|1| labirinti e ragazzi

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Solivagant
(agg.) Chi vaga da solo.

|Irwin|

Chiusi gli occhi una seconda volta: pensai di tranquillizarmi, mi ordinai di tranquilizzarmi e di non pensare da dove provenissero quegli strani rumori.
Quando li riaprii, lo stesso scenario di prima mi riempì la visuale: ai miei lati c'erano due alte pareti di pietra, ricoperte di tralci lunghi e robusti di edera; si prolungavano fino ad un bivio, dove un terzo muro di pietra divideva la strada in due, una a destra e una a sinistra. Il cielo era nero e privo di stelle, l'oscurità era piombata in quel luogo sinistro ed i rumori che parevano versi delle più ambigue bestie che potessero esistere non facevano altro se non rendere il tutto ancora più lugubre e tenebroso.
L'aria era fredda, appena la respirai sentii le narici pizzicati e gli occhi inumidirsi per il gelo del vento che soffiava, facendo muovere qualche foglia secca che scricchiolava al contatto col pavimento di pietra.
Avanzai di un passo, sforzando gli occhi ad adattarsi al buio che vi era e tenendo le mani distese davanti a me, come per protezione da un qualsiasi essere malvagio e spregevole.
Non ricordai come ci fossi finita lì dentro: quando mi svegliai ero stesa a terra sullo stesso pavimento di pietra che stavo calpestando alla ricerca di una via d'uscita, e più mi sforzavo di ricordare come ci fossi finita stesa a terra in questa specie di labirinto, più la testa mi vorticava e le tempie pulsavano tremendamente.
Non ricordo nulla, pensai.
Nulla che riguardasse me, il mondo che mi circondava o la mia attuale esistenza.
Nulla, il vuoto totale presidiava la mia mente, impedendomi persino di ricordare il mio nome.
Non ricordavo se avessi avuto una famiglia, se qualcuno fosse lì con me, in quel labirinto: l'unica cosa che sapevo era che dovevo trovare assolutamente una via d'uscita, nonostante la cosa fosse stata più impossibile che vera.
I miei piedi continuavano ad avanzare verso il bivio davanti a me, trascinando la testa pesante che rimbobava di domande alle quali non seppi dare risposta.
Svoltai a destra, ritrovandomi in un lungo corridoio con due uscite laterali: entrambe a sinistra, ma una era più vicina a me, l'altra più lontana e verso le fine del vicolo.
Presi la prima, avanzando sino ad una parete imponente che sbarrava la strada, costringendomi a tornare indietro.
Ma nel buio, non mi resi conto che in quel punto i tralci d'edera erano più fitti e con spine alquanto impuntite lungo il busto.
Caddi a terra, battendo la testa sul duro pavimento, mentre l'edera mi tagliava la carne coperta da un sottile tessuto di seta.
Imprecai per il dolore acuto sentito alle gambe, ormai totalmente ricoperte d'edera.
La battitura presa alla testa non favoriva una mia ripresa, anzi.
Le orecchie mi fischiavano, è sentivo il freddo del liquido rossastro uscire dalla mia tempia, macchiando le mattonelle di pietra.
Strisciai in avanti, tornando nel lungo corridoio.
Nel frattempo, il cielo si rischiariva e i primi raggi del sole illuminavano le pareti di pietra, permettendomi, dopo qualche minuto, di poter distinguere meglio le sagome dei tralci d'edera che s'erano aggrovigliati alle gambe.
Con un movimento secco, seguito da altri scatti, tentai invano di scrollarmi di dosso i rami della pianta, che continuavano, ad ogni mio movimento, a trafiggermi con le loro spine le pelle.
Mugugnai, mettendo poi tutta la forza rimasta sulle braccia e continuando a strisciare, raggiungendo la seconda uscita che terminava con una svolta a sinistra ed una a destra, che dava a sua volta su un lungo corridoio, anch'esso con una parete alla fine.
Straziata dal dolore e dalla stanchezza, feci per ritornare indietro, ma un stridio metallico mi fece voltare verso la parete ormai vicina.
Strizzai più volte gli occhi, costringendomi a mettere a fuoco meglio ciò che vedevo davanti a me.
No, non può essere.
La parete di roccia alla fine del corridoio si stava dividendo in due, rivelandosi come un'enorme porta di pietra che dava su una radura completamente verde.
Su entrambe le pareti di roccia c'erano delle sporgenze rettangolari e delle insenature della stessa forma e dimensione delle sporgenze.
Rimasi immobile dinanzi a quello scenario, impotente, stupita.
Insomma, saranno alte almeno 15 metri quelle mura e sopratutto peseranno tonnellate, chi avrebbe mai immaginato che si potessero aprire in due?
Solo in quel momento notai con stupore delle costruzioni nella radura, sembravano essere abbastanza grandi e marroni, perciò erano probabilmente di legno.
È abitato. Qualcuno vive qui.
Chiusi la bocca in una linea dritta per il dolore che provavo alle gambe, ma mi feci forza e strisciai, avanzando verso lo spiazzo verde.
Gemiti e lamenti uscirono dalla mia bocca, mentre la mia faccia si dipingeva di un espressione piena di dolore e strazio.
Quando arrivai a qualche metro dalla fine del labirinto, sentii un vociare che si fece man mano più forte.
Alzai lo sguardo, notando un gruppo di sagome avanzare verso di me, alcune alte e magroline, alte robuste ed altre ancora alquanto basse.
Una volta giunti davanti alla soglia del labirinto, si fermarono, ed io mi accasciai a terra perdendo l'ultimo briciolo di forza e volontà di andare avanti.
《Ma che diavolo...》sentii una voce maschile, profonda e con una nota di stupore: probabilmente non era uno scenario quotidiano vedere qualcuno stravolto a terra in un cavolo di labirinto.
《È una....una ragazza?》chiese qualcun'altro, ma adesso il suono delle loro voci arrivava ovattato alle mie orecchie, e provocava persino un fischio fastidioso.
La testa faceva più male, sembrava che tutto intorno a me stesse girando senza avere alcuna intenzione di fermarsi, costringendomi a chiudere gli occhi quasi di scatto.
Il mormorio continuava, ma smisi di captare alcuna parola a me comprensibile, sapevo che avrei perso conoscenza da un momento all'altro.
D'improvviso sentii qualcosa di freddo sfiorarmi la spalla, e una scarica di brividi percorse tutto il mio corpo per l'improvviso contatto con qualsiasi cosa mi avesse toccato.
Poi, venni scossa quasi violentemente, e capii che quella cosa fredda che mi aveva appena toccato doveva essere la mano di qualcuno che cercava di capire se fossi sveglia, o meglio viva o morta.
Ma il mio corpo aveva ormai ceduto, abbandonandosi totalmente allo sfinimento, e così il dolore.
In un secondo, sentii il dolore alle gambe affievolirsi, e piano piano la vista si oscurò e smisi di sentire il mormorio dei ragazzi.
L'ultima cosa che riuscii a sentire fu una voce leggermente roca, che sembrava arrivare da qualcuno accanto a me.
《Portatela dai Medicali》disse la voce, poi i miei sensi si spensero totalmente, lasciando solamente l'oscurità.

Come quella del Labirinto.

[Angolo Scrittrice]
Holaaaa! Non ci credo che io stia davvero scrivendo un'altra storia, ma a quanto pare mi è partita la vena di Maze Runner, quindi vi presento questa nuova storia, spero che vi piaccia!!

//capitolo davvero corto, consideratelo come una specie di prologo, prometti che gli altri saranno decisamente più lunghi❤

-Mistyie

Forelsket // Maze RunnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora