Capitolo 14

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Vederla scappare via dal prato non era stata la parte peggiore. Piuttosto capire di averla spaventata, guardarla provare a ricomporsi dallo shok, cercare qualcosa da dire, spiegare che non era il tipo di domanda che di solito si fa; tutto questo era stato molto peggio. E in quel momento avrei voluto sprofondare, ma ero rimasto apparentemente impassibile, cercavo di darmi un tono, di sembrare sicuro, la cosa più lontana da ciò che ero in quel momento. Ci misi un po' a ritrovare la forza di rialzarmi e tornare al Ranch; mi tormentavo al pensiero che questa volta avevo davvero rovinato tutto, ed era solo colpa mia. La mia cassa toracica sembrava stringersi, i polmoni prendevano meno aria, ricacciai indietro le lacrime; non potevo presentarmi in quello stato per la lezione. Arrivato al Ranch, scorsi Elsa che conduceva Johnny Boy al campo. Alzò la testa e io la fissai negli occhi, ma lei subito distolse lo sguardo, e questo fu come uno schiaffo sul cuore. Cosa avevo fatto? Perché avevo dovuto turbarla con quella domanda? Chissà lei ora cosa stesse pensando di me... probabilmente lo aveva capito che io l'amavo, altrimenti quella domanda non avrebbe avuto senso. Sarebbe tornata a fare lezione? Saremmo riusciti, entrambi, a sopportare la vista l'uno dell'altra dopo questo? Non riuscii a staccarmi da questi pensieri per tutta la giornata.

Rientrato a casa, andai dritto in camera di Rita.

"Mi puoi dare il numero di Elsa?" le chiesi. Alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo sdraiata sul letto, e mi guardò interrogativamente.

"Perché?" replicò, interessata.

"Mi serve," tagliai corto, con una voce più dura di ciò che volessi.

Dopo qualche altra insistenza, finalmente mia sorella mi dettò il numero di cellulare, che salvai sulla rubrica come "Elsa". Tornai in camera e mi gettai sul letto, fissando la tastiera, pensando a come cominciare, se dovessi specificare che ero io, cosa avrebbe sistemato, o almeno migliorato, la situazione, ma niente di quello che mi veniva in mente sembrava adatto. Alla fine, l'unica cosa sensata cui pensai erano delle scuse. Così digitai un semplice "mi dispiace", senza nomi né altro, perché sapevo avrebbe capito che ero io. E subito gettai il cellulare sul comodino, spaventato dalla risposta che avrei potuto ricevere, sempre che fosse arrivata.

Quando il cellulare vibrò dentro la mia tasca, la mattina seguente, quasi sobbalzai. Era Elsa, chiedeva di chiarire. Ad essere sincero, non me lo aspettavo, ma pensai che lei volesse sapere cosa mi aveva spinto a fare quella domanda, e che quindi per me era giunto il momento di darle una spiegazione, non solo alla domanda, ma dall'inizio di tutto. Le avrei raccontato di Piuma, per quanto ricordare mi avrebbe fatto male, di come si assomigliassero, il vero motivo dell'odio per lei, e poi di come, in qualche modo, mi ero innamorato di lei. E a quel punto mi ero aspettato di tutto dalla sua reazione, un'altra fuga, un rifiuto, parole di compassione o rabbia; tutto, ma non un bacio. E quando le sue labbra sfiorarono le mie così dolcemente, il mio cuore esplose in una nuvola di felicità. Quelle labbra, che avevo solo immaginato di baciare, ora premute sulle mie; mi lasciai andare, perché da tempo ormai sognavo quel momento, ed Elsa mi assecondò. Ero ancora confuso, perché non sapevo con esattezza cosa significasse quel bacio, ma bastarono poche parole da parte sua per farmi sciogliere. Mi amava, Elsa mi amava, e a quel punto avevo tutto ciò di cui avevo bisogno. Avevo lei.

Elsa se n'era andata da un'oretta circa, montando sull'auto di sua madre, che non sembrava molto felice di vedere che la baciavo. Stavo per tornare a casa anche io quando, uscito dalla stalla, la vidi corrermi incontro. Si gettò tra le mie braccia piangendo e singhiozzando e mi sentii male nel vederla in quello stato. La cullai tra le mie braccia aspettando che si calmasse. Quando finalmente alzò lo sguardo, il suo viso arrossato e le guance umide mi fecero stare ancora peggio. Mi spiegò che sua madre non accettava la nostra relazione, e io le promisi che sarei andato a parlarle. Ora che avevo Elsa, non avrei permesso a niente e nessuno di separarci. La portai in Club House; era vuota, tutti erano già andati via, compreso Phil.

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