Ccino si soffermò sui particolari dei vari cibi posati sui diversi ripiani della mobilia. Era solo, ormai, in quella stanza. Aveva libera occasione di fuggire, ma stranamente non ci teneva. Sapeva che Nightmare lo avrebbe ritrovato, di nuovo.
Prese una pentola e la riempì d'acqua, posandola sopra il gas acceso. Mise in una ciotola alcune patate, iniziando a pelarle, buttando le bucce in una busta di plastica. Attese, fissando l'acqua finché essa non avesse preso a bollire, e, finalmente, fece scivolare i tuberi all'interno del recipiente.
Agguantò una padella, mettendoci a sciogliere del burro e della salvia.
Cercò lo schiacciapatate in vari cassetti, trovandolo e tirando fuori le patate dall'acqua, pestandole su un tagliere.
Cominciò ad impastare patate, un po' di farina e un uovo. Fece dei serpenti con l'impasto, tagliandoli a cilindri e mettendogli in una nuova pentola di acqua calda.
Guardava gli gnocchi venir a galla uno ad uno, prendendoli con un mestolo piatto e coi fori, posandoli nella padella con il burro e mescolando.
Nightmare guardava il ragazzo da dietro il muro, assicurandosi che non scappasse né si facesse male.
Ccino apparecchiò velocemente, posando i due piatti sul tavolo che occupava parte di quella stanza, grattugiando un po' di ricotta affumicata e posandola al centro del ripiano di legno.
Si tolse il grembiule, troppo grande per lui, sporco di farina e lo posò vicino al lavandino. Si stava dirigendo fuori dalla stanza per chiamare il suo carceriere, ma venne bloccato dalla figura del signore degli incubi.«Oh... stavo proprio per venirti a chiamare.» disse il ragazzo, indietreggiando di qualche passo e lasciando strada libera verso il cibo. Nightmare guardò il tavolo e si limitò ad annuire, andandosi a sedere in silenzio. «Buon appetito!» esclamò il più piccino, iniziando a mangiare.
La cena fu veloce, ma buona. Ccino si offerse di lavare i piatti, e sinceramente al signore degli incubi andava anche bene. Si sedette sul divano, impugnando il solito libro ed iniziando a leggerlo.
Gli occhi guizzavano su quelle parole, ed era talmente tanto assorto in quella lettura che non si accorse del piccoletto che dondolava le gambe accanto a lui«Con chi parlavi prima?» chiese il ragazzo, provando a sembrare il più naturale possibile, come se non avesse origliato. Il viso del maggiore si incupì, mentre il libro veniva richiuso e posato sulle gambe.
«Nessuno.» disse, tagliando corto, alzandosi e dirigendosi verso il corridoio.
«Ma... stavate urlando...» mormorò il piccolo prigioniero, giocherellando con qualche ciuffo, con le maniche troppo grandi per lui.
Il carceriere indugiò, per dopo sospirare.«Ti racconterò tutto domani, d'accordo? Per ora vai a dormire, sai dov'è camera tua, giusto?» chiese, senza attendere risposta, recandosi nella sua stanza. Ccino voleva dire "no, non so dove sia." ma non aveva ricevuto il tempo necessario.
Si alzò, stringendosi nei vestiti viola del ragazzo che ormai non era più la sua guardia, il suo carceriere. Ormai era il ragazzo che lo ospitava.
Iniziò a vagare fra i corridoi, cercando camera sua alla luce arancione delle torce. Sentiva come se i suoi passi fossero doppi, forse tripli, forse quadrupli.
Probabilmente era l'eco dei corridoi.
Sentiva delle voci, tutte diverse.
Probabilmente erano i camerieri e i sudditi del castello.
Ma dopo un orrido pensiero lo afflisse: loro erano tutti morti.
Si bloccò, girandosi lentamente in quelle vesti troppo grandi...