— Ehi tu, sbirro. Vieni qui.
Moretti si alzò con cautela. I vestiti che i suoi ospiti – non riusciva ancora a considerarli alleati, al massimo complici di ribellione, anche se con motivazioni diverse dalle sue – gli avevano fornito gli calzavano un po' stretti, specie alle spalle. La clavicola e l'articolazione, compresse dalle cuciture, gli rammentavano a sprazzi la sua perdurante condizione di convalescente. In compenso, ora che aveva potuto lavarsi e disinfettarsi a dovere il viso ferito, si sentiva molto meglio. Le escoriazioni sarebbero guarite in fretta. Certo molto prima delle lacerazioni della sua coscienza.
— Dite a me?
— Vedi altri sbirri in giro? — gli fu risposto a muso duro.
Più che giusto, si disse Moretti, amaro. Chi voleva prendere in giro? Se il codice a barre tatuato alla sua caviglia era indelebile, la sua condizione di mercenario al servizio degli oppressori della città lo era anche di più.
— Cosa c'è?
— Seguici. Devi darci una mano.
Moretti non era sicuro di voler andare con i due lazzari. Li scrutò con uno sguardo obliquo. Il primo era l'uomo calvo con le orecchie a punta che aveva sentito chiamare col nome di Stefano; l'altro era un tizio tarchiato che odorava di tabacco e che si esprimeva quasi esclusivamente in dialetto. Salvatore? Era questo il suo nome? Forse... Di certo, nessuno dei due aveva mosso un dito in sua difesa, mentre quel mostro, quella belva dal corpo di ragazzo e dal viso bendato gli aveva affondato i denti in faccia. Senza dubbio lo avrebbero lasciato sbranare con la massima tranquillità, se in suo soccorso non fosse intervenuta...
— Devo aspettare la giornalista... — obiettò guardingo
— Lei e il vecchio mi hanno detto di... — Lascia perdere. — tagliò corto l'uomo calvo — Li aspetteresti a vuoto: ne avranno per parecchio.
Moretti dovette riconoscere che l'altro aveva ragione. Sia la donna che il vecchio erano rimasti più che colpiti dal contenuto della Seagate: non sarebbe stata un'impresa semplice recuperare quel tanto di lucidità e chiarezza mentale necessaria per definire una linea d'azione. Quanto a lui, quanto aveva appreso lo aveva sì stupito ma anche, in fondo, convinto dei sospetti che da tempo nutriva sul ruolo della Sezione e della sua stessa presenza in quella città. I misteri, le eterne domande che lo assillavano avevano infine avuto la loro risposta.
Nel modo peggiore. Si mosse verso i due lazzari. Attento.
— Ti sei deciso, sbirro?
— Non chiamatemi così. — protestò Moretti.
Il tizio tarchiato roteò gli occhi, sorpreso. — E comm' t'aggio 'a chiama'?
— Il mio nome è Jacques.
— Comm' vuo' tu, sbirro. — concordò pacificamente l'altro. Moretti scrollò le spalle: non aveva diritto di pretendere di più, in fondo. I due lo condussero attraverso un dedalo di lunghi corridoi male illuminati e grevi di odori umani. Percorsero un breve tratto allo scoperto, durante il quale Moretti si sorprese a scrutare il cielo terso alla ricerca di genofalchi. Ma nessuna forma scura, neppure i gabbiani, solcava l'azzurro. Tornati al coperto, discesero una breve rampa, che li portò rapidamente a un angusto sotterraneo dall'aria fumosa. Su un lungo tavolaccio, consunto agli angoli e solcato da graffi profondi come ferite, erano ammonticchiate delle armi.
— Le conosci? — chiese Stefano, brusco.
— AIM32. — rispose automaticamente Moretti
— Armamento individuale multifunzione. Fabbricazione tedesca.