Capitolo 2

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«Ben svegliata, ti ricordi qualcosa di ieri sera?» lo zio mi aveva portato la colazione a letto.
«No...» provo a mettermi seduta a fatica, sento la testa girare e pulsare, lo zio mi aiuta a sedermi.
«Tu oggi non vai a scuola.» è serio.
«Lasciami andare, per favore, ci saranno Scott e Stiles con me, per favore...»  fa un mezzo sorriso consapevole che con me non si discute.
«Scott e Stiles ti aspettano fuori.» gli butto le braccia al collo e gli lascio un bacio sulla guancia. Esce dalla camera, mi vesto ed esco. Sono costretta ad appogiarmi alle pareti perché la testa continua a girarmi.

«Eccomi» feci un po' fatica a salire sulla jeep, tra i giramenti di testa, la mia altezza che non raggiunge a fatica il metro e sessanta e la mia poca agilità.
«Ma ti sei guardata allo specchio?» il solito Stiles che si beccò un pugno sulla spalla da Scott.
«No, perché? Che ho di male?»
«Ti sei vestita come la figlia della morte, hai delle occhiaie come se non dormissi da settimane, i tuoi capelli sono un cespuglio e-» Stiles stava descrivendo il mio aspetto di tutti i giorni.
«Hai finito? Non mi è mai importato il mio aspetto fisico e i colori sono troppo...-»
«Colorati?» propose Scott ed io annuì ridendo.
«Non sei cambiata per niente!» rise Stiles.

Nel frattempo eravamo arrivati e dopo che Stiles ebbe parcheggiato entrammo a scuola.
«Il coach mi farà entrare in squadra?» tentai.
«Sai giocare a lacrosse?» chiese Stiles.
«Softball e baseball, ma imparo in fretta.»
«Dopo la sceneggiata che gli hai fatto, le tue probabilità già basse credo siano molto vicine allo 0.» spiegò Scott.
«Quale sceneggiata?»
«Ti dice qualcosa il libro "Orgoglio e pregiudizio?"» chiese Stiles.
«Quello è il coach?»
«Sì, in più siamo a metà anno, non ti farà mai entrare in squadra.» Stiles indicò il campo dove il coach stava sistemando del materiale.
«Un motivo in più per entrare.»
«Non ti arrendi mai?» rise Stiles ed io con lui.
«Testarda fino al midollo» aggiunse Scott.
«Ci vediamo a pranzo?» chiese Scott dopo una leggera spallata.
«Non ci contare.» rise ed entrarono in una classe.

Presi dalla borsa l'orario che mi è stato dato ieri dalla signora Martin, ma mi dovetti appoggiare al muro perché la testa aveva ripreso a girare. Dovevo, però, andare in classe quindi camminai appoggiata al muro.
«Tutto bene?» una voce maschile, calda e roca mi toccò la spalla
«Sì, non si vede.» mi staccai dal muro e mi girai, ma dovetti subito riappogiarmici.
«Ti accompagno in infermeria.» continua il ragazzo.
«No, no, vado in classe.»
«Come vuoi, scusa se cercavo di aiutarti.» sento che si allontana.
Provo a fare un passo, ma ad ogni mio movimento la testa gira di più.
«Hey, scusa, mi potresti...» mi appoggio al muro e scivolo a terra. Lo sento ridacchiare.
«Vieni.» mi prende da sotto le ascelle e poi mi fa mettere il braccio sulle sue spalle anche faccio fatica dato che è molto alto.
«Non mi hai ancora detto il tuo nome.» dice ad un certo punto.
«Nemmeno io so il tuo.» dico con gli occhi chiusi appoggiata al muro.
«Ieri sei stata la mia compagna di banco, dovresti sapere il mio nome.» ridacchia.
«Isaac? Ma non esiste un'infermiera o un infermiere o qualcuno qui?» lo sento ridere di nuovo.
«No, ognuno deve fare da solo, ad inizio anno ci hanno fatto un corso.» la sua voce è piacevole e rilassante.
Mi aiuta a stendermi su un lettino e mi fa tenere le gambe alte con dei cuscini.
«Il tuo nome?»
«Victoria»
«Bene, Vicky, a che lezione stavi andando?»
«Biologia»
«La salteremo insieme.»
«Ho notato che non prendi molti appunti.»
Iniziò a balbettare qualcosa di poco comprensibile a me e ridacchiai.
«Posso darti una mano se vuoi, mi devo sdebitare.» girai la testa verso di lui seduto a fianco a me su una sedia.
«G-grazie»
«Dov'è finita tutta la tua sicurezza di poco fa?»
«Lascia stare, cosa ne puoi sapere tu?» si alzò di scatto, il suo stato d'animo era improvvisamente cambiato.
«Scusa, io non volev-...» mi sentivo meglio e mi misi seduta, ma la testa ricominciò a girare.
«Attenta! Prendi questa.» mi diede una pillola.
«Non è che mi vuoi drogare?»
«Perché dovrei?» avvicinò pericolosamente il viso al mio.
«Perché ti comporti così premurosamente con me?» si allontanò di scatto da me.
«Se vuoi stare meglio prendila, nessuno ti impedisce di stare male.» si girò di spalle e incrociò le braccia.
«Potresti darmi dell'acqua?»
«Tutta questa tua gentilezza da dove nasce?» ridacchiò passandomi una bottiglietta dal suo zaino. Sorrisi e continuammo a parlare del più e del meno.

