Tutti i mostri sono umani

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-Lydia! È ora di colazione!- mi chiama Jerome.
Ormai è mattina e ho passato il resto della notte a rimuginare su quello che ha detto la giornalista.
Apre la porta.
-Lydia, ma hai dormito?-
-Che ti importa?-
Mi guarda con aria di rimprovero ma allo stesso tempo scherzosa, si butta sdraiato di fianco a me e mi fissa.
-Non hai dormito, eh? E hai pure pianto.-
-Sì, genio.-
Mi dà due pacchette sulla spalla.
-Tranquilla. Perché hai pianto?-
Mi asciugo gli occhi con la manica in raso del vestito (che ho addosso da quando mi ha rapita).
-Tutti pensano che io sia un mostro, un essere più pericoloso di te.-
Mi continua a guardare.
-Lydia, tu sei pericolosa, il pericolo ti scorre nelle vene, per questo tu-- si interrompe.
-Finisci la frase, odio chi non finisce di parlare.-
Si alza e batte una volta le mani.
-Per questo tu ora vieni a fare colazione, andiamo!-
Mi alzo controvoglia e lo seguo: la tavola è come sempre imbandita, piena di pietanze e bibite.
È tranquillo mentre mangia, sembra quasi una persona normale.
Finiamo la colazione e lui mi riaccompagna in camera, io mi siedo sul letto e lui si mette di fianco a me.
-Perché sei qui?-
-Ti faccio compagnia!- risponde sempre con tono giocoso.
Accende quella maledetta tv e guardiamo The Carol Burnett Show.
Quando c'è da ridere, Jerome ride, e sembra quasi una risata normale.
Mi incanto a guardarlo con quel sorriso in faccia, uno scatto mentale di un momento pacifico con lui.
-Jerome.- lo chiamo.
Lui mi guarda sorpreso.
-Strano, è la prima volta che mi chiami per nome.- è vero -Cosa c'è?- mi chiede.
-Come fai a essere in pace con te stesso dopo che hai ucciso una persona?-
Mi fissa e spegne il programma.
-Vedi, Lydia, non sono in pace con me stesso. Fingo di esserlo e per riuscire a farcela penso che quelle persone almeno una volta nella vita abbiano fatto qualcosa di cattivo. E sai perché me la prendo con me stesso?-
Nego con la testa.
-Beh, mi tratteranno da bestia, ma sono pur sempre umano. Tutti i mostri sono umani, Lydia, perfino un pazzo come me... perfino una ragazza con un potere come il tuo.- lo guardo, ammaliata dalle sue parole: non credevo, prima d'ora, che una persona come Jerome Valeska potesse fare un discorso del genere, un discorso profondo e veritiero.
Perché in fondo ha ragione: tutti i mostri sono umani.
E come umani provano sentimenti, emozioni, sensazioni.
Sentono paura, tristezza, amore, senso di colpa.
Immersa nei pensieri, non noto che Jerome è uscito dalla stanza.
Rimango a fissare la porta aperta, dove spunta la testa di un rosso con il solito sorriso inquietante.
-Non vieni?- mi domanda.
-Dove?-
-Tu vieni, poi vedi.- mi prende il polso e, tranquillamente, iniziamo a vagare tra i corridoi della casa ormai cadente.
Non è poi così grande come sembra, è una casetta semplice a due piani e con poche stanze.
-Perché stiamo camminando?- mentre ci stiamo ancora muovendo, mi guarda sempre con quell'aria divertita.
-E tu come ti muovi? Strisciando? No perché io cammino.- lo fisso sbigottita, poi scoppia a ridere.
-Scherzo!-
Alzo gli occhi al cielo, facciamo qualche altro passo e ci fermiamo davanti a una porta.
-Entri?- mi chiede.
-Ci siamo passati dieci volte davanti a questa porta!- alzo la voce esasperata.
Lui fa spallucce.
-Volevo sgranchirmi le gambe.- e apre la porta: una stanza piena di vestiti, scarpe e qualche accessorio si para davanti a noi.
-Cos'è questo?- chiedo scioccata.
-Ti devi cambiare e, non sapendo la tua taglia e i tuoi gusti, ho comprato di tutto.-
-Grazie.- mormoro, rimanendo sempre sorpresa dal gesto gentile di Jerome.
-Ora cambiati, puzzi.- e, ridendo, chiude la porta.
Provo molti abiti e scarpe, finché non opto per una maglia blu con una gonna a scacchi e una calzamaglia molto sottile nera, smalto rosso bordeaux e degli stivali.
Quando esco, Jerome mi aspetta.
Alza lo sguardo e inizia a osservarmi, con occhi fin troppo attenti.
-Oltre a mangiare e guardare la tv, cosa si fa in questa casa?- domando così da interrompere il disagio palpabile nell'aria.
Jerome si scuote e torna in sé, con il suo solito sguardo malizioso.
-Beh, ho una piccola cosuccia per te.-

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