CAPITOLO 15

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Le pareti della grotta vibravano ancora, risuonando sonoramente come la cassa armonica di uno strumento a corde. Lara fissò col cuore in gola le crepe irregolari, lunghe e scure come presagi, disegnate sulla volta giallastra di tufo, e la polvere sottile come ricordi che ne cadeva piano.

Rabbrividì. — Non preoccuparti, giornalista. — sussurrò Anselmo, a rassicurarla — Questo tunnel ha cinquecento anni, ha resistito a ben altro che il nostro petardo.

— Non tremavo per questo. — replicò la donna.

— Per cosa, allora? — Pensavo a ciò che abbiamo ascoltato, alla registrazione, ai dati che abbiamo visto... Il vecchio corrugò la fronte.

— Allora? Lara era terrea in volto. — Quei reparti speciali dell'ospedale, i bambini sottoposti a biopsie cerebrali, le vivisezioni... Non riesco a farmene una ragione.

— Vuoi dire che non ci credi? Lei deglutì. — Magari potessi farlo.

Anselmo annuì, comprensivo ma con gravità rancorosa. — Ne hai parlato a Masaniello? A te lui ha raccontato molto più che a chiunque altro.

Forse... Lara scosse la testa. — Ho provato. Sai cosa mi ha risposto? — Cosa? — "Storia lunga, orribile" ha detto "Non vorresti sentirla". Anselmo annuì.

— Dovevo immaginarmelo. Flebili bagliori rischiararono in lontananza il tunnel, rivelando agli occhi di Lara complesse strutture di pietra, archi, volte, stalagmiti alte come canne d'organo, macigni immensi e rampe che si perdevano nell'oscurità. I colori variavano dal giallo del tufo al verde delle deiezioni di pipistrello, dal nero dei rivoli d'acqua al bianco del gesso e delle ragnatele.

— Non avevo idea... — mormorò.

— Cosa? — Non avevo idea che la collina di Posillipo fosse un simile groviera. — ripeté la donna, sottovoce, quasi temesse di contaminare il silenzio umido di quella grande bolla nella roccia.

Anselmo annuì con aria vissuta. — Tutta Napoli è un... un "groviera", come dici tu, giornalista.

Una vera città sotterranea, il posto ideale per nascondersi. Quando ero più giovane io... Dalla sua posizione, Stefano segnalò con la torcia.

Anselmo si zittì. Lara segnò nel suo libro di ricordi di essere in debito di un ringraziamento verso l'uomo dalle orecchie a punta: l'aveva appena salvata da una delle inesauribili storie di camorra del vecchio, e ciò costituiva un merito non trascurabile. Stefano accese e spense la torcia sette volte. Lampi di luce rossastra, occhi di drago nella semioscurità di quell'antro informe e avvolto dagli echi. — Soltanto sette uomini. — mormorò Anselmo — Non dovremmo avere problemi. — Sono ben armati. — Non importa.

— Pensi che la frana possa tenere fuori gli altri a lungo?

— Credo di sì.

— Quanto? Anselmo scosse la testa. — Non so. Questo potrebbe dircelo quel tuo... Moretti.

— Peccato che non sia qui. Il vecchio carezzò la sua Beretta. — Non importa: il tempo ci basterà, in un modo o nell'altro. Avanti... Procediamo come stabilito.

— Movimento. — segnalò il sergente, leggendo il suo strumento alla fioca luce del visore del casco.

— Dove?

— Cinquanta metri. Nord ovest.

— Ho rilevamento anch'io, signore. — echeggiò un secondo soldato.

— Anch'io. — approvò un terzo.

— Spegnete le torce e passate all'infrarosso! — ringhiò Sarrese

2070:La fine [CONCLUSA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora