Capitolo 5

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Senza accorgermene, il mio cervello ha già mandato il comando alle gambe di fare qualche passo indietro. Non so cosa fare, come reagire.. Devo scappare? Se fosse qualcuno di pericoloso? Mi farà del male ed io non rivedrò mai più la mia famiglia. Ho solo diciassette anni, ho una vita davanti, non posso andarmene in questo modo orribile. Non prima di aver vissuto la mia vita; non voglio commettere lo stesso errore commesso durante la mia adolescenza andata in fumo per colpa di persone invidiose.

Dio, sto delirando! "Tranquilla Michelle, rilassati, non succederà niente.. Tu ora ti allontanerai cauta e te ne ritornerai a casa come se niente fosse."

Sto per agire nel modo che ho pensato; ora scorgo l'ombra avvicinarsi verso la fine dei cespugli. Lentamente, molto lentamente, la figura rivela diversi tratti del suo corpo. Poi, con uno sforzo immane, riesce a far uscire un roco singulto accompagnato da alcune parole balbettate: "Per favore, aiutami..."

Ormai riesco ad osservare chi si celava dietro l'oscurità dei rovi: un ragazzo (mai visto prima), mi scaccia dal corpo un bel po' di ansia accumulata in questo lasso di tempo. E' alto, ben più alto di me e lo si può capire dal modo in cui i suoi ciuffi biondi sparpagliati, sul suo viso ben definito, sfiorano un debole ramo dei tanti più robusti sui quali è appesa un'altalena. La stessa altalena su cui mi piaceva passare il tempo con il mio papà. Papà mi spingeva applicando forza sulla tavola di legno che mi faceva da sedile su cui erano attaccate due catenelle d'acciaio resistenti. Papà mi innalzava delicatamente, ma al contempo con la forza necessaria per farmi raccogliere i fiori rosa che sbocciavano nei primi giorni di primavera. Era stata una sua idea costruirla lì. Ricordo ancora la sua dolce voce che diceva: - Ricordati che quando ti senti sola, quando i bambini ti lasciano sola, ci sarà sempre questa altalena che ti farà rinchiudere tra l'eleganza delle stelle.- e mi aveva sorriso, così come fa ancora oggi. Io, quella luce che gli attraversa gli occhi quando mi guarda, la trovo rassicurante. Mi fa sentire al sicuro, mi fa sapere che se mi succede qualcosa di brutto, papà è sempre presente.

Ritorno alla realtà e con molto più coraggio di prima rispondo al ragazzo che ora sta aspettando una mia risposta. Lì davanti a me, con un' espressione sofferta sul viso. - Cosa ti è successo? Chi sei?- Lui mi sorride ed indica la sua caviglia: è contornata di un colore rosso ed è gonfia. Gli farà molto male a quanto pare. Questo spiega i passi incerti e lenti che ho ascoltato calpestare le foglie aride. - Sono Matias e sono venuto qui per esplorare un po' il posto. Vengo da Genova e Roma mi ha da sempre affascinato. Stavo facendo una passeggiata quando, improvvisamente, sono scivolato poco lontano da qui. Mi sono slogato la caviglia ed ora non riesco a camminare bene. Mi puoi aiutare in qualche modo?- In effetti è molto facile scivolare in questo boschetto. Ci sono parti in discesa contornate da fanghiglia e foglie macchiate di marrone. Così, mi decido ad accompagnarlo nell'hotel in cui ha prenotato una camera per questo mese in cui sosta qui in Trevignano Romano.

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L'agitazione del nuovo arrivato si fa sentire già nel pullman. Io, seduta su questo sedile da sola e con gli auricolari nelle orecchie, riesco a sentire le urla delle persone che sovrastano la musica. Solitamente, modero il volume delle canzoni che ascolto in modo che non possa sentire la realtà che affiora quando tolgo gli auricolari. Oggi non riesco ad isolarmi: troppo casino attorno a me.

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Finalmente il pullman si accosta al ciglio della strada e scendo tra la marea di studenti elettrizzati. Mi dirigo verso Luca che aspetta qualcuno appoggiato al muro intonacato di pittura gialla. E' in una posizione piena di spontaneità e nonchalance delineata dalla sua mano che stringe appena la cinghia blu dello zaino e dall'espressione rilassata del viso. I suoi occhi cercano qualcosa o qualcuno in mezzo alla tanta gente che affolla il cortile e i parcheggi scolastici. Lo raggiungo a passo felpato: non voglio farmi notare. Amo i maglioni e le felpe che nascondono il mio corpo dietro la pesante stoffa. Mi sento riparata dagli sguardi altrui anche grazie ai miei capelli lunghi che mi nascondono la faccia, posandosi delicatamente sulle tempie. Il mio corpo brucia di agitazione per il timore che qualcuno possa accorgersi di me, quando passo dietro le persone diretta verso Luca.

Lui mi saluta e capisco di essere stata io il suo punto di ricerca. -Ti stavo cercando- mi riferisce, riempendo di certezza i miei dubbi. -Come mai? Cosa è successo?- è così strano per me essere cercata, essere nei pensieri di una persona. -Niente, solamente... Ho sentito tutta la scuola parlare di Daniel Rossi, il modello di Bologna.- Sbuffo, alzando gli occhi al cielo. -Sì, non mi interessa. La gente sa solo spettegolare e aspettano questo momento come se dovessero diplomarsi.- sorrido rivolta al mio amico, o quello che è. Ma il sorriso mi muore sulle labbra nel momento in cui il mio sguardo si fissa in un punto preciso ai margini del cancello d'entrata di questa imponente scuola. Mi nascondo ancora di più dietro la felpa, quando Luca pronuncia sei semplici parole che mi fanno diventare ghiaccio in contrasto al fuoco che si incendia dentro di me: -Eccolo. E' lui. E' Daniel Rossi.-

E' dal dolore che si può ricominciare #Wattys2019 [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora