Promesso

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Sapevo che urlare quella parola era proibito, circolavano ovunque leggende che narravano di come chiunque pronunciasse la parola "Paradiso" venisse punito divinamente. Nonostante ciò, avevo elaborato una mia teoria secondo il quale quella parola fosse proprio l'ultimo ingrediente del cerchio. Ero quasi sicura che non sarei mai più riuscita a riaprire gli occhi dopo aver fatto quella pazzia, eppure ci riuscii.
Avevo lo sguardo puntato verso l'alto, dove si trovava il bianco più assoluto. Attorno a me non vi era più nulla, si stagliava solo un infinito bianco. Lo spazio era indefinito, sembrava non ci fosse più un sopra ed un sotto, tutto sembrava irreale. Non seppi come, ma ad un certo punto mi trovai in un fosso senza neanche accorgermene, era tutto bianco, non avevo una percezione della profondità ma improvvisamente ed inspiegabilmente me ne resi conto. Attorno a me comparvero delle creature terrificanti. Avevano fattezze umane ma erano in un certo senso "sbagliati". Erano totalmente deformati: Testa, braccia, bacino, torace, gambe, piedi e mani sembravano essere stati buttati casualmente in un intruglio di carne, ossa, denti e capelli.
Urlai terrorizzata, confusa, totalmente nel panico. Tutto taceva, le creature sembravano gridare anche più forte di me ma non riuscivo a sentirle. Si avvicinavano alcuni strisciando, altri facendo peso su mani e piedi che sporgevano. Realizzai in poco tempo che loro avevano fatto il mio stesso errore. Mi era stato detto, tempo fa, che spesso chi diceva quella maledetta parola spariva per un po' e tornava deformato ed incapace di ragionare o non tornava proprio. Loro dovevano essere gli altri che avevano fatto come me, ed ora mi volevano rendere proprio come loro.
Non c'era scampo, ero totalmente circondata da quegli esseri disumani.
Si avvicinarono sempre di più, con la loro pelle devastata e le ossa sporgenti.
Provai ad utilizzare la maledizione, ma non sortì alcun effetto.
Fu questione di un attimo, una forte luce invase l'ambiente e mi accecò per un attimo.
Quando riacquistai la vista, le creature erano sparite e di fronte a me, in piedi, c'era qualcuno dalle fattezze di un angelo.
Il mio cuore perse un battito, per un po' non riuscii nemmeno a respirare.
« Che ci fai tu qui? Non dovresti esserci... »
Affermò l'angelo voltandosi leggermente.
Le mie speranze furono spente subito, la voce ed il viso non corrispondevano alla persona che stavo cercando. Chi era, allora?
Si voltò verso di me e mi porse la mano per aiutare ad alzarmi.
Lo osservai un po'.
« Chi sei? »
Domandai diffidente, dopo quell'orribile esperienza con delle creature mostruose non riuscivo a fidarmi di uno sconosciuto.
L'uomo di fronte a me sorrise leggermente.
« Quello che ti ha appena salvata. »

Feci un sorrisetto ironico per poi tornare seria, avevo appena rischiato la mia vita... Non avevo molta voglia di giocare.
« Dove mi trovo? »
Passai ad un'altra domanda dato che alla prima non sembrava aver molta voglia di rispondere.
L'altro mi osservò per un po', in silenzio.
« Non cercavi di accedere al Paradiso? Eccoti qua. »
Affermò dopo poco tempo. Lo osservai confusa.

Alla faccia del Paradiso.

Tutto bianco e vuoto con delle creature mostruose che cercano di ucciderti appena ti vedono. Grande Dante ci hai azzeccato proprio.

