Introduzione
Ammettiamolo, chi non si è mai chiesto se è esistito o esiste tutt'ora il Paese delle Meraviglie? Sì, insomma, domandarsi se quello che vediamo attorno a noi non sia relazionato con quello che abbiamo letto nel romanzo di Carrol.
Chiedersi se una piccola bambina dai capelli biondi sia quella Alice.
Se una mezza luna non sia un ghigno senza un gatto, in particolare quello dello Stregatto.
Se un coniglio bianco sia quello della celebre storia, privato però del panciotto e dell'immancabile orologio.
Se una strana e piccola bottiglia non ti farà rimpicciolire e un dolcetto ingrandire.
Se una farfalla blu non sia in realtà il Brucaliffo trasformato.
Già, si potrebbero fare paragoni all'infinito.
Chissà se sapremo mai se questo mondo meraviglioso e incantato esiste davvero.
Dovremmo chiederlo a quel pazzo di uno scrittore di Charles Lutwidge Dogson, che ha fatto volare con la fantasia milioni di lettori.
Ma purtroppo tutto ciò non è possibile.
Già, chissà quante altre storie ci avrebbe raccontato quel matto, facendoci sognare ad occhi aperti.
In fondo, una volta un saggio disse che tutti i migliori sono matti.
Insomma, non sapremo mai se quel meraviglioso mondo sottoterra sia reale, se i fatti narrati siano veri, se potremmo mai andare in quell'incantevole luogo che è il Paese delle Meraviglie.
Ma, alla fine, l'importante è crederci.
Per questo dedico questo libro a tutti coloro che credono.
Per questo voglio raccontarvi questa storia:
"C'era una volta una bambina.
Una bambina come tante altre.
Una bambina che si perse nel Paese delle Meraviglie.
Conoscete già la storia, vero?
Impossibile.
Perché?
Beh perché questa è una storia che non ha ancora trovato il suo epilogo...
Sorpresi?
Tranquilli. Se avete un po' di pazienza ve la racconto.
Ma prima una domanda...
Siete pronti a dimenticare?
Quella bambima si chiama...Alice.
Quante cose di Sottomondo ha dimenticato? Quante persone? Quanta moltezza?
Non preoccupartevi, sono pronta a narrare.
Dov'eravamo? Ah, sì...
C'era una volta...
Godetevi questa storia e buon viaggio a vederci!"
Prologo#Come riprese il ticchettio
Le sei.
Erano le sei.
Le sei di un pomeriggio aranciato.
Le eterne, perenni, interminabili sei di un pomeriggio aranciato che non si stanca mai.
Rimisi in tasca il mio orologio da taschino: il regalo dell'ultima festa che avevo fatto con mio padre.
Avevo preso la brutta abitudine di controllarlo spesso. Troppo spesso.
Perché?
Storsi il naso a quei pensieri: sapevo già la risposta. Era per lei. Qualcosa mi diceva che quando sarebbero state le sei e un minuto lei sarebbe tornata.
Ma non poteva tornare. Le avevo garantito una vita felice. Basta.
Intendevo trascorrere tutto il giorno su quell'albero a non fare nulla. Basta correre di qua e di là per quel paese del cavolo. Ma purtroppo una giornata diversa mi attendeva.
-È tardi! È tardi!- sentii urlare da non molto lontano.
-Addio tranquillità...- mormorai.
Aprii un occhio e lo diressi ai piedi dell'albero. Il mio compagno tutto trafelato stava respirando affannosamente.
-È...è successa una cosa...insomma hai sentito il coniglio, no?- cominciò a farfugliare.
-Amico, tre cose: prima cosa, stavo cercando di dormire, nel caso non lo avessi notato; seconda, sì, ho sentito il coniglio, quello si ostina a convincerci che è tutto normale almeno tre volte; e terza, mio caro, le cose che succedono qui non sono affar nostro, mi sembrava di avertelo già spiegato più di mille volte.
Misi le braccia incrociate sopra la faccia e da uno spiraglio lo vidi diventare rosso fino alle orecchie per la rabbia. Trattenni a stento una risata.
-Ma è una cosa seria!- piagnucolò.
-E va bene! Sentiamo questa "cosa seria"- dissi disegnando delle virgolette immaginarie in aria quando pronunciai cosa seria.
Il suo viso diventò, se possibile, più rosso. Lo trattai apposta così perché sapevo che in quel modo si sarebbe arrabbiato e avrebbe buttato fuori tutto più infretta evitando di farmi perdere tempo (se di tempo si può parlare in un posto dove l'orologio non va avanti).
Infatti fu così, ma sarebbe stato meglio che lo avesse detto con più calma, tra un farfuglio e l'altro.
-Alice è tornata.
Il mio cuore perse un battito. O anche due.
No, non poteva essere. Alice non poteva essere tornata.
Mi misi di scatto a sedere sul ramo dell'albero come svegliato da un incubo. Nel farlo feci cadere il gatto che stava accoccolato sulle mie gambe. Appena toccò terra si dissolse in una nuvola di fumo blu per poi far apparire la sua testolina indignata vicino alla mia.
Io non lo notai nemmeno e lo scacciai con una manata che lo fece di nuovo dissolvere in una massa di fumo turchino.
Scesi dal ramo.
Luke mi guardava indignato, le braccia incrociate sul petto.
Lo guardai e lui lesse nei miei occhi. Cominciammo a correre, scappare nella foresta di Tulgey.
È terribile scappare nel Paese delle Meraviglie. Ancora più terribile e difficile di farlo negli altri posti. Ma ormai io e Luke eravamo esperti.
Mentre correvamo ancora, affondai con aria febbrile la mano nella tasca dei pantaloni cercando l'orologio. Nella Tascasenzafondo trovai mille oggetti prima del mio fidato orologio, regalo del mio ultimo noncompleanno. Un pezzetto di Tortainsù (sempre utile), una tazzina rotta del Cappellaio (quella che aveva usato Alice), una boccetta (Mezzastazza, naturalmente)...l'orologio!
Lo afferrai per la catenina e lo tirai fuori. Un sonoro tic tac raggiunse le mie orecchie ancora prima di averlo tra le mani.
Le sei.
Le sei e tre minuti.
Erano le sei e tre minuti del giorno in cui Alice, l'eroina che avrebbe salvato Sottomondo dalla tirannica Regina Rossa, colei che a sua volta era stata salvata da me, l'amore della mia vita tornò da me.
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Alice in Wonderland, return to Underworld
FanfictionC'era una volta una bambina. Una bambina come tante altre. Una bambina che si perse nel Paese delle Meraviglie. Conoscete già la storia, vero? Impossibile. Perché? Beh perché questa è una storia che non ha ancora trovato il suo epilogo... Sorpresi...