Pazzo o cattivo?

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Qualcuno picchietta alla porta.
-Lydia! È pronta la cena!-
Sbuffo e mi copro la faccia con un cusciono polveroso.
-Lydia? So che hai fame!-
Sento il cigolare di quando la porta si apre.
Jerome mi toglie il cuscino dalla faccia e mi mostra il suo muso mentre mi guarda con quasi sguardo di riprovero.
-Lydia, penso che i tuoi genitori ti abbiano insegnato come ci si comporta: è maleducazione non rispondere.-
Non rispondo e sorrido, un sorriso beffardo.
Anche lui sorride, nel solito modo inquietante.
-Vogliamo andare a cena?- mi porge la mano in modo elegante.
Non mi muovo e continuo a tenere il sorriso.
-Sei solo un buffone, faresti più bella figura se mi trattassi male, invece che far finta di comportarti bene.-
Sospira e sorride in modo maniacale.
-Lydia, devi sapere che tra pazzo e cattivo c'è una linea sottilissima, quasi inesistente.-
-Quindi tu ora saresti cattivo?-
-La cena si raffredda!-
Mi prende dalla manica del vestito, mi fa alzare e con bruttalità mi porta in sala da pranzo.
Poi, di forza, mi fa sedere.
Lui si accomoda sulla sedia di fronte.
Incrocio le braccia e lo guardo.
Estrae una pistola e me la punta contro.
-Mangia o non esito a spararti.-
Deglutisco nervosa, infine inizio a mangiare.
Jerome rimette a posto la pistola soddisfatto e comincia anche lui la cena.
Perché sono così stupida? Perché ho voluto sfidare la pazienza di un pazzo? Ma che ho al posto del cervello? Gelatina?
-È ottimo questo pollo!- commenta ogni tanto durante il pasto.
Lascio più di metà cibo nel piatto, ma a Jerome sembra non interessare e fortunatamente lascia la pistola al proprio posto.
-Vedo che hai finito, spero ti siano piaciute le pietanze, io le ho trovate deliziose!- si alza, questa volta mi prende dal braccio stringendo forte e facendomi male, ripercorriamo velocemente la strada di prima e ritorno in camera mia.
-Sogni d'oro!- mi ordina e sbatte la porta.
-Non dovevi farlo arrabbiare.- mormoro parlando a me stessa.
Non avendo altri vestiti, mi infilo sotto le coperte, appoggio la testa sul cuscino e cerco di dormire.
Conto per addormentarmi e, una volta arrivata a 203, cado in un sonno profondo.

Sto correndo, corro come non mai.
Ma da chi sto fuggendo?
Inciampo in qualcosa: quel qualcosa è un cadavere.
Non badando da chi sto scappando, mi avvicino lentamente al corpo senza vita.
Appoggio una mano sulla sua spalla e lo volto.

Scatto a sedere e urlo, ma quest'ultimo è più attutito di quello delle altre volte: Jerome mi sta tappando la bocca.
Sento la bocca e la zona intorno bagnarsi.
Quando smetto, il rosso tira via la mano e io riprendo fiato.
Mi sta guardando serio, osservo la sua mano: sanguina.
La fisso sconvolta e mi tocco le labbra sporche.
Jerome fa spuntare di nuovo quel sorriso da pazzoide, tira fuori un pezzo di stoffa bianco e me lo passa.
-Pulisciti, hai qualcosa lì vicino alle labbra.- ed esce dalla stanza.
Faccio come dice ma nel frattempo lo seguo.
-Aspetta, hai la mano che sanguina.- si blocca.
-Torna in camera tua.- non è mai stato così cupo, perfino quando doveva uccidere aveva qualche battuta da fare, ma ora no, nonostante abbia quel sorriso, è terribilmente serio.
Non mi muovo da dove sono.
-Hai qualche problema? Ti serve qualcosa?-
-Sì, sanguini, ti devo aiutare.-
-Mi spiace dirtelo, ma tu devi ascoltarmi e basta.-
Non rispondo e non mi muovo.
-Lydia, non vorrei dover farti del male, quindi andiamo.- poi prende il mio polso e mi chiude a chiave in camera.
Torno alla porta e inizio a bussare freneticamente.
-Lasciati curare e io non ti contrasterò più!- perché mi interessa tanto aiutare la persona che mi ha rapita? Forse mi sento in colpa perché l'ho ferito... o forse sono completamente andata fuori di testa.
Busso continuamente ma lui non apre.
Ormai ho le braccia e le mani doloranti.
Mi arrendo, mi allontano dalla porta e mi siedo sul letto guardando il fazzoletto sporco di sangue, per dopo stropicciarlo e gettarlo lontano.
Odio ammetterlo, ma mi sento in colpa ad avergli fatto male.
Dentro di me provo la confusione più totale e non voglio stare così, io vorrei essere con la mia famiglia e Marshall, vorrei capire come mai non riesco a controllare questi urli mostruosi... probabilmente due desideri irrealizzabili, visto che morirò qui dentro.
Noto una TV nell'angolo alla mia destra.
Mi alzo, afferro il telecomando e la accendo.
-Questa mattina è stata rapita la figlia di una delle famiglie più rilevanti di questa città. La ragazza in questione è Lydia Martin ed è stata rapita dal pazzo criminale fuggito da Arkham, Jerome Valeska. Non si hanno sue notizie e non si sa cosa voglia Valeska da lei. Se scoprite qualcosa contattate la polizia ma state attenti pure alla ragazza, perché, a quanto dice la madre, ha un disturbo ereditato dalla nonna che può recare danni agli altri-- spengo il televisore ed interrompo la giornalista.
Mia madre mi considera una disturbata, tutta Gotham mi considera una disturbata, ogni singolo cittadino mi considera una disturbata... e forse inizio a credere di esserlo veramente.
Le lacrime cominciano a scendere silenziose.
Perché sto piangendo? Non mi importa se gli altri mi ritengono pazza o pericolosa, piango perché io mi ritengo così, anzi, perché so di essere un pericolo ambulante e non voglio vivere con questa paura per sempre, con la paura di ferire, con la paura di essere me stessa.
Perché sì, a questo punto posso dire di essere un mostro.

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