20 - Fulmine a ciel sereno

51 2 0
                                    

Incontrai Peter per i corridoi e restammo a chiacchierare su quanto accaduto ultimamente ad Harvard. C'era stato una specie di sciopero del quale, personalmente, non avevo capito il motivo. Ci sedemmo su delle panchine antistanti al dipartimento di medicina, osservando la strada davanti ai nostri occhi. Il sole picchiava e il termometro segnava i venti gradi. L'estate era prossima e con lei anche il mio ultimo esame.

«Passo da te oggi pomeriggio, allora» salutai Peter, entrando in aula. Avevano deciso di incontrarci per guardare un film dopo la stressante settimana passata a studiare.

Entrambi stavamo preparando esami importanti e, fortunatamente, il tutto si sarebbe concluso entro poco. Mi preparai ad affrontare la lezione di fisica e a condividere l'aria con altri cinquanta individui stressati come me per la fine dell'anno.

Mandai un messaggio a Peter, per avvertirlo del mio imminente arrivo. Persi un po' di tempo nel trovare la sua camera, appartenente ad un altro alloggio per studenti.

«Accomodati nella mia reggia» mi invitò, appena aprì la porta della sua stanza.
Sui muri c'erano dei poster raffiguranti Jhon Travolta nei tempi d'oro di Grease e de La febbre del sabato sera. Adoravo quell'attore. Nonostante fosse invecchiato molto, sapeva essere sempre attraente ed affascinante.

Nella stanza c'era un grosso letto, più grande di quelli che normalmente si trovavano negli alloggi degli studenti.
«Hai una camera singola?» gli chiesi, notando l'ordine intorno a me e, appunto, un solo letto.
«Si» rispose di netto, nervoso e tremolante.
«Cos'hai?» domandai, notando come, freneticamente, toccava la sua massa di capelli.
«Niente. Siediti pure» ordinò, prendendo tra le mani il telecomando. Iniziò a smanettare alla tv, inserendo un dvd nel videoregistratore.
«Pretty Woman, ti va?» chiese, mostrandomi la foto di Richard Gere e Julia Roberts negli anni novanta stampata sul contenitore del dvd.
Feci di sì con la testa. Insomma, a chi non piace Pretty Woman?

Passammo due ore in totale balia di quel film, che raccontava la romantica storia di Edward e Vivian, una giovane prostituta che, grazie all'amore del miliardario, riesce a cambiare vita.

«Smettila di piangere!» urlò Peter porgendomi un fazzoletto preso dalla tasca dei suoi jeans.
«Ti ho sentito singhiozzare durante tutto il film e adesso mi dici di non piangere?» lo rimproverai, dandogli un pugno sulla spalla.
«Esatto Carmen, singhiozzare» ripetè «non allagare una camera». Lo guardai male, anzi malissimo, con gli occhi gonfi e rossi.
«Non sei credibile con questo sguardo da cagnolino» replicò alla mia occhiataccia. Lo immaginavo. Cenammo insieme, alla mensa del suo dormitorio. Lui ordinò del pollo con un insalata super dietetica e salutare, mentre io lo guardavo da lontano, mangiando un panino con hamburger e patatine. Ritornai a quando nell'offrigli le patatine disse: «fanno venire i brufoli».

Peter teneva molto alla sua linea, slanciata ed atletica. Si allenava tre volte alla settimana e mangiava solo cose "healthy", così come le definiva lui. In più, aveva la fortuna di non mettere un grammo nel caso in cui mangiasse un intero fast food.

Prima di mezzanotte ritornai in camera mia, catapultandomi sul mio letto dal materasso morbido e dalle lenzuola lilla. Adoravo quel piccolo angolo di paradiso. Era ridotto, ma confortevole. Spesso, prima di dormire, leggevo un libro e poi, qualche attimo prima di chiudere gli occhi, controllavo il cellulare.

Christian: "Mi manchi. Ti va di vederci?"
Christian: "Hei"
Christian: "Dove sei?"
Christian: "Carmen..."

Avevo totalmente dimenticato di avvisarlo, correndo il rischio di farlo preoccupare. Lo chiamai, ma non rispose. Lo rifeci, ma nulla. Erano le due di notte. Capii.

