CAPITOLO 4

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Lara indietreggiò, prossima al panico. La visione, assolutamente inaspettata, superava in orrore e spavento ogni sua immaginazione. L'occhio sinistro dell'uomo, che la maschera aveva sino a quel momento celato, era un bulbo deforme e velato dal tracoma. Il destro, che finalmente ella poteva vedere in piena luce, era un pozzo cerchiato di nero, obliquo, malsano; la pupilla, dilatata, galleggiava nella rete rossa dei capillari. Le sopracciglia quasi non esistevano, la fronte era devastata da ulcerazioni e protuberanze carnose. Il naso era adunco, gli zigomi asimmetrici, le guance incavate e di colorito verdastro. Le orecchie, piccole e deformi, ricordavano quelle di un animale. Misere ciocche di capelli grigi, rade e scarmigliate, erano tutto ciò che copriva il cranio dalla forma irregolare. — Capisci ora perché porto una maschera, signora giornalista? — mormorò il Giustiziere, amaro. — Co... cosa ti è successo? — balbettò Lara, mordendosi le labbra, vincendo a stento l'impulso di fuggire — Sei... sei sempre stato così? — Vuoi dire la mutazione? Oh, sì: un regalo di mia madre. E di quei bastardi che la imbottivano di Sale Lucente nonostante che fosse incinta. Forse anche mio padre... Mamma diceva che erano in molti a farsela, a quei tempi, specie quando non aveva soldi per la dose... Immagino che fosse uno spacciatore anche lui. Se è così, gli salderò il conto, uno di questi giorni. Lara rabbrividì. — Mio Dio... L'uomo si accese una grossolana "bionda" di tabacco mutato, tossì, aspirò caparbiamente il fumo acre. — Quegli infami mi hanno fottuto la vita. Mia madre si è bruciata il cervello, con quella merda, ma a me è andata peggio. All'orfanotrofio, il dottore parlava di geni corrotti e pubertà... Non so che cazzo volesse dire... So che fino ai quattordici anni non ho avuto problemi: stavo bene, mi sentivo a posto. Poi il mio corpo è impazzito, come se all'improvviso fosse saltato su e si fosse messo a urlare. Mi hanno contato una trentina di tumori addosso, tutti maligni. Una notte sentii una discussione tra quei professori del cazzo in tuta bianca e guanti di lattice: non capivano come fossi ancora vivo, volevano farmi a pezzi per vedere come riuscissi a respirare... All'alba fuggii dall'ospedale. Da allora sopravvivo col disgusto di guardarmi la mattina allo specchio e scoprire i regali della notte... Fece una smorfia che forse voleva essere un sorriso — Sai quanti anni ho adesso, signora giornalista? Lara esitò, poi si fece forza, posò di nuovo lo sguardo sull'orrore di quel viso. — Non saprei... Trenta? Trentacinque? — rispose, tenendosi volutamente bassa. Lui scosse la testa. — Diciotto a Settembre. Ammesso di arrivarci. Ma prima di schiattare, te lo giuro, manderò all'inferno quanti più possibile di quegli infami. Vincendo il ribrezzo per la sporcizia e gli insetti, Lara si impose di sedere. La disperazione che impregnava la voce roca di lui la colpiva quasi fisicamente, facendola star male. Ma non era solo pietà... All'improvviso, Lara diede un nome a ciò che provava: vergogna. Vergogna, per aver voluto a ogni costo penetrare un segreto doloroso che non le spettava, insistendo, ostinata e vigliacca come un ladro che si incaponisca a violare un bene che non gli appartiene; vergogna, perché tutti i suoi problemi professionali, personali, umani, non erano nulla di fronte all'orrore racchiuso in un singolo secondo della vita di questo sfortunato ragazzo costretto a mascherarsi... Arrossì, deglutì, si asciugò gli occhi umidi. Non servì a molto. — Perché eri alla manifestazione? — chiese, con un filo di voce. — Tutti avrebbero dovuto esserci. — replicò senza molta convinzione — Questa città è una merda. — Perché hai lottato contro la Polizia? Lui scrollò le spalle. — Anselmo e Salvatore... Ero con loro. Ho visto la SSI che li caricava... Non potevo permettere che finissero a Poggioreale, o all'obitorio. — Anselmo e Salvatore? I due uomini in macchina? Il giustiziere annuì. — A volte mi aiutano nella caccia. Non capisco sempre quello che dicono, ma conoscono tutti e sanno chi fa girare la roba nei quartieri... A loro piace portarmi dagli spacciatori e restare a guardare lo spettacolo. — tirò un'altra boccata di fumo, poi la sua voce si abbassò — Ho chiesto loro di cercare i depositi di Sale Lucente. So che ne esistono... Quegli infami la fanno arrivare in città e l'ammassano in posti sicuri prima di venderla... Io voglio trovarli, questi depositi, e distruggerli con le mie mani, uno dopo l'altro. Finché non ti uccideranno, pensò Lara. Ma è questo ciò che vuoi, vero? La tua sola via di fuga... L'assoluta noncuranza con cui lo sconosciuto la stava mettendo a parte dei drammi più intimi della sua vita era ciò che più la turbava. Lara conosceva quel meccanismo mentale: era la facilità con cui chi ha deciso di farla finita si libera di ogni suo avere. In quell'istante lei capì che la disperazione dell'altro aveva superato ogni limite, e che solo la rabbia gli permetteva di sfuggire alla follia. Ed era tale, quella disperazione, da varcare la distanza che li separava e da coinvolgerla. Negli occhi umidi, nel groppo alla gola, nel brivido che avvertiva lungo la sua schiena, Lara all'improvviso riconobbe un sentimento che non riusciva a esprimere a parole, doloroso, incomunicabile e tuttavia autentico, quasi un'esperienza religiosa: un'irrazionale, assurda, assoluta fratellanza verso quel ragazzo sfortunato. E capì che, senza alcun dubbio, quella notte la sua vita sarebbe cambiata.

2070:La fine [CONCLUSA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora