CAPITOLO 20 - EVAN

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--- Avviso ---

Ehehe, scusate, questo capitolo è un po' più lungo del solito. Perdonatemi ma non ho voluto dividerlo in due, anche perché è stato davvero difficile da scrivere, spero vivamente di essere stata chiara.

Come sempre, per qualsiasi cosa, potete lasciare dei commenti ai quali risponderò volentieri.

Vi auguro buona lettura, un baio, Mellix!

--- Fine Avviso ---

«Dammi qualche minuto», dico alzandomi.

Faccio la doccia in tempo record. Con l'asciugamano in vita prendo dalla stampella nella cabina armadio una camicia in jeans, una maglia bianca dal cassetto e i jeans di ieri dalla sedia. Specchiandomi dò una forma ai capelli con le mani, poi prendo le chiavi dell'auto tornando in cortile. La trovo dove l'ho lasciata, incantata a fissare l'acqua. Ha i capelli biondi legati in una coda di cavallo, sembrano fili d'oro baciati dal sole. Sorridendomi si alza incamminandosi al mio fianco.

«Devo rubare una cosa», le dico mettendomi. Immediatamente storce il naso e strabuzza gli occhi, io invece alzo i miei verso il cielo. Donna di poca fede!

Le scarpe da ginnastica stridono sul pavimento in marmo lucido. È talmente liscio da risultare scivoloso, infatti, un paio di volte, il mio piede slitta all'indietro, per fortuna ho i riflessi pronti e riesco a non cadere. Vado nell'ala della casa vissuta solo da mio padre, da questa parte ci sono studio, ufficio, bagno ed una sala conferenze. In più, c'è un piccolo stanzino nascosto, lo usano solo i dipendenti, all'interno ci sono quadro elettrico e caldaie. Attaccato di fianco alla porta un pannello in legno con tutte le chiavi dei possedimenti a nome Hacker. Da piccolo la pensavo una stanza segreta, d'inestimabile valore, il nascondiglio perfetto dove mamma e papà non cercavano; il rifugio magico per un bambino che aveva bisogno di scappare dai genitori urlanti. Fortunatamente ora ho la mia camera, prima la piscina era un bellissimo giardino, ma è stato trascurato al punto da essere irrecuperabile, perciò lo hanno trasformato nel cortile con piscina e inserito la mia camera, che un tempo era la casa della governante. Prendo le chiavi giuste tornando da Stella, lasciata in corridoio a fare da palo, e ci dirigiamo al parcheggio interrato.

***

Appena arriviamo la casa odora di chiuso. In fretta rimediamo aprendo le finestre del piano di sopra ma sistemandoci al piano di sotto. Il salotto sembra restringersi ad ogni respiro, non riesce a contenerci entrambi, emettiamo un'energia troppo forte.
Questa casa fa riemergere ricordi di quando eravamo in punizione. Abbiamo scontato parecchie ore qua dentro, nel letto al piano di sopra, dormendo l'uno vicino all'altra, ancora ignari di quello che saremmo diventati in futuro.

Ok, è ufficiale, ho nostalgia di quel fottuto bracciale, lo consideravo una seccatura e adesso lo rivoglio perché saremmo costretti a stare insieme.

Ci sediamo e mi accorgo di essere teso come una rete da pallavolo. Stella è seduta composta, tiene in braccio un quaderno a cui sono appese una matita e una penna, li guarda incessantemente evitando i miei occhi, ogni tanto passa il pollice sulla copertina gialla lucida per scaricare la tensione. Siamo seduti, alle estremità opposte, sul divano tre posti di questo stramaledetto salotto minuscolo.
I nostri corpi bruciano, come benzina usano le emozioni che gli stiamo dando da bere.
Guardo la televisione di fronte, spenta, impolverata. Passo in rassegna i titoli dei libri ammucchiati sullo scaffale in legno alla mia sinistra e poi, necessariamente, guardo lei. Sono attratto da lei come le mosche da un bicchiere d'acqua e zucchero. Il suo petto si alza e si abbassa incerto, impaziente di cominciare ma terrorizzato all'idea di farlo.

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