❄Freddo e neve❄

capitolo 17

Il mio cuore batte forte, come se volesse uscirmi dal petto per andare a congiungersi con il suo.
Posso sentire il suo corpo premuto contro il mio, il suo torace si solleva e si abbassa, leggermente più veloce del normale, il suo profumo familiare crea un vuoto dentro me, spingendomi definitivamente dentro quella voragine di disperazione che per anni ho dentato di resistere.
La avvicino ancora di più, poggiandole la mano ferita sulla schiena mentre l'altra affonda morbosamente nei suoi lunghi capelli biondi, morbidi come la seta.
Con un grosso nodo alle corde vocali che mi fa tremare da capo a piedi, realizzo che io non posso vivere senza la sua presenza nella mia vita, non so come spiegarlo... lei mi capisce, sa leggere la mia anima come neanche mia madre a volte, ma allo stesso tempo per lei é stato cosí facile abbandonarmi e le persone che ti vogliono bene non spariscono dal tuo fianco da un momento all'altro.

"Perchè, perchè te ne sei andata? Perchè non mi hai permesso di starti vicino? Avrei potuto impedire tutto quello che ti è successo, avrei dovuto cercarti fino in capo al mondo e invece mi sono rassegnato, ho preferito piangermi addosso piuttosto che affrontare la realtà-"

Sento le sue braccia stringersi di più attorno a me mentre mi interrompe, la sua voce piena di rimorso.

"No, Damià smettila di incolparti, ti prego smettila, ho scelto io di sparire, avrei potuto affrontare la situazione in maniera diversa e invece anche io sono scappata."

Si allontana appena, quel tanto che basta per guardarci e quando i nostri sguardi si incrociano le sue iridi di ghiaccio si tingono di una sfumatura improvvisa di dolore.

"Stai piangendo..."

Mormora, e solo ora mi accorgo delle scie umide che rigano le mie guance.
Imbarazzato, tento di girare il volto dall'altra parte ma le prontamente mi blocca, poggiando i suoi palmi morbidi e caldi sui lati del mio viso.
Di nuovo i nostri occhi si incontrano, con le dita asciuga via le lacrime mentre boccheggia tentando di dire qualcosa, con le sopracciglia corrucciate, lo sguardo lucido e un rossore soffuso che le colora la pelle candida delle gote.

"Io... scusa ti facendo del male, non avrei mai voluto fartene, non meriterei nemmeno la tua amicizia."

Trema sulle ultime parole, fragile eppure forte e tenace quanto un fiore in mezzo all'asfalto.
Questa volta sono io ad agire, sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro con dita malferme.

"Voglio solo sapere perchè... ho bisogno di capire."

Affermo con tono quasi disperato, tentando di farle capire con gli occhi quanto ci tengo.

"È che..."

Balbetta insicura, mentre un milione di emozioni attraversano le sue iridi. Paura, esitazione, disperazione, rabbia, poi ad un tratto un nuovo coraggio le illumina lo sguardo e sembra improvvisamente pronta riprendere il discorso.

"Il fatto é che io-"

Non fa in tempo a terminare la frase che un grido acuto riempie l'aria, seguito da un piccolo tonfo.
Victoria e io, interrompendo qualsiasi atmosfera si stesse creando, ci scambiamo un'occhiata preoccupa e accorriamo verso il luogo da cui proveniva il suono.
A terra, allungata sulla neve ai piedi di un albero non troppo alto, c'è la bambina che l'altro giorno ho incontrato al supermercato.
Velocemente mi accovaccio al suo fianco, aiutandola a mettersi a sedere mentre lei tenta di riprendere fiato.

"Ella, Ella ascoltami, tenta di respirare lentamente tra poco ti passa tutto."

Mi guarda con i suoi occhioni verdi pieni di paura, la pelle del volto estremamente pallida e i capelli bagnati dopo essere stati poggiati sulla coltre bianca, che giá accenna a sciolgliersi a causa dei raggi di sole che iniziano a filtrare attraverso le nuvole.
Una volta che si è tranquillizzata e che ha ripreso colore  le chiedo in apprensione: