Capitolo 3

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Una luce fastidiosa filtra attraverso le palpebre mentre comincio piano piano a svegliarmi.
Sento la mente offuscata da un dolore pressante, come se qualcuno stesse stringendo una morsa attorno alle mie tempie e avverto un bisogno improvviso di starnutire.
Fantastico mi sto ammalando, risveglio perfetto.
Biascico qualche maledizione mentre stiracchio braccia e gambe, provando un dolore acuto alla schiena, a livello della zona lombare.
Sbuffo, devo essermi di nuovo addormentato sul divano... ma com'è che non mi ricordo mai un cazzo appena sveglio? Ho dimenticato anche di abbassare le tapparelle ieri sera e di cambiarmi... mi sento un ottantenne.
Nervoso giá di prima mattina, apro gli occhi, trovandomi di fronte il soffitto color avorio del mio soggiorno. Estraggo il cellulare dalla tasca per vedere l'orario.
Le cinque e sei.
Con un sospiro ruoto di fianco, deciso a riaddormentarmi dato che è ancora presto e, ancora preso dalla confusione del sonno, per poco non salto in aria, ora piú sveglio che mai.
Due iridi, che ora nella pallida luce solare sembrano limpide come il cielo, mi scrutano con un'espressione che non riesco a decifrare.
Victoria se ne sta lì, appollaiata sulla poltroncina scura di fronte a me, rilassata e attenta come un gatto, i capelli un pó arruffati e il volto stranamente serio.
Indossa gli abiti che le ho prestato ieri sera, che su di lei sembrano ridicolmente grandi e la fanno apparire ancora più piccola, considerando anche il viso completamente al naturale.
Ah, cosa darei per abbracciarla adesso...
Rimane ad osservarmi in silenzio, come studiandomi in ogni mio dettaglio e io la lascio fare,  fissandola dritto negli occhi.

"Sei cambiato."

Afferma ad un certo punto, senza scomporsi troppo.
Io scrollo le spalle, tentando di rimanere indifferente quanto lei e rispondo:

"Gli anni cambiano le persone..."

Per un secondo la vedo vacillare, vittima del reale peso delle mie parole, ma poi subito torna dietro la sua maschera di glacialitá e il mio tentativo di stuzzicarla fallisce miseramente.
Silenzio.
Stiamo entrambi zitti, lei che si ostina a fissare un punto indefinito del pavimento e io che mi metto a sedere con le braccia incrociate al petto, in attesa che lei risponda al mio commento.
Ad un tratto le sue labbra si dischiudono, come a voler dire qualcosa, solleva il capo di scatto e i nostri sguardi si incrociano: un miliardo di emozioni la attraversano come un fiume in piena, ma poi subito si interrompe e guarda altrove. Si alza repentinamente in piedi e cammina fino alla finestra chiusa, il suono dei suoi piedi nudi sul parquet chiaro riempie l'aria.
Mi da le spalle adesso, fissando il mondo che si sveglia all'esterno.

"Lo so che vuoi chiedermelo."

Il suo tono è piatto, fermo, la sua voce resa roca dal poco utilizzo delle corde vocali e io vorrei scuoterla, urlarle contro, perchè la mia Victoria, la vera Victoria é un vulcano attivo di creativitá e colori, non questa piccola donna cresciuta troppo in fretta, con il viso smunto e gli occhi tristi.
Mi alzo di scatto, un pó spaventato da questo suo comportamento apatico e non importa quanto io sia stato male per colpa sua, quanto ho sofferto, perchè la vedo, la conosco da quando eravamo ragazzini e se è successo qualcosa che l'ha trasformata in questo spettro scolorito di se stessa beh, io voglio saperlo.
Non posso stare con le mani in mano, a guardare come una delle persone più importanti della mia vita si lascia svanire lentamente, io voglio aiutarla, anche se questo significa mettere da parte per un pó il mio vissuto e concentrarmi sulla vicenda dal suo punto di vista.
Mi avvicino a lei, il legno scricchiola  sotto di me e mi posiziono al suo fianco.
Le nostre braccia si sfiorano, mandando un impulso di corrente elettrica in tutto il mio corpo, che rende le mie guance piú calde.
Mi concentro, prima di iniziare il discorso, sulle poche auto che vagano a quest'ora nella zona... svoltano la curva del mio palazzo, per poi proseguire dritte, dirette chissà dove e per una volta io, dopo tanto tempo, non desidero più chiedere un passaggio e andare via con loro.
Prendo un bel respiro e, con il cuore che batte più in fretta, comincio a parlare.

"Sai, dopo tutto questo tempo, dopo tutto quello che é successo non ho imparato ad odiarti, nonostante io ci abbia provato sul serio. Non ho avuto il coraggio di dimenticarti, non ti ho mai ritenuta stupida, non ho mai smesso di credere di te, neanche quando te ne sei andata e so, io lo so che c'é qualcosa di più in questa storia, qualcosa che solo tu puoi dirmi."

Non la guardo, ma sento la sua attenzione su di me.

"Non ho mai smesso di volerti bene Vic, mai, voglio che tu lo sappia."

Giro la testa verso di lei e mi accorgo dell'espressione tirata sul suo volto, di quanto le sue iridi siano diventate improvvisamente lucide.
Tira un respiro tremante prima di parlare.

"E se ti dicessi che non sono l'unica a poterti parlare di tutto ciò che é successo?"

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