Arrivò l'ora di pranzo e mi accompagnò nella mensa.
Stavo meglio e la testa aveva smesso di girare, ma ero davvero debole e Isaac mi aiutò a reggermi in piedi.
Mi accompagnò al suo tavolo.
«Conosci Scott e Stiles?» chiesi quando notai che si dirigeva verso il tavolo a cui erano seduti.
«Sì, fanno parte del nostro bran-gruppo, tu come li conosci?»
«Amici d'infanzia»
«Tutto bene?» chiese Scott quando mi vide aggrappata ad Isaac.
«Sì, i soliti giramenti di testa.» anche da bambina, quando abitavo qui, li avevo spesso.
Una ragazza dai capelli castano scuro, quasi nero era seduta affianco a Scott, stavano evidentemente insieme: si teneva dolcemente per mano. Una ragazza dai capelli biondo-fragola aveva il braccio di Stiles sulle spalle, così anche lui aveva trovato la ragazza.
«Non posso crederci che abbiate trovato la ragazza e abbiate lasciato me da sola!» risi.
«A me non sembri molto sola» rise Stiles mentre Isaac mi aiutava a sedermi. Gli lanciai un'occhiata di fuoco, ma sentii le mie guance scaldarsi perché ero stata tutta la mattina con un ragazzo che non conoscevo ed ero stata bene davvero.
«Oh, lei è Allison Argent» Scott presentò la sua ragazza.
«Tu es français?»
Allison mi rispose cordialmente che la sua famiglia era originaria della Francia (come se non l'avessi capito), ma che poi -dopo vari viaggi e trasferimenti- si erano trasferiti qui.
«Lydia Martin» si presentò la ragazza di Stiles, così fecero anche gli altri ragazzi a tavola: Kira, Malia e Theo che continuava a fissarmi. Mi dissero che c'erano altri del gruppo.
«E Isaac, ma già lo conosci.» Stiles mi fece un sorrisetto malizioso e si beccò un'altra mia occhiata di fuoco e una gomitata dalla sua ragazza.
«Piacere Raeken, Theo Raeken, non Vernon.» si presentò Theo, nonostante Scott avesse già detto il suo nome.
«Il piacere non è mio. Ora vado, devo convincere il coach a farmi entrare in squadra. Ah, lascia perdere la tua imitazione di James Bond, fa veramente schifo.» salutai il tavolo con gesti della mano e Isaac mi seguì.
«Davvero, ti ringrazio per quello che hai fatto questa mattina, ma non devi aiutarmi per forza.»
«Lo so, ma voglio farlo.» mi raggiunse in un paio di falcate e rimase al mio fianco.
Sorrisi, quel ragazzo mi faceva sentire strana e riusciva ad abbattere il muro che mi ero costruita a fatica.

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