3 - Sheraton Boston Hotel

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Prenotai un colloquio con lo Sheraton Boston Hotel tramite un annuncio che apparve sulla bacheca di Harvard.

Era una meraviglia. Dalle foto del suo sito internet notai un edificio in legno, simile ad una baita, ma quattro volte più grande. Gli interni erano tutti ben dipinti e accessoriati con quadri antichi e poltrone dalla tappezzeria verde a ghirigori oro. Sul pavimento c'erano grandi tappeti rossi e gialli. Le scale, che portavano al piano di sopra, erano anch'esse in legno e riuscivo già a sentire il loro cigolio.

Kirkland Street era l'indirizzo dell'hotel.

Lentamente, mi feci spazio tra la gente, scorgendo una grande struttura da lontano. Mi ci avvicinai, cercando di scoprire sempre qualcosa in più. Appuntai per bene il mio giubotto beige, tolsi il cappello nero che portavo sulla testa, e mi feci coraggio.

Era lo proprio lo Sheraton quello che vedevo da lontano.

Varcai la soglia della porta e misi i miei piedi sul grande tappeto dell'ingresso. Mi accorsi di essere sola e pian piano mi avvicinai alla reception in marmo. Suonai il piccolo campanello color oro poggiato sul ripiano e subito, da una porta, apparve un signore sulla cinquantina con una camicia bianca ed un gilet verde scuro, adornato con una targhetta all'altezza del cuore. "Mr. Lewis", recitava.

«Salve, come posso aiutarla?» mi domandó con una voce signorile, accennando un sorriso.
«Salve, sono Carmen Aguero. Ho un colloquio con il signor Williams tra qualche minuto» risposi altrettanto gentilmente.

Il signore mi scrutó per un secondo, rimanendo sempre come la sto, poi proferì:
«certo signorina, mi segua. La accompagno dal direttore».

Dopo pochi passi all'interno di un corridoio impeccabilmente arredato con quadri, orologi e fotografie che rimandavano a fine anni trenta, arrivammo davanti ad una porta dove v'era inciso nuovamente "Christian Williams", con un font molto elegante e preciso.

Il signor Lewis bussó dolcemente con i suoi guanti bianchi alle mani.
Dalla stanza arrivò una voce.
«Prego Edward. Entra pure».

Il signor Lewis aprí la porta sempre con la stessa delicatezza e si posizionò al mio fianco.
Subito, davanti ai miei occhi, comparve un uomo con la pelle scura e i capelli neri, con indosso una camicia bianca che si intravedeva a malapena dal maglione verde bottiglia che la copriva.

Era comodamente seduto su una sedia dietro ad una scrivania di legno, piena di scartoffie.
Si intravedeva, da una grande finestra bianca, la strada che avevo fatto per arrivare lì.

«Signor Williams, lei è la signorina Aguero. Ha un colloquio con lei. Posso farla accomodare?» chiese garbatamente il signor Lewis.
Mi guardò attentamente prima di rispondere.
«Oh, si.. entri pure» e, dopo essere stato in silenzio per pochissimo, continuò:
«grazie Edward, puoi andare». Così il signor Lewis ci lasciò soli, chiudendo la porta alle mie spalle.

«Prego, si segga signorina».
Timidamente mi avvicinai alla scrivania e mi accomodai. Con una voce flebile e leggermente agitata porsi i miei saluti.

«Sono Christian Williams, il direttore dello Sheraton» affermò. Lo guardai fisso negli occhi blu che non avevo ancora notato.
«Mi parli di lei» mi chiese con tono pacato,  continuando a scrutarmi attentamente da tutte le parti.
«Com già sa, il mio nome è Carmen. Mi sono trasferita da poco qui a Boston».
Il signor Williams m'interruppe subito.
«Ci avrei scommesso, sa? La sua carnagione dice molto. Scommetto che lei sia originaria di qualche splendida isola caraibica».
«Non si sbaglia» affermai «sono cubana, qui frequento la facoltà di medicina presso Harvard».
«Ah, studia ad Harvard? Anche io sono stato lì, sa? È un'ottima università.. d'altronde non sono solo io a dirlo» mi disse, accennando un sorrisetto poco marcato e aggiustandosi il colletto della camicia.

Continuò a chiedermi informazioni su di me. Tenevo ancora nella borsa il mio curriculum, impaziente di tirarlo fuori. Ma tra le sue domande neanche una toccò la sfera professionale.

Ad un tratto il signor Williams si alzò, avvicinandosi al grande mappamondo all'angolo della stanza. Iniziò a girarlo con una sola mano, l'altra la teneva nella tasca del suo pantalone nero. Non distogliendo lo sguardo dall'enorme globo, affermò:
«Bene signorina Carmen, comincia stasera» a questo punto fermò il mappamondo, alzò lo sguardo e, fissandomi, proseguì:
«Le va?»

Risposi di sì, seppur spiazzata dalla velocità delle sue azioni.
«Perfetto, a stasera. La accompagno all'uscita.» mi disse infine, facendomi strada.

Potevo, finalmente, tornare a respirare.

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