrare contro la stoffa della tasca interna del giubbotto. Si liberò bruscamente dei piccoli questuanti che lo attorniavano implorando centesimi di euro, che gli strattonavano il vestito, che lo assillavano con improbabili storie di genitori malati e di fami ataviche. Con calma e circospezione, si guardò intorno in cerca di un luogo appartato. Scelse il rudere di una chiesa, vittima di chissà quale passato vandalismo e mai più restaurata, intorno al quale si aggirava solo un branco di cani d'aspetto tremebondo. Dietro un basso muretto di mattoni sbrecciati, vide un paio di travi crollate su cui erano incongruamente cresciuti folti ciuffi di margherite. L'agente vi si sedette, aprì il giubbotto, controllò ancora una volta che nessuno lo stesse tenendo d'occhio, portò il comunicatore all'orecchio.
— Sì?
— Qui Boselli. — disse la voce all'altro capo dell'apparecchio
— Dove ti trovi? Non riesco a tracciarti.
— Aspetta.— replicò Moretti.
Pigiò un pulsante sul fianco del sat-com e attese il bip! di conferma.
— Ho acceso il segnale. — avvertì.
Poi il suo tono si fece cupo.
— Ma la consegna è tenerlo disattivato, lo sai. La voce ridacchiò.
— Che stronzata. Come se quei morti di fame potessero intercettarci... Comunque, adesso ti vedo. Tre, sette, uno... Ho capito. Sarò da te tra un paio di minuti. — Muoio dalla voglia. — brontolò Moretti, spegnendo il comunicatore.
Poi si alzò per sgranchirsi le gambe. Il ginocchio non doleva più, ma continuava a manifestare la sua voglia di protagonismo con sporadiche fitte e un continuo prurito intorno all'articolazione, laddove i trapianti di pelle sintetica erano attecchiti. La clavicola, dal canto suo, non voleva essere da meno, e lo tormentava ancora con periodiche punture di fastidio e un'irritante contrattura dei fasci muscolari. Anche in quel momento, gli sembrava di avere una lastra di cemento tra la base del collo e l'attacco dell'omero. Moretti provò a sollevare il braccio, a toccarsi con la mano la sommità della testa. Sollecitò l'articolazione per quanto gli era possibile; alla fine, grugnendo per lo sforzo, tornò a sedersi, frugò nelle tasche alla ricerca del flacone, tirò fuori le pillole, ne inghiottì tre in rapida successione. Non più di una al giorno, almeno per la prima settimana, aveva raccomandato il medico. Moretti fece una smorfia, poi ne mandò giù altre tre con ostentazione. Dottori del cazzo, pensò. Lo avevano tenuto per giorni e giorni senza stimoline, lo avevano infilzato d'aghi come un puntaspilli, gli avevano infilato sonde in ogni orifizio disponibile, lo avevano lasciato appeso ai cavi della trazione come un quarto di bue, e alla fine di tutti quei supplizi non poteva dirsi neppure soddisfatto del lavoro... Il ronzio del motore lo destò dal suo malumore. Voltandosi, Moretti scorse una motocicletta male in arnese che emergeva dal fronte del traffico e gli si avvicinava sollevando mulinelli di polvere e immondizia. A cavalcioni della sella affusolata c'era Boselli. Anche lui, come Moretti, era in borghese.
— Jacques? — azzardò il nuovo arrivato, incerto
— Sei tu? Moretti annuì seccamente, sfiorando con le dita lo strato di plasticarne che gli addolciva la curva del naso e gli alzava gli zigomi. Detestava subire sedute di camuffamento, ma facevano parte della consegna.
— Belle trecce.
— lo canzonò il collega — Una perfetta acconciatura kazako-rasta. Complimenti.
Moretti gli scoccò un'occhiata truce. — Stronzo... Almeno io non sono vestito come un pagliaccio. L'altro accettò il colpo con aria sorniona.
Dimostrava una ventina d'anni, era robusto, le gambe lunghe, i capelli color mattone tagliati a spazzola, gli occhi chiari. Indossava una casacca di tessuto plastificato tinta a colori vivaci, portava uno zainetto XL-free sulle spalle, stivaletti russi alla caviglia, braccialetti di moda tra i teenager, e una bandana intorno al collo come il protagonista della soap-opera che spadroneggiava sulla RTV. — Monta, Jacques. — ingiunse — Dobbiamo andare. Moretti salì a cavalcioni della motocicletta, sistemandosi alle spalle del collega. Infilò il casco in monofibra che l'altro gli porgeva e gli fece cenno di essere a posto.