11 - Ventotto

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Aspettai il signor Williams sulle scale dello Sheraton. Dopo pochi secondi arrivò davanti a me con la sua Range Rover nera.
«Salga» disse abbassando il finestrino. Io eseguii.
La sua auto profumava di pelle, quella che ricopriva i sediolini. Era grande e spaziosa. Osservai attentamente ogni suo singolo movimento: quando metteva la mano sul volante nero sul quale luccica il suo orologio color argento, quando cambiava le marce e come, attento, guardava la strada. Era proprio un bell'uomo.

«Mi dispiace che si sia fatta quest'ora» sussurrai.
Lui distolse lo sguardo dal percorso e lo portò verso di me.
«Non deve. Ho passato una bella serata» confessò. Mi scappò un ingenuo sorriso.

«Signorina Carmen» sentì. Davanti a me vedevo il buio.
«Carmen, si svegli».
Era Christian. Mi ero addormentata durante il tragitto. Come poteva essere successo? Di fretta aprii gli occhi e li strofinai.
«Forza, vada a dormire. È molto stanca» mi disse con una voce dolce e flebile.
«Buonanotte signore» faticai a dire, uscendo dall'auto.
«Buonanotte Carmen».
Un sorriso rese il suo volto ancora più bello.
Restai per qualche minuto all'aperto, nel pieno di una bufera di vento, guardando il mio capo che, con la sua auto, sfrecciava via.

«Stai dicendo che non ti ha guardata neanche?». La voce squillante di Susan rimbombò in tutto il campus.
«Potresti parlare utilizzando un tono adatto a chi sente perfettamente?» sbraitai Cristina dal suo letto.
«Perchè avrebbe dovuto guardarmi?» confessai,  facendo attenzione alla mia voce per non dare fastidio «anzi no. Non rispondere. Devo andare» pronunciai, uscendo dalla porta.
Susan mi seguì
«Carmen Aguero, mi stai dicendo che quando guardi il signor Christian Williams il cuore non comincia a produrre seicento battiti al secondo?» mi chiese «stai dicendo che il tuo stomaco non sale in gola?» continuò «ma soprattutto, mi stai dicendo che il tuo corpo non inizia a surriscaldarsi chiedendo umilmente suoi baci per ritornare ad una temperatura normale?». Mi girai tirandole un'occhiataccia.
«Il mio corpo gode di una temperatura perfetta. Fortunatamente, non ho bisogno di controllarla ogni volta che il mio capo si avvicina a me» le risposi «fine della storia».
«Non finisce qui, Carmen, tant'è vero che mi chiamo Susanne Smith» urlò lei, ormai a qualche metro da me.

Il mio esame stava per iniziare. L'aria era molto tesa. Insieme a me c'erano circa quindici ragazzi seduti in modo composto, intenti a ripassare e a sfogliare pagine di libroni enormi.

«Carmen Auguero» pronunciò il mio professore, spalancando una porta di legno.
«Eccomi» risposi all'appello, seguendolo.
Entrai nella stanza dell'orrore, così definita da tutti. Anche se era molto bella. Aveva le pareti verdi, arricchite da quadri contenenti fotografie antiche di Harvard. Che meraviglia.
«Bene signorina, iniziamo» mi disse il professore.

«Hai preso ventotto al primo esame? Carmen Aguero, sei umana?». Le parole di Cristina riecheggiavano nelle mie orecchie.
«Si, lo sono» le risposi sorridendo.
«Ah si? Vediamo! Tagliati e fatti uscire del sangue» mi ordinò
«Si, lo farò...» continuai a ridere, uscendo dalla mia stanza.

Quella sera avevo il turno allo Sheraton. Fortunatamente, il giorno successivo non avevo lezione, per cui potevo riposare.
«Com'è andato l'esame?» mi chiese il signor Lewis.
Che gentile...
«Davvero bene! Ho preso ventotto» affermai soddisfatta.
«Wow! Penso che dovremmo festeggiare» mi consigliò. Beh, non era una cattiva idea.
«Perché no?» dissi sorridendo «mi venga a chiamare quando vuole» conclusi.

Erano le ventitrè quando il telefono dello Sheraton squillò. Risposi all'istante.
«Sheraton Boston Hotel, come posso aiutarla?». Dall'altro lato della cornetta una voce femminile disse «ho bisogno di parlare con Christian Williams. Me lo passi». Il "buonasera" era un optional?

Corsi nella stanza del signor Williams per avvisarlo della telefonata.
«Dica che non voglio sentire nessuno» mi ordinò lui.
«Signore, scusi se mi intrometto, ma la signora è stata molto esigente. Forse è importante» esitai a dire. Christian mi fulminò con lo sguardo.
«Ho detto che non voglio sentirla» mi urlò.
I suoi occhi sputavano fuoco. La sua mascella iniziò ad irrigidirsi, come tutti i lineamenti del suo volto. Senza neanche fiatare, chiusi la porta.

Ritornai "alla base" e comunicai alla signora che, purtroppo, il signor Williams era impegnato.
«Mi faccia richiamare» mi disse.

Dopo aver riagganciato, il signor Lewis mi portò in cucina. Lì, trovai una bottiglia di spumante davvero elegante.
«Franciacorta del '98» esclamò mostrandomela.
«Forza, la stappi».
«Wow! Che onore» dissi provando ad aprire la bottiglia.
Una volta fatto, entrambi ci lasciammo scappare dei sorrisi. Il signor Lewis prese due calici da uno scaffale e versò lo spumante all'interno.
«Cin cin. Al suo ventotto!» esclamò poi.

«C'è una festa qui?». Una voce, dietro di noi, pronunciò queste parole.
«Oh.. signore. È stata una mia idea, mi perdoni» disse Edward, mortificato.
«Non è vero. È stata mia l'idea. Volevo festeggiare il voto del mio esame. Mi scusi, sono desolata» confessai, prendendo la parola.
Il signor Lewis mi guardò scuotendo la testa.
«Edward, ti cercavo. La signora Velma della 170 ha bisogno di un cuscino. Corri da lei» ordinò Christian, cambiando immediatamente discorso.
«Ci vado subito, signore».
Così, ci lasciò da soli.

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