La mattina successiva il mio primo pensiero fu quello di sentire Christian. Mi recai direttamente allo Sheraton, dove l'avrei trovato sicuramente. Come sempre, salutai Edward e mi feci spazio tra i clienti che affollavano i corridoi. Spalancai la porta del suo ufficio, trovandolo immerso in tanti fogli di carta bianchi.

«Che fine hai fatto?» mi chiese, alzando lo sguardo dalla scrivania.
«Scusami, ho dimenticato di avvisarti». Entrai nella stanza, sedendomi su una sedia di legno, affannando per la corsa che avevo appena fatto.
«Mi hai fatto preoccupare, Carmen» mi rimproverò. I suoi occhi erano velati di una patina d'ira mista a rancore.
«Ti ho già detto che mi dispiace. Non farne un dramma. Come vedi, sono viva e vegeta» cercai di spiegargli con tutta la calma del mondo.
Si infurió e i muscoli sotto la sua camicia iniziarono ad irrigidirsi.
«Con chi sei stata?» mi chiese, avvicinandosi a me per guardami meglio.
«Con un amico. Abbiamo visto un film e poi abbiamo cenato insieme». Sapevo che la cosa lo avrebbe fatto arrabbiare ancora di più.
«E lo dici con tutta questa tranquillità?» ribatté, guardandomi con un' ostilità tale da farmi sentire in soggezione.
«Dovrei mentirti?» risposi «Sai, non è attratto dal sesso femminile, non vedo di cosa preoccuparsi».
«Non è questo il punto, Carmen» continuò a dire «per un intero pomeriggio ti sei dimenticato della mia esistenza» mi spiegò, abbassando il tono della voce e tornandosi a sedere.
«Fai sul serio?» gli chiesi, colpita dalla sua affermazione.
«Vorresti negarlo?».

In me qualcosa continuava a farmi mantenere la calma è la tranquillità.
«Mi sono scusata, ho detto che mi dispiace. Cos'altro dovrei fare?» domandai, spostandomi una ciocca di capelli dall'altro lato della nuca.
«Nulla. Per favore, esci» replicò, non guardandomi neanche in faccia.
Restai impietrita dal suo atteggiamento scontroso ed esagerato andando via e sbattendo la porta alle mie spalle senza nemmeno salutare.

Tornai di corsa ad Harvard, chiamando Peter per vederlo. Avevo bisogno di sfogare tutto quello che avevo addosso. Con lui mi ci trovavo bene, a mio agio. E pensavo che per lui sarebbe stato lo stesso. Ci vedemmo dopo qualche ora e gli raccontai tutto quello che era successo. Restò di stucco anche lui, mostrandomi tutto il suo conforto, abbracciandomi come se mi conoscesse da una vita intera. Mi abbandonai alla presa delle sue braccia, forte ma allo stesso tempo leggera. In lui avevo trovato un amico, un fratello, anche un padre verte volte.

«Cosa direi fare, secondo te?» gli chiesi. Mi rivolse uno sguardo triste, come se il dolore e la rabbia che mi affliggevano avessero toccato anche lui.
«Aspetta che si faccia vivo lui, Carmen. Smettila di essere sempre ti quella sbagliata, smettila di sentirti sempre in dovere. In tutta questa storia la persona che ha torto e lui e in quanto tale è obbligato a chiederti scusa» affermò con tono deciso «se vuole riaverti, s'intende».

Lo ringraziai per quelle parole così belle, dolci e tanto, tanto vere. Capii di essere stata semplicemente me stessa. Carmen. Non avrei dovuto inchinarmi ai suoi piedi chiedendogli scusa per un pomeriggio passato con un amico. Non era quello che volevo e non era la cosa giusta da fare.

Per cui aspettai. Aspettai un suo messaggio tutta la notte, una sua chiamata. Un suo segnale.

Finché il mattino successivo mi alzai, con gli occhi gonfi per la notte in bianco, ritornando la stessa persona che ventiquattr'ore prima viveva la sua vita perfetta.

"Non farti abbattere, Carmen. Abbattili", mi ripetei in mente.

E affrontai la giornata.

Sheraton Boston HotelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora