Escape

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Mi risveglio nella camera.
Jerome è sdraiato di fianco a me e dorme ancora, è così angelico.
All'improvviso apre i suoi occhioni verdi ancora lucidi dalla sonno.
-Buongiorno.- mi saluta.
-Grazie per ieri sera, mi hai salvato la vita.-
-Mh, in realtà l'ho fatto perché sono andata in panico.- poi si alza.
-Come sono finita in camera?- si stiracchia.
-Ti sei addormentata sul sedile e ti ho portata qui.-
-Non dovevi.-
-Invece sì, se ti lasciavo lì qualcuno poteva trovarti.- alzo gli occhi al cielo e sospiro.
-Vieni a fare colazione?-
-Va bene, posso farmi una doccia e cambiarmi?-
-Fai pure.- risponde, poi esce.
Prima vado nella stanzetta a prendere qualcosa poi vado nel bagno, che sorprendentemente è più pulito del solito (non l'ho scritto ma sì, ci sono già stata).
Tolgo il vestito e entro in doccia, tiro la tendina e apro l'acqua.
Lavo i capelli e, mentre passo il bagnoschiuma, sento la porta aprirsi.
Il cuore mi manca un colpo.
-Quanto ti manca?- mi chiede Jerome.
-Esci dal bagno!-
-Tanto c'è la tendina, non vedo niente.-
Emetto un gridolino di frustrazione e sento il ridacchiare di Jerome.
Quando finisco la doccia e faccio per prendere l'asciugamano, notando che l'ho lasciato sul lavandino.
Alzo gli occhi al cielo, mi copro il corpo con la tendina e sporgo fuori la testa.
-Ehm, mi passeresti l'asciugamano?- che imbarazzo.
Jerome ha un sorrisetto malizioso, non è un buon segno.
-Hai delle gambe, vieni a prenderlo da sola.-
-Passami l'asciugamano.- gli ordino.
-No.- risponde, mentre continua a ghignare.
-Scherzi, vero?-
-No, non sono la tua badante, te lo vieni a prendere da sola.- deglutisco.
Poi prendo fiato e apro la tendina: Jerome mi guarda, ma non ha nessuna reazione.
Mi avvicino al lavabo e prendo l'asciugamano per poi avvolgerlo intorno al corpo, con gli occhi del rosso che non si sono scollati da me per tutto il tempo.
-Pervertito.- dico mentre sono ancora girata.
Quando mi volto, vedo Jerome che si dirige alla doccia... nudo.
Divento rossa come un peperone e lui ghigna vedendomi arrossire.
Entrato nella doccia, prendo i vestiti e torno in camera: penso che questo sia stato il momento più imbarazzante della mia intera esistenza.
Mi asciugo e mi cambio con un vestito blu a maniche corte, una cintura in pelle marroncina e degli stivali dello stesso colore.
Finito ciò vado in cucina, dove Jerome sta già facendo colazione.
Lui alza lo sguardo, poi torna a concentrarsi sul cibo.
Io mangio un semplice croissant e un caffé.
-Bel vesito.- commenta, quando ormai sono seduta e abbiamo finito entrambi la colazione.
Lo guardo acciliata.
-Molto divertente.-
-Io sono serio.-
-Se ti comporti come hai fatto in bagno, tu non potrai mai piacermi.- lui sospira.
-Lo so, era solo per darti fastidio.- ma un po' di coerenza?
-Cosa vuoi fare oggi?- mi domanda e faccio finta di pensare.
-Magari possiamo andare al parco solo io e te.-
-Che spiritosa.- risponde in modo sarcastico.
Devo ammettere che rispetto all'inizio, ora sembra veramente una persona normale.
Un amico con il quale parlare e che non conosce solo crudeltà e malsano divertimento. Beh, amico, non esageriamo.
-Sul serio, che vuoi fare?- mi chiede di nuovo.
Non faccio in tempo a rispondere che sentiamo un rumore al piano di sotto.
Entrambi scattiamo in piedi.
-Ferma qui.- mi ordina mentre esce dalla cucina.
Ovviamente non lo ascolto e lo seguo.
Quando stiamo scendendo le scale, si sente un urlo provenire dal seminterrato, ma non un grido qualsiasi, un urlo sovrannaturale.
Sia io che Jerome ci affrettiamo ad avvicinarsi alla porta.
Un altro urlo e quest'ultima cade a terra: davanti a noi c'è Jane.
Nel vederci, lei mi prende il polso e mi tira a sé.
Poi, alza la mano.
-Lasciaci andare.- ordina a Jerome.
-Ti lascio andare, ma dammi Lydia.- dammi? E che sono, un cane?
-Togliti o ti sfondo il cranio.- in tutto questo io non reagisco.
Lui si fa di lato.
Jane inizia a trascinarmi fuori, quando sentiamo uno sparo: Jerome ha colpito la gamba di Jane.
-Le hai sparato all'arteria femorale!- la faccio sdraiare sul pavimento e cerco, con le mani, di fermare il sangue.
Lui non si muove.
-Cosa aspetti?! Prendi qualcosa per fermare l'emorrargia!- Jerome sembra smuoversi e corre al piano di sopra.
-Resisti Jane, ce la puoi fare.- provo a rassicurarla.
Lei continua a gemere dal dolore.
Il rosso ritorna in salotto e mi passa una striscia di stoffa.
Con essa faccio un laccio emostatico appena sopra la ferita.
-Le serve un'ospedale o non sopravviverà.-
-Non posso rischiare che dica in giro dove ci troviamo.-
-Ti prego.- lo guardo dritto negli occhi -Fallo per me.-
Lui esita, poi va a risvegliare uno dei suoi uomini svenuti nel seminterrato e gli ordina di portarla il più velocemente possibile in ospedale.
L'uomo obbedisce e se ne va portando Jane con sé.
Dopo essere rimasta qualche secondo a guardare la porta chiusa, vado in cucina a lavarmi le mani.
Finito di asciugarle, Jerome mi prende il polso e mi porta al piano di sopra.
-Prendi lo stretto necessario, ce ne andiamo.- mi blocco.
-Cosa?-
-Sei sorda? Se sopravvive Jade dirà a tutti dove mi nascondo.-
-Jane.- lo correggo.
-È uguale. Il punto è che non possiamo restare.- mi lancia una borsa.
Vado nella "stanza armadio" e prendo dei cambi, poi metto dentro la spazzola e il sapone.
Riscendo le scale e vedo che Jerome mi sta aspettando.
-Vieni.- mi prende la mano... e mi porta sul retro.
Saliamo su un altro furgone e partiamo.
-Dove pensi di andare?- domando.
-Vedrai.- alzo gli occhi al cielo alla sua risposta.
...
Il viaggio è tremendamente noioso, ed è a questo che penso mentre scappo insieme al mio rapitore?
Mi sa che sto diventando folle pure io.
-Jerome, c'è qualcosa da bere?-
Lui si volta un secondo a guardarmi poi reindirizza l'attenzione sulla strada.
-Dietro il mio sedile ci dovrebbe essere una bottiglietta di Coca.- faccio per allungarmi ma mi fermo.
-Di quand'è?-
-Del 1920, non finirla che è antica.- lo fisso allibita.
-L'ho presa ieri, non è avvelenata.- sta usando troppo il sarcasmo e sta diventando troppo serio.
La prendo, la apro e bevo un sorso.
-Vuoi?- gli chiedo.
Non risponde subito, come se ci stesse pensando.
-Sì.- risponde poi.
Porge la mano e io gli passo la bottiglietta.
Finito di bere la mette di nuovo dietro al sedile.
-Quanto manca?-
-Non lo so.-
-Come non lo sai?-
-So dov'è ma non so quanto ci si impiega.- sbuffo.
Appoggio la testa alla mano e inizio a guardare fuori dal finestrino: il paesaggio della campagna è molto meglio di quello cittadino.
A un certo punto sento odore di fumo e mi giro: Jerome si è acceso una sigaretta.
Lo guardo male.
-Fumi?- mi chiede mentre mi porge la sigaretta.
-No.- dico infastidita.
-Che hai ora?-
-È maleducazione fumare vicino a qualcuno che non fuma, può dare fastidio. Sarebbe più educato fermare il furgone.- lui alza le spalle.
-Ok.- gira il volante e accosta, scende dal veicolo e si mette di fianco a finire la sigaretta.
Cinque minuti dopo risale e ripartiamo.
-Come hai fatto prima?- mi chiede.
-Fatto cosa?-
-Il discorso di Jane, le parole specifiche e il resto, come le sapevi?-
Sorrido fiera di me stessa.
-Modestamente, so molte cose.-
-Va bene.- si schiarisce la voce -Cos'è una Beretta BM 59?- mi chiede.
Mi volto a guardarlo.
-Sul serio? Ok. È stato l'ultimo fucile da battaglia adottato ufficialmente dall'Esercito Italiano nel 1959: la distribuzione ai reparti cominciò nel 1962  .- mi giro per vedere la sua espressione: incredula.
-Come fai a saperlo?!-
-Sono molto intelligente.-
-Modesta la ragazza.-
-Grazie, lo so.- ridacchio e anche lui.
-Posso chiederti un altra cosa?-
-Non ne ho voglia.-
-E va bene.-

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