« Mi stai prendendo in giro? »
L'uomo scosse la testa, per rispondere negativamente. Sospirai confusa, ero al settimo cielo per essere finalmente riuscita ad accedere al Paradiso; ma non riuscivo a fidarmi ciecamente e per di più ero abbastanza delusa.
« Be', non sei esattamente all'interno del Paradiso, ma in una specie di atrio. I dannati non possono entrare nel vero interno, be' in realtà nemmeno gli angeli minori, quelli custodi come me e quelli caduti. »
Spiegò cercando di dirlo il più semplicemente possibile.
Cercai di capire se mi stesse mentendo o meno, ma non sembrava poi una così brutta persona. Anzi addirittura sembrava gentile.
« "Come me"? Anche tu sei un angelo custode? Quindi potresti aiutarmi a trovare Jack?! Ma poi come sai che sono una dannata? »
Domandai sempre più confusa. Lo avevo riempito di domande, me ne rendo conto, ma non vedevo l'ora di ritrovare la persona che stavo cercando.
L'altro mi osservò perplesso.
« "Anche"? Conosci un altro angelo custode? »
Assottigliai lo sguardo.
« Non rispondere ad una domanda con una domanda. »
L'uomo sospirò.
« E va bene, so che sei una dannata perché... »
Iniziò vago, senza un preciso tono.
« Perché? »
Insistetti impaziente.
« Non vorrei essere banale, ma sono tuo padre. »
Rispose spostando lo sguardo da un'altra parte, sperando in qualche modo che non la prendessi troppo male. Non funzionò ovviamente. Il mio cuore perse nuovamente un battito. Il nome Michela Alibianche divenne come un macigno su di me. Quelle parole arrivarono come un'esplosione: veloci, spietate, potenti. Mi spiazzarono letteralmente. Mia madre mi aveva parlato poco e niente di lui, mi aveva detto che ad un certo punto se n'era andato e che non era più tornato, lasciandoci completamente sole.
Non riuscii a fare nient'altro che piangere e come una scema allo stesso tempo dargli uno schiaffo.
Mi aveva abbandonata dopotutto. Non solo me. Aveva abbandonato anche mia madre.
Lui non fiatò, incassò il colpo probabilmente conscio del fatto di aver sbagliato, di essere in torto.
« Dove diavolo sei stato per tutto questo tempo?! »
Urlai in preda all'ira, lasciando uscire le prime parole che si erano formate nella mia mente.
Lui mi guardò in un modo che in un certo senso mi spezzò il cuore. Era pieno di malinconia e tristezza, tanto da far piangere chiunque.
« Ed io che ho sperato fino alla fine come uno stupido che la prima cosa che avresti fatto sarebbe stata abbracciarmi... »
Confessò tristemente con lo sguardo basso. Iniziai a pensare che ci fosse dell'altro, che in realtà non fosse tutta colpa sua. Le lacrime iniziarono a bagnare i miei occhi. Lui mi aveva abbandonata, però... Era pur sempre mio padre! Era colui che mi aveva creata insieme a mia madre, era una di quelle persone che non possono essere sostituite. Era colui che cercavo senza saperlo quando mi sentivo triste. Era quella figura di cui tutti mi parlavano ma che io non riuscivo mai a comprendere.
Era lì. Era davanti ai miei occhi e lo avevo appena ferito.
La prima cosa che avevo fatto era stata picchiarlo.
Non riuscii a trattenere le lacrime, scesero d'istinto, come se volessero scappare anche loro da quell'immensa tristezza. Avrei voluto ricominciare da capo, riavvolgere il nastro e riprovare, ma non era così che funzionava la vita.
Mio padre si avvicinò lentamente e mi strinse in uno dei più caldi abbracci che io avessi mai sentito.
« Vorrà dire che rimedierò io. »
Affermò dolcemente, sciogliendo quel gelo che si era andato a creare fra di noi.
Le mie lacrime sembrarono iniziare a smettere, come fa la pioggia quando iniziano a spuntare i primi raggi di sole. Capii di cosa parlava la gente quando diceva che i genitori erano capaci di fare cose che solo loro riuscivano a fare.
Rimase fermo per un po', poi si staccò e mi fissò un attimo.
« Potrei conoscere questo Jack di cui hai parlato prima. »
Affermò seriamente. Spalancai gli occhi incredula.
L'uomo cambiò subito espressione.
« Però... Quello che scoprirai potrebbe non piacerti... »
Disse visibilmente preoccupato, evidentemente il mio non era un presentimento infondato.
Strinsi i pugni. Almeno era vivo, sapevo che avrei potuto rivederlo e questo mi bastava.
Puntai il mio sguardo in quello di mio padre.
« Per favore portami da lui. »

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 08, 2020 ⏰

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