Capitolo 28

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Elsa's POV

Avevo perso il conto ormai delle volte in cui ero tornata a casa piangendo ed ero corsa in camera mia, rifugiandomi sul mio letto. Eppure era tantissimo tempo che non succedeva. Pensai anche quanto fosse buffo, e allo stesso tempo triste, che molte di quelle volte piangevo a causa di Stefano. Ed eccomi qui, ancora a piangere. Come sempre mia mamma accorse subito a chiedere cosa fosse successo, ed io non potei fare a meno di raccontarle tutto. Mi sentivo confusa, persa, arrabbiata, ferita. Facevo fatica a mettere in ordine i pensieri, non riuscivo a non pensare a Stefano che bacia Giorgia, anche se conoscevo a mala pena il suo volto. Mia madre del resto era indignata dal gesto di Stefano, ed aveva sproloquiato per non so quanto tempo su come le fosse sembrato un bravo ragazzo e non avrebbe mai pensato che potesse fare una cosa del genere. Mi ritrovai a concordare; il mio Stefano non poteva farmi una cosa del genere, almeno pensavo non potesse. Una parte di me lo incolpava, ma dall'altro lato pensavo che forse non aveva davvero tutta questa colpa. Lo aveva baciato Giorgia, non era lui ad aver preso l'inziativa, e, seppure in ritardo, l'aveva respinta. Mi chiesi perché una cosa del genere doveva succedere proprio ora che avevo preso una decisione sulla convivenza. Più il tempo passava, meno lacrime solcavano le mie guance, ma più dubbi assalivano la mia mente. Per quanto parlare con mia mamma mi aiutasse, sentivo il bisogno di parlare con Stefano. Dovevo sapere se quel bacio aveva cambiato qualcosa, se aveva significato qualcosa per lui. Ma non avevo la forza di scrivergli; solo guardare la sua chat mi feriva.

Stefano's POV

Quella notte non dormii; ero torturato da ciò che avevo provocato, dal pensiero di come Elsa dovesse sentirsi. Ed era per quello che la mattina non andai nemmeno al Ranch; aspettai che arrivasse un'ora decente per presentarsi a casa di Elsa e mi avviai in macchina.

Suonai al campanello, e poco dopo la porta si aprì, rivelando Maria, la madre di Elsa. Il suo sguardo disprezzante mi fece sentire uno straccio. Non ebbi nemmeno il coraggio di guardarla in faccia. Cosa ci facevo lì? Non potevo certo pensare di cercare perdono.

"Stefano, - mi chiamò con voce dura – penso che tu ti ricordi di quando sei venuto a parlarmi. Mi hai promesso delle cose, e tra queste avevo detto di non voler vedere Elsa tornare a casa piangendo a causa tua. Non voglio che tu mi spieghi cos'è successo, non voglio scuse. È successo; non penso che Elsa voglia vederti."

Dovetti raccogliere tutta la mia forza per non scoppiare a piangere. Era vero, le avevo promesso che non avrei fatto soffrire Elsa, ma sapere che lei non voleva vedermi mi fece ancora più male. Feci per voltarmi e andarmene quando qualcuno mi chiamò. Lei mi chiamò.

"Stefano?!"

Mi voltai, e vidi Elsa in fondo al corridoio, alle spalle di Maria. Era in pigiama, e con i capelli spettinati. Venne verso la porta, superò sua madre e mi saltò tra le braccia. Il suo abbraccio rilassò tutti i miei muscoli, il mio cuore perse un battito o due. Elsa singhiozzava, e a giudicare dall'umido che sentivo sulla spalla, stava piangendo. Sentivo lo sguardo di sua madre su di noi ma lo ignorai. Se Elsa mi stava abbracciando significava che forse mi aveva perdonato.

Ci staccammo dopo un tempo infinito; mi fissò con i suoi occhi rossi e asciugò una lacrima che mi era scappata.

"Mi dispiace," sussurrai, come se potesse essere importante.

"Ne parliamo?" chiese con un filo di voce. Io annuii.

"Al prato?" le domandai.

"No, qui. Non posso aspettare."

Mi prese per mano, superò sua madre che ci osservava con sguardo indecifrabile e mi guidò in camera sua. Si sedette sul letto a gambe incrociate, ma io non ebbi il cuore di andare vicino a lei. Mi sedetti sulla sedia accanto alla scrivania, portando le ginocchia al petto. Sentivo il dovere di cominciare a parlare, ma non sapevo cosa dire.

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